16 maggio 2006
ARGENTO! (capitolo 16)
Maneggiava un tagliacarte in argento e madreperla, per aprire una busta appena giunta dal dipartimento della difesa. Il grammofono suonava una marcetta militare e malgrado questo, contrariamente al solito, era di pessimo umore, a causa forse, delle ultime notti insonni. Lesse compiaciuto il documento e lo posò sulla scrivania, poi ando’ verso lo specchio del settecento. Vide qualcuno che gli somigliava ma che non poteva essere davvero lui.
“ Stai perdendo lo smalto, vecchio mio”
Disse a sé stesso.
Aveva bocca secca, labbra screpolate e un colorito esangue. La divisa da Alcalde, sbottonata, lasciava intravedere lividi ed ecchimosi ovunque, nel petto e nel costato.
Una macchia violacea con la forma dell’Africa si estendeva sul ventre.
E questa cosa lo faceva quasi sorridere perché lui odiava l’Africa.
“ passerà e tornerai quello di un tempo”.
Disse al suo riflesso, e poi d’un tratto, tutto questo conversare fu interrotto dall’ingresso di un attendente.
“Eccellenza, il prigioniero è qui”.
“Fatelo entrare”. Disse l’alcalde stancamente.
Fece il suo ingresso Erminio, il dottore, giacca e pantaloni frusti, come di chi ha dormito vestito, e barba non rasa.
“di cosa sono accusato?”
chiese senza lasciare il tempo all’alcalde di cominciare con il suo cerimoniale mellifluo.
“Madre de Dios, dottore, che atteggiamento ostile. Di cosa è accusato? Di niente, almeno per il momento.
“Voglio tornare al mio ambulatorio, ho del lavoro da fare”.
“ Avete del lavoro da fare anche qui dottore. Avete un paziente. Sto male, fate il vostro dovere, curatemi come fate con i piccoli campesinos”.
“ E se rifiutassi?”
“Rifiutarsi, è perché mai? Infrangere il vostro giuramento di Ippocrate non farà di voi un uomo migliore, né, temo, un eroe, ma un medico morto. Diventereste uno dei tanti perché senza risposta di questa rivoluzione ipotetica.”
“ A scanso di equivoci, qualora foste stanco di vivere, un gesto sconsiderato da parte vostra porterebbe alla morte di una serie di sovversivi che dimorano in cella.”
“facciamo un accordo…”
“Non mi fraintenda caro dottore, lei non è in grado di dettare alcuna condizione, conosco le sue idee anarcoidi. Sinora le ho risparmiato le torture solo perché ho bisogno di lei. Ma non ne abusi. Sia saggio. Sappia che un suo comportamento assennato sarà apprezzato. Sappia che forse servirà a salvare qualche vita.”
“vorrei poter credere che avete una parola.”
Fu questo che Don Erminio commentò e che l’alcalde fece finta di non udire.
“Cosa vi serve?”
“dell’acqua calda”
L’alcalde suonò un campanellino e si fece portare diversi catini di acqua calda.
Don Erminio cominciò la visita. Palpò il ventre, nella parte destra e poi in quella sinistra.
“Fa male qui?”
“ Sì, fa male.”
“Hm”
“ E qui?”
“Sì. Molto. E’ aumentato da ieri”
“Hm”
Rimaneva assorto e questo riserbo non faceva che innervosire ulteriormente l’Alcalde, che si sforzava di pazientare ma che, in quella guerra di nervi, pareva decisamente a mal partito.
“Allora? Cos’è?”
“c’è un versamento”
“E allora?”
“ Trauma chiuso addominale”
“ Vale a dire?”
“credo che si sia rotta la milza”
“ ha delle fitte?”
“A tratti delle fitte lancinanti”
“ C’è bisogno di un’operazione”
Frattanto si udirono dieci colpi di fucile. A cadenza regolare. Poco distante il prete, Don Calatayud, stava svolgendo una funzione in latino, e nessuno degli astanti sembrava capire una parola. Al funerale di Billy lo gnomo, infatti, c’erano solo i bracconieri inglesi. Che già non parlavano molto di spagnolo o di creolo, figurarsi di latino.
Quando ne ebbe abbastanza delle cantilene in quell’idioma incomprensibile prese la parola Colmish, interrompendo la funzione.
