27 dicembre 2011

Wim e Yasujiro


Ogni tanto, nei momenti in cui riesco ad avere un poco di calma, a raccogliere le idee, rivedo alcuni film per me importanti. Tokyo-ga di Wim Wenders è uno di questi. E' un documentario che Wenders fece nel 1983, venti anni dopo la morte del regista giapponese Yasujiro Ozu. Regista immenso e semplicissimo che realizzò, nel corso della sua carriera, 54 film e raccontò la vita dolce prima della guerra, la crisi, e la trasformazione verso la modernità. Wenders trentottenne rende omaggio a Ozu, a una pratica del racconto in cui si canta la vita quotidiana. Maestro di grazia e di sensibilità Ozu, in vita, non godette dei riconoscimenti internazionali di Kurosawa o Imamura eppure il suo sguardo ha attraversato il tempo.
Quel che mi appassiona di questo piccolo film è l'amore sincero, lo sguardo affettuoso che il regista tedesco, profondo conoscitore di Ozu, riesce a trasferire nella sua pellicola. E' la quintessenza della cinefilia, o per meglio dire, della gratitudine che lega ognuno di noi, ai creatori di grandi opere. Cos'è in fondo un bel libro, un bel film o un bel dipinto? Qualcosa che ci insegna a "vedere" a comprendere, per così dire, una briciola di questa esistenza.
Ozu, con le sue inquadrature basse, all'altezza di una persona seduta sui tatami, e le sue storie modeste, quasi dimesse, è riuscito nell'impresa di renderci migliori.
E Wenders, con questo piccolo, prezioso omaggio, da il meglio di sé, inaugurando la stagione di quegli indimenticabili documentari che avrebbero poi dato titoli come Buena Vista, e ultimamente Pina.
D'altro canto, mi ricordo di lui, negli anni 70, quando, sulle pagine di un libro di interviste sul "nuovo cinema tedesco" dichiarava la sua passione per la cultura americana, per la musica, che gli aveva "salvato la vita". Anche da questo, io credo si misura la statura di un uomo.
Dal coraggio di amare.

22 dicembre 2011

appena nati


ricevo le copie staffetta dei miei ultimi libri, la ristampa dei cahiers ukrainiens e l'edizione nuova nuova dei cahiers russes. emozione.

16 dicembre 2011

il tavolo


il tavolo del mio studio si riempie di libri degli anni settanta. Io guardo attonito e cerco di capire.

12 novembre 2011

ringrazio


La redazione di Fahrenheit mi ha comunicato ieri che i lettori e gli ascoltatori hanno votato i quaderni russi come libro del mese. felice, ringrazio chi mi ha votato e letto. Un caro abbraccio.

18 ottobre 2011

quaderni russi, in libreria


Si coclude con questo volume il ciclo di racconti registrati nel corso degli ultimi anni negli ex paesi dell'Unione sovietica. Ucraina, Russia, Siberia. Diario di un lungo viaggio che ha cambiato la mia vita. Ricordando Anna Politkovskaja, con le parole di Galina Ackerman, sua amica intima e traduttrice, con i ricordi intrecciati di vittime e carnefici del conflitto che insanguina la Cecenia in questi anni, in questi giorni.

14 agosto 2011

Strauss a Manhattan


Dalle mie finestre vedo il palazzo del New Yorker, con la sua insegna rosso fuoco che brilla nella notte. A ovest l’Hudson scorre placido, oggi pioggia, e nebbia. Malgrado questo vedo il traffico sull’altra sponda, i ponti e i treni di Hoboken, New Jersey. L’imbarcadero sulla 42sima west ha un’attività moderata, la domenica. Ogni tanto la sirena di un traghetto "Poooot Poooot", e il vorticare di quelle acque limacciose. Per il resto sonno. Letargo di un giorno qualsiasi, per la strada quasi nessuno, solo qualche sportivo che fa footing, e il traffico formicolante delle auto sulla highway. Il tempo sembra sospeso, come in attesa di qualche grande avvenimento.
Di ritorno dal negozio di Wine & Spirits, dove ho speso 20 $ per una bottiglia di pinot noir della california assassinato da sapori fruttati e troppo rotondi, passo per la lobby, che qui somiglia agli spazi glassati e siderali di un film di kubrick. Mi aspetto da un momento all'altro di sentir le note di un walzer di Strauss.

