14 agosto 2011

Strauss a Manhattan


Dalle mie finestre vedo il palazzo del New Yorker, con la sua insegna rosso fuoco che brilla nella notte. A ovest l’Hudson scorre placido, oggi pioggia, e nebbia. Malgrado questo vedo il traffico sull’altra sponda, i ponti e i treni di Hoboken, New Jersey. L’imbarcadero sulla 42sima west ha un’attività moderata, la domenica. Ogni tanto la sirena di un traghetto "Poooot Poooot", e il vorticare di quelle acque limacciose. Per il resto sonno. Letargo di un giorno qualsiasi, per la strada quasi nessuno, solo qualche sportivo che fa footing, e il traffico formicolante delle auto sulla highway. Il tempo sembra sospeso, come in attesa di qualche grande avvenimento.
Di ritorno dal negozio di Wine & Spirits, dove ho speso 20 $ per una bottiglia di pinot noir della california assassinato da sapori fruttati e troppo rotondi, passo per la lobby, che qui somiglia agli spazi glassati e siderali di un film di kubrick. Mi aspetto da un momento all'altro di sentir le note di un walzer di Strauss.

11 agosto 2011

cowboys


lui è al telefono fuori dalla gelateria, e fuori, di fronte a lui comincia un parapiglia che agita perfino i poliziotti chiacchieroni. Jeez! Sono di nuovo qui, quegli sciroccati esibizionisti dei naked cowboys. Imbracciano due chitarre ma non le sanno suonare granché, massacrano qualche canzoncina che fece grande Frankie Laine. Ecco tutto. Entrano in una pizzeria e poi ne escono trionfanti, manco avessero conquistato little big horn, escono a farsi fotografare. Non fanno altro, si mostrano. Beati. E lui, che stava discutendo con lei al telefono,ora può cambiare argomento.
Questa è Broadway, baby.

9 agosto 2011

the hunters


pioggia. I cacciatori di pozzanghere si precipitano a times square per fotografare le insegne riflesse. Li vedi facilmente, in mezzo ai pedoni che attendono di attraversare, stanno carponi ad agitare l'acqua a ogni rosso e poi scattano e si mostrano reciprocamente le cose che l'obbiettivo cattura. Poi verde, fanno passare e attendono diligentemente il nuovo semaforo rosso per rimettersi a 4 zampe. Li avvicino, sono cacciatori socevoli, americani, mi mostrano il loro bottino. Sorridiamo complici, mentre cerco il numero della neuro.

skyscraper life


Dal 19 piano di un grattacielo sulla 32sima tutto pare minuscolo. E devo appoggiarmi per non essere vittima delle vertigini. Ci sono 4 ascensori, 45 piani, e oltre 400 appartamenti, quando aspetti per scendere (discesa o salita perlatro rapidissime) hai l'impressione che il tempo rallenti, tali sono le attese. Evidentemente 4 ascensori non sono abbastanza. Dalla finestra vedo l'Hudson e i battelli ormeggiati. I riflessi del grattacielo di fronte mi svegliano presto. Penso a come sarebbe la mia vita americana se rimanessi a lungo in questo posto. L'altro giorno ho chiesto a David se si sentiva newyorkese e lui ci ha pensato e mi ha risposto: "diciamo che quando sono qui so chi sono, più che in qualunque altro posto".
Le chiamano radici, i luoghi ci parlano di noi, malgrado noi stessi. Devo farmi un paio di radici portatili.

