5 marzo 2012

Pavel




Pavel Florenskij era nato il 9 gennaio del 1882, a Evlach, in Azerbaigian, da madre armena. La sua infanzia nel Caucaso è fonte di tanti ricordi riportati fedelmente nelle lettere ai figli e alla moglie. Cresce in Georgia. Nel corso degli studi rivela una profonda attrazione per le materie scientifiche, a scuola però si annoia; è nella natura che i suoi interessi si risvegliano. Fin da piccolo la sua osservazione minuziosa dà origine a un metodo di studio e catalogazione, che gli servirà da adulto. Immerso nella natura, tra piante e minerali coglie il mistero che lo porterà, anni dopo, a una vocazione mistica molto importante. Il padre, ingegnere ferroviario, uomo di cultura molto rispettato, è figura di riferimento. La madre, austera e distratta, rimarrà per sempre come un vuoto nella sua vita.
Si laurea nel 1904 all’Università a Mosca in matematica e fisica, avendo avuto come maestro N.V. Bugaev, uno dei più eminenti matematici russi dell’epoca.
Subito dopo frequenta l’Accademia teologica di Mosca e approfondisce lo studio delle lingue antiche e delle scienze bibliche con risultati molto elevati.
Prende i voti, pubblica numerosi scritti di argomento teologico, filosofico, spirituale, ma non trascura le ricerche matematiche, sviluppa tematiche epistemologiche.
Dice di credere in una mistica scientifica, e in una scienza mistica.
Partecipa attivamente alla vita culturale moscovita pre-rivoluzionaria fatta di circoli simbolisti, società teosofiche, antroposofiche, che considera però distanti avanguardie artistiche.
Quando viene chiamato alla cattedra di Storia della filosofia, riscuote grande successo presso gli studenti e i suoi stessi colleghi.
In quell’epoca frequenta Anna Mikhailovna Giacintova che sposerà nel 1910. Sua moglie resterà al suo fianco per tutta la vita.
Una volta monaco presbitero indossa l’abito talare che non toglierà mai più, fino alla deportazione.
Nella Russia comunista quella tunica sarà fonte di grandi guai, ai congressi scientifici desta scalpore e inquietudine che un uomo di chiesa sia uno scienziato tanto influente.
Ma prima, negli anni che precedono la rivoluzione, la sua carriera ha un esito sfolgorante, viene nominato docente straordinario di filosofia, si interessa alla “storia delle idee”.
Insegna, approfondisce i suoi studi sul concetto di infinito nella logica simbolica e matematica.
Negli anni dal 1911 al 1917 dirige la prestigiosa rivista Messaggero Teologico di cui rinnova contenuti e impostazione.
Nel 1914 pubblica La colonna e il fondamento della verità, uno dei suoi testi più importanti. Saggio scritto in forma epistolare, oggi ritenuto la "summa del pensiero teologico ortodosso", e pietra miliare del pensiero filosofico-teologico contemporaneo.
Florenskij è a tutti gli effetti figura unica, pioniere di un nuovo orientamento di pensiero in campo teologico e scientifico, capace di contrastare l’avanzata del pensiero nichilista.
Dopo la rivoluzione russa, a differenza di molti suoi colleghi intellettuali che scelgono l’esilio, Florenskij crede nella necessità di rimanere in patria, al fianco di chi subisce soprusi e violenze. Questa sarà la sua condanna.
Diventa docente di "Analisi della spazialità nell’opera d’arte" e riesce, tra diverse difficoltà, a lavorare sino al 1924. Porta avanti la ricerca tecnico-scientifica nel settore della fisica e cura molte voci dell’Enciclopedia Tecnica. Collabora anche con l’Istituto Elettrotecnico di Stato.
Molto vasta la produzione scientifica che va fino al 1928. Poi il primo arresto. Interrogato nei tetri uffici della Lubianka, confessa sotto dettatura complotti inesistenti. In nessun interrogatorio accetterà di accusare i suoi colleghi o conoscenti, cosa invece molto diffusa all’epoca.