11 agosto 2011

cowboys


lui è al telefono fuori dalla gelateria, e fuori, di fronte a lui comincia un parapiglia che agita perfino i poliziotti chiacchieroni. Jeez! Sono di nuovo qui, quegli sciroccati esibizionisti dei naked cowboys. Imbracciano due chitarre ma non le sanno suonare granché, massacrano qualche canzoncina che fece grande Frankie Laine. Ecco tutto. Entrano in una pizzeria e poi ne escono trionfanti, manco avessero conquistato little big horn, escono a farsi fotografare. Non fanno altro, si mostrano. Beati. E lui, che stava discutendo con lei al telefono,ora può cambiare argomento.
Questa è Broadway, baby.

9 agosto 2011

the hunters


pioggia. I cacciatori di pozzanghere si precipitano a times square per fotografare le insegne riflesse. Li vedi facilmente, in mezzo ai pedoni che attendono di attraversare, stanno carponi ad agitare l'acqua a ogni rosso e poi scattano e si mostrano reciprocamente le cose che l'obbiettivo cattura. Poi verde, fanno passare e attendono diligentemente il nuovo semaforo rosso per rimettersi a 4 zampe. Li avvicino, sono cacciatori socevoli, americani, mi mostrano il loro bottino. Sorridiamo complici, mentre cerco il numero della neuro.

skyscraper life


Dal 19 piano di un grattacielo sulla 32sima tutto pare minuscolo. E devo appoggiarmi per non essere vittima delle vertigini. Ci sono 4 ascensori, 45 piani, e oltre 400 appartamenti, quando aspetti per scendere (discesa o salita perlatro rapidissime) hai l'impressione che il tempo rallenti, tali sono le attese. Evidentemente 4 ascensori non sono abbastanza. Dalla finestra vedo l'Hudson e i battelli ormeggiati. I riflessi del grattacielo di fronte mi svegliano presto. Penso a come sarebbe la mia vita americana se rimanessi a lungo in questo posto. L'altro giorno ho chiesto a David se si sentiva newyorkese e lui ci ha pensato e mi ha risposto: "diciamo che quando sono qui so chi sono, più che in qualunque altro posto".
Le chiamano radici, i luoghi ci parlano di noi, malgrado noi stessi. Devo farmi un paio di radici portatili.

7 agosto 2011

polveri


tra le botteghe di tatuaggi o di manicure, al village, si celano discretamente come è possibile qui, quelle di veggenti e paragnosti. Vetrine colorate con luci al neon in cui campeggiano bicchierini e sfere di cristallo. L'altra sera, stanca dopo una faticosa seduta la veggente cicana accompagnava alla porta due clienti sovrappeso preoccupate per il loro futuro amoroso.
Poi, prima di spegnere la luce riordinava le stoviglie servite alla seduta, piattini e tazzine, e piccoli cestini in cui erano depositati i resti del rito. La stanza al buio lasciava risplendere per contrasto la scritta al neon "present past and future" sotto un disegno di una caffettiera e una tazza di caffé. Tra le polveri depositate, si sà ci sono i segreti delle nostre vite, basta saperli decifrare per vivere felici.

subway rapsody


Un padre di famiglia, pizzetto e camicia, manipola il suo cellulare. Noto che ha le unghie laccate di nero, come Lou Reed di Rock'n'roll animal. Un bianco sulla trentina, intabarrato con spolverino nero, cappello nero di feltro calato sugli occhi, malgrado gli oltre 30 gradi della metropolitana, nascosto da occhiali neri, ascolta musica energetica, sicuramente dark anche quella. La sua gamba traballa a ritmo. Entra un nero 2 X 2, puro lardo, indossa una t shirt con scritto supermuscular, il logo, la S e i colori, sono quelli di Superman. Una messicana, rossetto fuoco, short in pelle marron, stanca dei suoi colori si è tinta castano chiaro. Gli occhi neri scrutano nervosi, troppo vicini. Una biondina ha dipinte sul volto delle grandi parentesi azzurre, sembrano degli occhiali o una maschera da super eroe. Una grassotella pettinata come Mortissia Addams si siede di fronte a me, sguardo vitreo, ha gli occhi truccatissimi, ciglia finte e lenti blu scure. Le braccia completamente tatuate, modello yakuza. Un brillantino al dito anulare del piede fa ciao ciao.