7 agosto 2011

polveri


tra le botteghe di tatuaggi o di manicure, al village, si celano discretamente come è possibile qui, quelle di veggenti e paragnosti. Vetrine colorate con luci al neon in cui campeggiano bicchierini e sfere di cristallo. L'altra sera, stanca dopo una faticosa seduta la veggente cicana accompagnava alla porta due clienti sovrappeso preoccupate per il loro futuro amoroso.
Poi, prima di spegnere la luce riordinava le stoviglie servite alla seduta, piattini e tazzine, e piccoli cestini in cui erano depositati i resti del rito. La stanza al buio lasciava risplendere per contrasto la scritta al neon "present past and future" sotto un disegno di una caffettiera e una tazza di caffé. Tra le polveri depositate, si sà ci sono i segreti delle nostre vite, basta saperli decifrare per vivere felici.

subway rapsody


Un padre di famiglia, pizzetto e camicia, manipola il suo cellulare. Noto che ha le unghie laccate di nero, come Lou Reed di Rock'n'roll animal. Un bianco sulla trentina, intabarrato con spolverino nero, cappello nero di feltro calato sugli occhi, malgrado gli oltre 30 gradi della metropolitana, nascosto da occhiali neri, ascolta musica energetica, sicuramente dark anche quella. La sua gamba traballa a ritmo. Entra un nero 2 X 2, puro lardo, indossa una t shirt con scritto supermuscular, il logo, la S e i colori, sono quelli di Superman. Una messicana, rossetto fuoco, short in pelle marron, stanca dei suoi colori si è tinta castano chiaro. Gli occhi neri scrutano nervosi, troppo vicini. Una biondina ha dipinte sul volto delle grandi parentesi azzurre, sembrano degli occhiali o una maschera da super eroe. Una grassotella pettinata come Mortissia Addams si siede di fronte a me, sguardo vitreo, ha gli occhi truccatissimi, ciglia finte e lenti blu scure. Le braccia completamente tatuate, modello yakuza. Un brillantino al dito anulare del piede fa ciao ciao.

skies of America


barnes & noble, la più grande catena di librerie d'America ama presentarsi come una biblioteca degli anni 40. Vado al quarto piano della sede di Union Square, a tre passi da Strand. i libri sono disposti con un ordine che rispecchia l'occhio e spesso il gusto dell'addetto al reparto. Osservo attonito. Qui tutto tace, mortificato in una salamoia priva di gusto, priva di un qualunque barlume di genio. Vedo i libri dei miei amici insieme ad altre scartoffie illeggibili. Non un percorso, non accostamenti stimolanti tra titoli che potrebbero parlarsi (come dice giustamente il saggio Roberto Roversi), niente, neppure il banale ordine alfabetico.
Sconsolato cerco di buttarmi dalle scale mobili ma quelle mi riportano su.
Osservo il merchandising. Questo non è meglio. E' tutto molto più lesso di quello moderno e furbetto di Strand. Me ne vado annoiato, guardo la statua in alluminio dedicata a Andy Warhol e penso: ma chi è questo scultore stitico che gli ha reso omaggio? Per rifarmi ascolto Ornette Coleman e le cose, come in Mary Poppins, tornano a posto. Finalmente a casa!

6 agosto 2011

once upon a time


Soho deserta, città fantasma a parte, a due passi dal formicolare di Broadway. Cammino distratto e mi imbatto per caso nella palazzina a tre piani che contiene un piccolo appartamento, uno studio più che altro, in cui si sono fatte cose che hanno cambiato la storia del fumetto americano e non solo. La casa di Raw e di Maus. La osservo, con il suo portoncino minuscolo. Non ci sono mai venuto qui, manco sapevo che fosse a Soho.
Vedo le scritte sul vetro, la scrittura di Art che dice "i pacchi per Raw consegnateli a X e Y". Mi viene alla mente il giovane e sprovveduto Charles Burns, che si fece, sul finire delgi anni settanta, 4 ore di treno per venire da Philadelphia a proporre le sue storie di Dog Boy a Raw. E Spiegelman che gli aprì, e dalla scala lo mandò alla malora dicendo di spedire.
Funzionava così, all'epoca, in maniera molto artigianale, non c'erano grandi corporation a pubblicare quelle storie. Ma solo case-studio, idee, e viaggiatori distratti che tornavano a casa con le pive nel sacco.
Chissa perché poi, me la rido da solo.