“ ecc. ecc., grazie prete, ne abbiamo abbastanza”
Ispirato da quella funzione e dalla sete che gli imponeva di andare a rifocillarsi al più presto alla “Volpe d’argento” Colmish si produsse in una orazione funebre che sarebbe stata ricordata per anni a Mammarranca e dintorni. Poco prima di buttare una manciata di terra su quella bara da bambino pronunciò queste sentite parole:
“non ti abbiamo mai potuto soffrire Billy, tu e le tue manie di grandezza, se mi è consentito sfottere. Ma chi ti ha tolto di mezzo ci ha anche defraudato della nostra meritata ricompensa. Sissignore. E tu dopotutto ci hai insegnato una cosa. Noi siamo cacciatori, bracconieri. Gente che vive nella natura, che respira gli odori, meglio dei nostri segugi. Ora qui il clima è inospitale, d’accordo, ma che diamine, ci hai dato una vera lezione. Avevi ragione tu, non ho vergogna di ammetterlo, dannato gnomo. Noi siamo fatti per la caccia, non solo per la baldoria, anche per quello, siamo uomini di mondo, no? Ma siamo fatti per la caccia, per Dio. Per cui Billy, che tu sia stramaledetto, Billy, noi te lo giuriamo: la pelliccia di quel dannato Lupo Mannaro te la conciamo personalmente. E con quella noi, è un giuramento, questo, prete benedicici, noi dicevo, ricopriremo la tua tomba. Bah. E ora sparisci Billy, ritornatene all’inferno. Così sia.”
Tutto fu proclamato con la solennità di cui “Sir” Colmish era capace, in inglese, e sugellato da due Hurrah scanditi in coro dai bracconieri. Cui seguirono altri dieci colpi di fucile.
E mentre cominciarono i rintocchi della campana che suonava a morto cominciò a cadere una pioggerellina sottile che accompagnò la bara coperta di terra fin quando Billy lo gnomo scomparve per sempre.
Non fece a tempo a sentire i rintocchi della campana l’alcalde che chiuse gli occhi sotto l’effetto dell’anestesico. Prese i bisturi disinfettati e cominciò a incidere. Un lungo taglio verticale che attraversava il corpo dal pube allo sterno.
E in quel preciso momento, con le prime gocce di sangue che apparivano sulla linea del taglio, l’alcalde non era più per lui un simbolo del potere, un nemico da combattere, un uomo senza morale, ma semplicemente un paziente per cui lui aveva il dovere di fare tutto il possibile.
A un tratto lo guardò. Guardò quel volto pallido, scavato dal tempo e vide un’espressione sofferente, per una volta autentica. Spogliata di quei cerimoniali barocchi dietro i quali amava nascondersi.
Era, una volta per tutte, banalmente, uomo. Vulnerabile e minuscolo come tutti. Una particella di pulviscolo nell’universo” Così parve a Don Erminio mentre gli asportava la milza, a pezzi, dal ventre.
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14 commenti:
Ciao Igort, ci sei a Milano? All' inaugurazione?
Ho risposto.
Caro Thomas, immagino che parli della triennale di Milano. Si', ci sono. Domani e dopodomani per una tavola rotonda, alla triennale.
Se la mostra è quella della triennale, vorrei fare una considerazione: come è possibile far uscire il fumetto dalla tana del prodotto adolescenziale quando si indica come "tema di particolare rilevanza" del concorso un "Verso Oriente" che non significa nulla. Perché lo chiamano "tema"? che cavolo vuol dire "stimolare la creatività in sintonia con lo spirito della mostra"? Uffa, non ci siamo, la letteratura così è lontana mille miglia... non c'è rigore... non c'è consapevolezza che la narrazione, anche quella disegnata, può essere sconvolgente.
andrea barbieri non si capisce niente.
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Sono contento, che ci sei, probabilmente verrò ad importunarti!
Seriamente , se non sarai troppo occupato proverò un piccolo incontro.
A presto
Sì ma non è "Ex-oriente" (titolo tra l'altro di una mostra curata da Barilli sui nuovi artisti orientali), ma è "verso oriente" come se fossimo noi a portare qualcosa a loro. Boh, mistero.
Comunque quello che volevo dire - effettivamente ero un po' ellittico - è: io vorrei un fumetto che non ha nulla da invidiare al Porto di Toledo della Ortese (esempio di scrittura sognante che si sposa benissimo con le possibilità del fumetto). Vorrei roba sostanziosa, roba che canti la vita, roba che scortica.
Voglio troppo?
Sì vero?
Un gioco ozioso non so. A me pare che quella poetica lì, quella del "pensiero sognante" sia una strada maestra per il fumetto.
E' Leopardi, Kafka, la Ortese...
Capisco che la cosa possa sembrare delirante, però a me pare così chiara... che ce devo fa'!
Caro Andrea, scusami, ma credo che la tua lettura sia pregiudiziale.