skies of America


barnes & noble, la più grande catena di librerie d'America ama presentarsi come una biblioteca degli anni 40. Vado al quarto piano della sede di Union Square, a tre passi da Strand. i libri sono disposti con un ordine che rispecchia l'occhio e spesso il gusto dell'addetto al reparto. Osservo attonito. Qui tutto tace, mortificato in una salamoia priva di gusto, priva di un qualunque barlume di genio. Vedo i libri dei miei amici insieme ad altre scartoffie illeggibili. Non un percorso, non accostamenti stimolanti tra titoli che potrebbero parlarsi (come dice giustamente il saggio Roberto Roversi), niente, neppure il banale ordine alfabetico.
Sconsolato cerco di buttarmi dalle scale mobili ma quelle mi riportano su.
Osservo il merchandising. Questo non è meglio. E' tutto molto più lesso di quello moderno e furbetto di Strand. Me ne vado annoiato, guardo la statua in alluminio dedicata a Andy Warhol e penso: ma chi è questo scultore stitico che gli ha reso omaggio? Per rifarmi ascolto Ornette Coleman e le cose, come in Mary Poppins, tornano a posto. Finalmente a casa!

6 agosto 2011

once upon a time


Soho deserta, città fantasma a parte, a due passi dal formicolare di Broadway. Cammino distratto e mi imbatto per caso nella palazzina a tre piani che contiene un piccolo appartamento, uno studio più che altro, in cui si sono fatte cose che hanno cambiato la storia del fumetto americano e non solo. La casa di Raw e di Maus. La osservo, con il suo portoncino minuscolo. Non ci sono mai venuto qui, manco sapevo che fosse a Soho.
Vedo le scritte sul vetro, la scrittura di Art che dice "i pacchi per Raw consegnateli a X e Y". Mi viene alla mente il giovane e sprovveduto Charles Burns, che si fece, sul finire delgi anni settanta, 4 ore di treno per venire da Philadelphia a proporre le sue storie di Dog Boy a Raw. E Spiegelman che gli aprì, e dalla scala lo mandò alla malora dicendo di spedire.
Funzionava così, all'epoca, in maniera molto artigianale, non c'erano grandi corporation a pubblicare quelle storie. Ma solo case-studio, idee, e viaggiatori distratti che tornavano a casa con le pive nel sacco.
Chissa perché poi, me la rido da solo.

4 agosto 2011

jack, nanda, pier


Vedo un'intervista degli anni 60. Fernanda Pivano, che intervista Jack Kerouak, completamente ubriaco, che dice scemenze di fronte alle telecamere, le fa la corte e farfuglia cose da ubriaco. I suoi lineamenti sono forti, disfatti dall'alcol. Un tempo era un bel ragazzo, ora è gonfio, ma è jack, quello che ha scoperto che lo scrivere può essere anche a ritmo di bop, quello che scrive su rulli da telelscrivente perché non vuole interrompere il flusso.
Jack mangiato vivo dal suo mito. Incapace di sopportare il successo, beveva continuamente. C'è chi disse, malignamente, che si addormentò ubriaco e si svegliò famoso.
Venti anni più tardi, ricordo che Tondelli mi raccontava commosso, quando incontrò Nanda, in una latteria a Milano, dove si mangiava, ai tempi di Valvoline, un pò tutti. Lei era quella che ci aveva portato Hemingway, i beat, Dylan e tutto quello con cui si era cresciuti. E lo guardava a distanza, lo osservava con attenzione, da un altro tavolo, lo aveva riconosciuto. Lui, che era timido e sensibile, si avvicinò per presentarsi. Che bello, due intelligenze che si riconoscono. Ancora a distanza di anni giorni, vibrava per l'emozione.