4 agosto 2011

jack, nanda, pier


Vedo un'intervista degli anni 60. Fernanda Pivano, che intervista Jack Kerouak, completamente ubriaco, che dice scemenze di fronte alle telecamere, le fa la corte e farfuglia cose da ubriaco. I suoi lineamenti sono forti, disfatti dall'alcol. Un tempo era un bel ragazzo, ora è gonfio, ma è jack, quello che ha scoperto che lo scrivere può essere anche a ritmo di bop, quello che scrive su rulli da telelscrivente perché non vuole interrompere il flusso.
Jack mangiato vivo dal suo mito. Incapace di sopportare il successo, beveva continuamente. C'è chi disse, malignamente, che si addormentò ubriaco e si svegliò famoso.
Venti anni più tardi, ricordo che Tondelli mi raccontava commosso, quando incontrò Nanda, in una latteria a Milano, dove si mangiava, ai tempi di Valvoline, un pò tutti. Lei era quella che ci aveva portato Hemingway, i beat, Dylan e tutto quello con cui si era cresciuti. E lo guardava a distanza, lo osservava con attenzione, da un altro tavolo, lo aveva riconosciuto. Lui, che era timido e sensibile, si avvicinò per presentarsi. Che bello, due intelligenze che si riconoscono. Ancora a distanza di anni giorni, vibrava per l'emozione.

3 agosto 2011

gobo


Al Metropolitan con D. Mazzucchelli, a parlare dei nostri libri del nostro approccio, a capire di cosa e come parlare. In un racconto il tono è tutto, più ancora della struttura del racconto stesso. Passeggiamo, a pranzo da Gobo, nell'upper east side, si chiacchiera di tutto, della vita, del come è difficile vederla scorrere, del come certe cose accadano e noi siamo lì, come dei coglioni a vederla serpeggiare sotto la pelle e non siamo capaci di acchiaparla, di dirlo questo, di trasmetterla poi? Un sogno.
Vedere, saper vedere, che deriva in sintesi, semplicemente, dal saper osservare una cosa, un fatto. Giro intorno a un avvenimento lo disegno e ridisegno, lo affetto lo ricompongo, quello che sento muore, appassisce se non sto attento, concentrato, vivo pronto a coglierne il respiro, a catturarlo e inghiottirlo. Mentre attraverso l'immagine, tremo, se non la mangio non la cago, se non la sento non la rendo, la vita. E' il resto sono tutte balle.

2 agosto 2011

gaslight


Immagino un locale nel quale ci si riunisca, alla sera, per fare mostre, reading, happening. Immagino il fumetto che finalmente parli di cose, della vita, di quello che succede, che parli con la gente. Immagino che riusciamo a portarlo fuori dal ghetto, dal sogno rimpianto di un'adolescenza perduta. Immagino che finalmente la si smetta di parlarci allo specchio. Immagino che si possa ricreare una scena vera e forte, piena di vita, dolore, anche tristezza, magari, se dobbiamo essere sinceri, ma vita. Immagino che i nuovi Crumb o Shelton, Irons o Kurtzman mi parlino di quello che vedono, delle guerre combattute malamente, di quello che succede, dei dropout, della vita che qui, per esempio, non devi neppure stare a grattare troppo per vedere nei suoi lati più oscuri, disperati. Immagino che qualcuno mi racconti un vagone di metropolitana, parlandomi uno per uno delle persone che vedo, che sembrano comparse di un film di Fellini. E questo sarebbe un bel libro, un libro semplice, come affacciarsi alla finestra per finalmente vedere.

F train to Manhattan


seduti nel backyard di casa Madden-Abel a parlare della scena culturale newyorkese. Mentre qualcuno mi ha rubato il bidone dell'immondezza, proprio oggi e domando se questo sia lo sport preferito qui a Brooklyn. Mi dicono di guardare nel giardino del vicino. Domando: perché Persepolis è stato tanto apprezzato qui? Perché lo è stato Maus? E la chiacchierata si arricchisce di analisi degli anni 60 e della scena underground. Oggi sembrano tutti più stanchi, meno motivati. E' senz'altro l'aria dei tempi, ma non basterà a farmi restare seduto.