“Oscurantismo”, questa l’accusa con cui è incarcerato. Nel suo dossier viene subito catalogato come “soggetto socialmente pericoloso” e condannato al confino.
Arriva la depressione, lo sconcerto. Tre mesi dopo viene liberato in seguito all’interessamento di eminenti e influenti colleghi. La sentenza viene annullata. Una svolta nella sua vita, avverte il pericolo ma non vacilla. Pur avendone l’opportunità Florenskij rifiuta ancora una volta l’esilio a Parigi.
Lavora, studia e scrive ancora per qualche anno, circondato da una palpabile ostilità. L’ambiente intorno a lui è sempre meno accogliente, è chiaro, oramai è un uomo braccato dal regime. Un nemico del popolo.
Malgrado tutto, senza timore, si presenta alle riunioni scientifiche in abito talare.
Nel 1933 il secondo arresto. Nuove confessioni incongruenti sotto dettatura. Poco dopo la condanna terribile: dieci anni di lager e il trasferimento a Skovorodino, nella Siberia occidentale, dove comincia i suoi studi sul gelo perpetuo. Soffre perché gli sono stati portati via gli occhiali. È costretto a leggere e scrivere completamente incurvato sul tavolo. Lontano dalla famiglia invia lettere umanissime e rassicuranti, minimizza le proprie condizioni e la vita di stenti. Si preoccupa per le difficoltà economiche nelle quali, in seguito alla sua condanna, versa la famiglia. Poi, dopo anni, finalmente nell’estate del 1934 riceve la visita della moglie e dei tre figli più piccoli. Sarà l’ultimo incontro.
Il primo settembre dello stesso anno viene trasferito nell’arcipelago delle isole Solovki, la più terribile delle colonie penali, il gulag che dista soli 160 km dal circolo polare artico.
Le condizioni inumane e il progetto sistematico di annientamento della persona sono un duro colpo. Nelle Solovki si muore come mosche, regna il terrore, il dolore. Le fucilazioni sono all’ordine del giorno. E non sono solo i prigionieri a subire questa sorte. La macchina di sterminio sovietica elimina sistematicamente gli stessi ufficiali e militari. È un uso comune. Per tre anni, in queste condizioni spettrali, Florenskij studia brevetti importanti sull’estrazione dello iodio dalle alghe marine.
Ma è cominciato un lento e progressivo declino.
A soli 55 anni, l’8 dicembre del 1937 viene ucciso con un colpo alla nuca, assieme ad altri 500 detenuti nel bosco fuori Leningrado. La sua sorte verrà tenuta segreta per decenni. Fino ai giorni recenti, quando l’apertura degli archivi segreti dell’ex URSS rivelerà questa triste fine.
"Nulla si perde completamente, nulla svanisce - scrive in una lettera - ma si custodisce in qualche tempo e in qualche luogo, anche se noi cessiamo di percepirlo".
La produzione di Florenskij è vastissima e spazia in tutti i campi: teologia, scienza, filosofia, letteratura, linguistica, arte, musica.
È tuttora considerato una delle menti più fulgide del Novecento.

4 marzo 2012

un sabato pomeriggio in libreria


5200 novità, l'anno scorso in Francia. Libri, numeri, giorni spesi a vivere, a disegnare, a scrivere. Il rischio dell'indifferenza è mortale. Per questo i librai hanno un ruolo determinante. Si gioca alla roulette russa delle idee, delle visioni. E se un libraio segnala "coup de couer du vendeur" significa tanto per un libro, un minuto di luce, prima dell'oblio.

3 marzo 2012

raccontarsi


Istituto italiano di cultura, Parigi. Sera, modeste narrazioni di viaggio per contagiare la curiosità su luoghi remoti dell'ex impero soviet, carichi di dolore e silenzio. L'abbraccio arriva, stordisce e motiva. Ringrazio e penso a Florenskij, a Marina Cvetaeva, a quanto hanno sofferto; interrogati ingiustamente da chi non era neppure capace di leggere i loro scritti. Destini esplosi nel nulla, che oggi rimbombano.
Peso, forma, talento e cuore.