3 agosto 2011

gobo


Al Metropolitan con D. Mazzucchelli, a parlare dei nostri libri del nostro approccio, a capire di cosa e come parlare. In un racconto il tono è tutto, più ancora della struttura del racconto stesso. Passeggiamo, a pranzo da Gobo, nell'upper east side, si chiacchiera di tutto, della vita, del come è difficile vederla scorrere, del come certe cose accadano e noi siamo lì, come dei coglioni a vederla serpeggiare sotto la pelle e non siamo capaci di acchiaparla, di dirlo questo, di trasmetterla poi? Un sogno.
Vedere, saper vedere, che deriva in sintesi, semplicemente, dal saper osservare una cosa, un fatto. Giro intorno a un avvenimento lo disegno e ridisegno, lo affetto lo ricompongo, quello che sento muore, appassisce se non sto attento, concentrato, vivo pronto a coglierne il respiro, a catturarlo e inghiottirlo. Mentre attraverso l'immagine, tremo, se non la mangio non la cago, se non la sento non la rendo, la vita. E' il resto sono tutte balle.

2 agosto 2011

gaslight


Immagino un locale nel quale ci si riunisca, alla sera, per fare mostre, reading, happening. Immagino il fumetto che finalmente parli di cose, della vita, di quello che succede, che parli con la gente. Immagino che riusciamo a portarlo fuori dal ghetto, dal sogno rimpianto di un'adolescenza perduta. Immagino che finalmente la si smetta di parlarci allo specchio. Immagino che si possa ricreare una scena vera e forte, piena di vita, dolore, anche tristezza, magari, se dobbiamo essere sinceri, ma vita. Immagino che i nuovi Crumb o Shelton, Irons o Kurtzman mi parlino di quello che vedono, delle guerre combattute malamente, di quello che succede, dei dropout, della vita che qui, per esempio, non devi neppure stare a grattare troppo per vedere nei suoi lati più oscuri, disperati. Immagino che qualcuno mi racconti un vagone di metropolitana, parlandomi uno per uno delle persone che vedo, che sembrano comparse di un film di Fellini. E questo sarebbe un bel libro, un libro semplice, come affacciarsi alla finestra per finalmente vedere.

F train to Manhattan


seduti nel backyard di casa Madden-Abel a parlare della scena culturale newyorkese. Mentre qualcuno mi ha rubato il bidone dell'immondezza, proprio oggi e domando se questo sia lo sport preferito qui a Brooklyn. Mi dicono di guardare nel giardino del vicino. Domando: perché Persepolis è stato tanto apprezzato qui? Perché lo è stato Maus? E la chiacchierata si arricchisce di analisi degli anni 60 e della scena underground. Oggi sembrano tutti più stanchi, meno motivati. E' senz'altro l'aria dei tempi, ma non basterà a farmi restare seduto.

30 luglio 2011

take a look at this man


Questa è la faccia che aveva Hubert Selby Junior quando scrisse Ultima fermata a Brooklyn e si scolpì nel firmamento letterario dei cantori dei diseredati. Così, con un libro, anche influenzò la storia della musica, e non solo. Divenne un mito per scomparire poco dopo, inghiottito dal gorgo della memoria corta. Non ci sarebbe Take a walk on the wild side senza last exit to Brooklyn, non ci sarebbe Patti Smith, nè Munoz, probabilmente. E non ci sarebbero tanti altri cantori di maniera che costituiscono solo zavorra inutile.
"Conosco l'alfabeto, forse posso essere uno scrittore".
Preso dal terrore, dopo una visione, che la sua vita scorresse inutilmente, si accanì a cercare di raccontare, basandosi sui ricordi violenti di infanzia. Selby scriveva "a orecchio" e si lasciava andare alla sua prosa spontanea, una sorta di flusso di coscienza che lo apparentava a Kerouac. Come per Kerouac, il ritratto dell'America prendeva corpo a partire dai reietti. Portuali, senzatetto, delinquenti, sfruttatori, travestiti, prostitute, omosessuali, tossici e, non ultimi, i miserabili esclusi dall'american dream in generale. Ma a differenza di Kerouac il mondo di Selby è più feroce e decisamente meno mobile. Del tutto metropolitano.