Tu dici :
"ma è "verso oriente" come se fossimo noi a portare qualcosa a loro. Boh, mistero."
Ci hai pensato che nel corso degli ultimi quindici anni circa 170 autori europei sono stati invitati a lavorare per il mercato asiatico?
Io sono stato in Giappone per anni, quando ho chiesto il perché di tutta questa generosità nei miei confronti, che non ero neppure un best seller, i miei editor mi hanno risposto: "perché i nostri autori stanno imparando da alcuni di voi occidentali come concepite il racconto a fumetti."
Credo che i due filoni (grqphic novel e influsso del manga) siano un 'evidenza per noi che frequentiamo il linguaggio fumetto, lo sono molto meno per quelli che non se ne occupano troppo.
Questione di qualche milione di lettori possibili.
In sostanza credo che sarebbe da accogliere una mostra di tale prestigio che si interroga sulle strade della nuova narrazione piuttosto che sul mascara di diabolik, con tutto il rispetto per il mascara.
Sì, questo è verissimo Igort, ma mi sono proprio espresso male, nel senso che alla fine il mio intervento è incomprensibile e iconoclasta quando non vorrebbe esserlo.
Quello che volevo dire in sostanza è che se penso a quello che davvero mi piace nel fumetto e che faccio mentalmente entrare in un metagenere "narrazione" insieme alla letteratura, non è il fatto che si vada verso oriente o che queste due grandi tradizioni possono fondersi. Per me questa è una poetica personale, questo movimento verso è uno strumento. Quello che cerco - forse sbagliando, romanticheggiando inconsapevolmente - è "l'individuo" (che è poi il perno di quell'intervista a Scarpa che ho linkato nel quindicesimo Argento!). Il grande Male è la storia di un individuo. Baobab è la storia trasfigurata di un individuo (ma pensi di essere lontano dal Porto di Toledo? non usi lo stesso procedimento di non nominare le cose col loro nome? il Parador non è il non-nome di qualcosa che esiste e che è nella tua esperienza, come la Toledo-Napoli della Ortese?). Prima della prigione e In prigione sono la storia di un individuo...
La storia di un individuo non è uno scherzo postmoderno. O meglio so che ci sono trucchi narrativi, prese di distanza necessarie dalla propria storia. Insomma le storie non sono l'esperienza nuda e cruda. Però in qualche modo ritornano a quella e "servono" per capirla.
Da questo punto di vista radicale e forse un po' balordo - anzi sono sicuro che è balordo, non approfondito abbastanza - dicevo che questo "tema del concorso" potrebbe essere più ambizioso, più verso ciò che fa grande il fumetto.
Andrea, ma il concorso è qualcosa che si sono inventati degli editori, non è la mostra. La mostra contiene un percorso e quattro stanze. Chi ci abita in queste quattro stanze?
Siamo stati invitati a residenza in quattro: io, Chris Ware, Taniguchi e Sfar.
Personalmente faccio graphic novel dal 1981, goodbye baobab era un romanzo di un centinaio di pagine in bianco e nero a un epoca in cui si pensava perlpiù in termini di storie corte, possibilmente a colori.
C'era stata "la ballata del mare salato", certo e "Ici Meme" di tardi e forest, poi più nulla per anni. Ricordo il senso di spaesamento nel guardarsi intorno. Nessuno.
Non c'era nessuno.
Ware e gli altri, ognuno per motivi diversi rappresenta un'idea personale del racconto a lunga gittata di cui si parla. Ognuno molto individuale. Molto a modo suo.
Poi cè un percorso articolato, ambizioso e complesso: Matteo Stefanelli è qualcuno che pensa e lo fa secondo rotte sue. Ha la mia stima da prima che mi invitassea questa cosa.
Il fumetto non è un meta-genere è un linguaggio vero e proprio.
Non facciamone una catastrofe, non ho ancora visto la mostra, poi ne parliamo. Ma non fasciamoci la testa prima di rompercela.
Abbiamo bisogno di cose, non siamo pregiudiziali.
Si appunto non parlavo della mostra, ma del concorso: forse la sfida lanciata ai giovani fumettisti poteva essere più ambiziosa. La mostra sarà sicuramente bellissima, anzi ho già in programma una gita a Milano. Ecco nella mostra sì che è ambizioso riunire quattro maestri geograficamente lontani (l'idea sembra quella di fornire punti cardinali della narrazione disegnata). Né mettevo in dubbio il coraggio che ci è voluto per inventarsi allora quello che ora appare consolidato, la graphic novel.
Ma il tuo "Goodbye baobab" conteneva già in qualche modo il Baobab attuale?
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