jack


Quando scrisse Sulla Strada, jack aveva 29 anni, era il 1951. Marijuana, benzedrina, bop music, poesia, religione e una assoluta devozione per l'amore carnale, lo nutrivano.
Il suo stile ritmato (si definiva uno scrittore jazz) pare avesse influenzato lo stesso Bob Dylan.
Nel '44 connobbe Burroughs e Ginsberg. Due anni dopo Neal Cassidy, che aveva passato la sua adolescenza in riformatorio, i 2 divengono amici.
Questo emarginato, come lo vede Kerouak, sarà fonte di ispirazione e presenza costante nella sua vita.
On te road lo scrive in 3 settimane e dal momento della sua pubblicazione nel 1957 diventa il manifesto della beat generation.

Composto in lunghe sedute di improvvisazione letteraria, ispirate allo stile nervoso del bop di Charlie Parker, On the road racconta il vagabondare per l'America secondo lo stile degli hobos. Povertà, emarginazione, solitudine, e poesia.
Jack scriveva ispirato dalla musica, il suo ritmo ha ispirato altra musica. Il cerchio si chiude come in un mandala perfetto.

28 luglio 2011

waiting for the man


I'm waiting for my man. Twenty-six dollars in my hand.Up to Lexington, 125. Feel sick and dirty, more dead than alive. I'm waiting for my man.

questo cantava Lou, capelli corti, colorito cadaverico, anima divorata dall'eroina. La generazione elettrica, quella della seconda lost generation, della Factory, la corte decadente di sua maestà Andy Warhol.
Oggi cammino per Lexington, che sembra diventata il regno di manicure e pedicure forsennati, dannati dal lusso e della bellezza cosmetica a tutti i costi. il palcoscenico della miseria esistenziale preferisce dimenticare la poesia di Kerouak, di Ginsberg. America I've given you all and now I am nothing. Sembrano inghiottiti dal tempo gli strali di Dylan prima maniera. Il gaslight non illumina più nessuno qui.
E oggi i miti muoiono, al 125 di Lexington c'è una rosticceria indiana, roba a basso prezzo. Hurry Curry! Ti ci riempi la pancia con due dollari, ma l'anima, quella, brucia sempre.

27 luglio 2011

gloomy


prendi un cafè, mettici dentro una biblioteca, sei dentro un edificio industriale di Brooklyn, ai soffitti lampade stile C'era una volta in America.
Ti portano il menù, che è una busta per posta aerea, dentro una lettera con scritte a mano le cose che puoi prendere, ma in italiano. Prendi una birra e parli con Tommaso, che tiene in piedi tutto questo, Milk and Roses, a Green point, mentre tre sciammannati dal talento indubbio grattugiano le chitarre con modi che furono di Django Reinhardt. Pioveva fino a un momento fa, ma l'italiano fa una cosa graziosa, ci invita nel retro, un giardino carino e discreto in cui lui ha asciugato per noi le sedie e il tavolo di marmo. E per un momento mi sento nel giardino dell'eden.

25 luglio 2011

heatwave


quando, anni fa, ascoltavo il remake di tropical heatwave, canzone storica di Marylin ricreata dal sax e dalle geometrie musicali di James White and the blacks, l'idea di onda calda tropicale era qualcosa di astratto. Una metafora, se si vuole. Oggi che ho sperimentato i 42 gradi della grande mela ho capito che quel concetto era puro realismo (non potrei dire realismo socialista, visto il luogo, ma ne sarei tentato).
I palazzi e le persone sottoposte a questa consunzione climatica ed esistenziale qui reagiscono con il disegno. Si graffittano le pareti degli edifici e si illustrano le epidermidi in qualunque posto e con qualunque soggetto. Ho visto istruzioni tatuate in una schiena femminile, come un kit di montaggio ikea. Spiritose, devo dire (ma è per sempre!!!) e oggi una signorina aveva tatuata sulle tette una scritta tipo "welcome to Brooklyn". Ora se uno si mette distrattamente a leggere poi pensano che le stai guardando la latteria. Molto sconveniente...

broadway


Ci sono 2 Broadway, e una sta a Brooklyn. Vado a visitarla e scopro un quartiere talmente poco invitante da diventare interessante.
La prima reazione però è quella di tornare indietro a nuoto, e subito, (dato che sui binari del metrò scorre un fiumiciattolo in piena), poi mi costringo a percorrerlo e osservando con l'obbiettivo fotografico, scopro diversi angoli pieni di quella vita sgangherata di cui la grande mela abbonda.

23 luglio 2011

pop


per caso, passeggiando per Broadway, mi imbatto in Strand, storica libreria. Decido di entrare a dare un occhio, la cultura dell'over, dell'esagerato, del magniloquente, si è diffusa come un virus e ha infettato anche il mondo dei libri, qui. La copertina di un romanzo diventa merchandising e dunque, t-shirt, sacchi di tela stampati, tazze, memorabilia in genere. Trovo una borsa di Seth, una di Clowes e decine di altre dal design molto curato. Salgo al secondo piano, il reparto graphic novel è molto fornito. Ci sono anche i classici come Gasolyne Alley o Popeye, ristampati in edizioni curatisime, parzialmente in stile Chip Kidd, il grafico rivoluzionario che ha impaginato i libri sui miti del fumetto (Batman o Peanuts che fossero) tenendo ben presente la lezione degli artisti pop. "Pop will eat itself", diceva quello, negli anni 80. E così pare che sia. Il fumetto guarda se stesso con occhio straniato.

Invece si respira un aria molto diversa da Forbidden planet, che è a pochi passi da Strand. Nel pianeta proibito il fumetto sembra ancora celebrato per il suo mito muscolare e fantasmagorico, pare di essere non tanto in due posti fisici diversi, quanto piuttosto in due epoche differenti. Sono troppo vecchio per scudi e mantelli, la mia stagione di carnelvale è passata molte lune fa. Ugh!

Da Strand il fumetto è più sobrio, appesi i cazzotti al muro si cerca di percorrere strade narrative intime (chester Brown, Lucille) o di leggere il reale con occhi disincantati (Sacco o Modan), per dire. E così Paying for it sale al 45° posto tra i libri più venduti in America.
E' una nuova stagione che vede gli editori setacciare migliaia di libri stampati in altri paesi, alla ricerca di qualcosa che parli a un audience america e vorace, che per ora rimane, in parte, a becco asciutto.

22 luglio 2011

storie


si superano i 107 gradi fahrenheit, che sono i nostri 42 gradi. Pare che gli americi non siano usi a queste temperature, perché si muovono impacciati e troppo coperti per le strade surriscaldate in cui i tir modello "Duel" rombano e strombazzano a piacimento. Ogni tanto, per sopravvivere, il semplice pedone, si rifugia in una cella frigorifera o un'altra, che sono poi, i grocery store o le librerie o qualunque altra attività commerciale, dedita, come tutti, alla religione dell'aria condizionata, modello pingino. (meno 18, minimo). E' un boccheggiare biblico che viene accolto come giusta punizione per karma da sbiancare (l'affair Lehman bros? Guantanamo? Quien sabe!?!)
Le storie agghiaccianti di un taxista di origine tajika, che risiede felicemente a N.Y. da 24 anni, storie di bambini rapiti e fatti a pezzi, nella zona ebraica di Brooklyn, ricordano le storie truculente che William Burroughs orecchiava dai commessi viaggiatori. Era un'altra epoca, ma la violenza metropolitana rimane la stessa.

l'apparizione


Per me Brooklyn è tante cose. Hubert Selby Junior, Woody Allen, Coppola, Freaks, ma soprattutto Coney Island. E dunque Lou Reed e le malinconie che questa spiaggia si porta dietro, da un secolo buono.
L'atmosfera era già irreale e solitaria sotto i circa 40 gradi di questo giovedì americano, quando poi è apparso, a poche miglia dalla riva, questo cargo gigantesco, è parso a tutti (me lo hanno detto, giuro) come l'arrivo del Rex in Amarcord di Federico Fellini.

21 luglio 2011

dietro casa


Giorni americani, a rincorrere storie russe. Sul mio tavolo le pagine del libro da finire, fuori l'estate impazza con temperature esagerate. Qui tutto è esagerato, le superfici, la dimensione delle auto, persino le bottiglie, che qui sono dei bidoni. Prendi il latte o il thé freddo? Sono bidoni da un gallone, (tre litri e settantotto).
Perfino i culi, qui, sono i più grandi del mondo.

29 giugno 2011

grazie, Gene


nei giorni della mia adolescenza andavo a piedi alla stazione di Cagliari, in via Roma. C'era un'edicola molto fornita di giornali stranieri, tra i quali sfogliavo, sotto lo sguardo accigliato dell'edicolante, i comic book, prima di capire se c'era qualcosa di importante da comprare. Se trovavo uno o due albetti, stampati su quella carta porosa e scadente, che oggi chiamiamo pulp, ero felice.
I miei sogni di raccontatore a quadretti in erba crescevano, si nutrivano di quelle immagini, di quelle storie. Durante la galoppata indietro fino a casa, che distava qualche chilometro, non riuscivo a trattenermi e sfogliavo e riguardavo le pagine del tesoro di cui mi ero impossessato.
I miei idoli allora erano Mike Kaluta, Bernie Wrightson, Jack Kirby, Barry Smith, Steve Ditko, e naturalmente Gene Colan.
Gene Colan, elegante, misterioso, lo avevo amato subito, quando non avevo neppure tredici anni. Mi colpivano le sue ombre e le fome dinoccolate dei suoi personaggi, ne parlavo spesso con Giorgio Carpinteri, che era mio compagno alle scuole medie. Da Colan avrei capito e imparato veramente, a distanza di molti anni, senza neppure rivederne le pagine. Quando feci la prima tavola di Sinatra, doveva essere il 1997, più o meno. Dissi, "Questa forse piacerebbe a Gene". Quel mio disegno dell'uomo che guida nella notte, mi ricordava il suo modo di vedere, di rappresentare.
In fondo i suoi personaggi, anche quando erano in compagnia, trasudavano una sorta di indecifrabile solitudine. Gene vedeva il lato sghembo dell'esistere, e si divertiva ad esaltarlo, nelle sue composizioni, con grande classe.
La sua lezione, quel mondo fatto di fumo e ombre e riflessi, la quintessenza del sogno insomma, mi è sempre rimasta dentro.
Si è grati a chi ci aiuta a sognare, anche, specie, da bambini. Per questo che ieri, quando il mio editor francese mi ha detto "sai che è morto Gene Colan, qualche giorno fa?" mi è venuto un colpo al cuore.

Sei stato grande Gene. Davvero molto grande.

25 giugno 2011

coversazione con David M.



Un ragionare sul racconto per immagini, davanti a una tazza di thé, a New York nella casa di David Mazzucchelli, qualche anno fa. Quando David lavorava a una storia lunga che sarebbe poi diventata Asterios Polyp.Qui

14 giugno 2011

scrivere


le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe, è meglio evitare il loro impiego e attenersi alla descrizione degli oggetti, degli esseri umani, di se stessi, vale a dire alla descrizione fedele dei fatti.
Dobbiamo descrivere ciò che vediamo, ciò che sentiamo, ciò che facciamo. Se scriviamo "l'attendente è gentile"non è una verità, perché l'attendente può essere capace di cattiverie che noi ignoriamo. Quindi scriveremo semplicemente "l'attendente ci regala delle coperte"
Agota Kristof

5 giugno 2011

negli interstizi


la letteratura lavora negli interstizi della scienza, è sempre in ritardo o in anticipo su di essa, simile alla pietra di Bologna che irradia durante la notte ciò che ha immagazzinato durante il giorno, e grazie a questa luce indiretta illumina il giorno a venire. La scienza è rozza, la vita è sottile, ed è per correggere questa distanza che la letterattura ci interessa.
Roland Barthes