16 settembre 2012

A come Agota

Confesso una certa simpatia per Alessandro Baricco. Non tanto per lo scrittore, che ho frequentato poco, ho letto di suo solo "Novecento" e mi è piaciuto, non conosco ancora molto altro di lui come romanziere. Il Baricco che frequento e che mi è vicino è il Baricco comunicatore. Di lui apprezzo l'affetto genuino e contagioso verso quella pratica che ha cambiato la mia vita: Il narrare. Così, oggi, tutto contento, leggo che si occupa, sulle pagine di repubblica, di Agotha Kristof. Inizio a leggere con il sorriso, poi qualcosa stride, man mano che mi avventuro nel ritratto che il buon Baricco delinea, di lei e della sua meraviglia: trilogia della città di K. Delusione cocente! La prosa spoglia e piena di umanità, scolpita da una scrittura rigorosa, e da un incedere narrativo implacabile che ha reso leggendario il primo quaderno della trilogia, diventa per Baricco "il libro più triste che abbia mai letto". Dico, tra me e me, "mamma mia, che lettura riduttiva e fuorviante". Cerca di redimersi, il cronista Baricco, è vero, ma si infila in una inutile dissertazione tecnica, da olimpiadi della parola, ("Provate a raccontare una qualsiasi storia, o a descrivere una situazione qualsiasi, usando praticamente il solo verbo essere. Vi regalo anche il verbo avere, se proprio non ci riuscite") mentre a chiunque abbia anche solo sfiortato una pagina di A. K. appare evidente che quell'uso parco degli aggettivi e del sentenziare laconico trasmette altro, la bellezza di silenzi e dolori interiori, così raro e stupefacente. Tutto questo, ad articolo finito non mi pare proprio che si colga. Quello che appare è un acrobata del racconto, greve. Per fortuna "non mediocre" (almeno quello)
Ma dov'è il Baricco che raccontava Cirano con un trasporto e una febbre tanto complici? Dove sei finito Alessandro? Pare che il Baricco comunicatore si sia assopito per lasciare la parola a un suo sosia offuscato. Ha senso dire che Salinger sembra uno scrittore per ragazzi al confronto (ma dico, caro Baricco, li hai letti Franny e Zooey, Alzate l'architrave Carpentieri e Il giorno ideale per i pesci banana? Non ti sembra che in quel modo "americano" si parli di cose sottili e invisibili, che sono assai prossime all'approccio della Kristof?). Mi sono risposto che quell'approccio "terra terra", quella fede cieca nella parola e nell'arte di raccontare, attrezzo così utile e duttile adoperato da Baricco tanto spesso, si sia trasformato in questo caso in una trappola. Incapace, come pare, di cogliere l'essenza di una scrittura feroce e spirituale, che ritrae le cose sottili, visibili proprio nello spazio tra una parola e un'altra. Dato che forse, nell'edificio narrativo, solidissimo peraltro, quello che dobbiamo seguire non è la perfetta geometria delle pareti, ma gli spifferi che soffiano freddi, raccontando un mistero indicibile, quello della vita, che è anche vita spicciola nel caso della Kristof. Come nel caso di Vonnegut, Agota è turbata da una tragedia insormontabile, un trauma che non evaporerà mai dalla sua esistenza. Quello di una donna che scappa, una notte del 1956, a piedi, per attraversare, in mezzo alle fucilate dei doganieri, il confine ungherese, con un neonato tra le braccia. Il sogno? Sfuggire alle rappresaglie dell'invasore russo. Anche se poi dirà che dopotutto sarebbe stato meglio un paio di anni nelle galere comuniste di 5 anni in una fabbrica svizzera.
Insomma c'erano tante cose bellissime da dire per suggerire che la Kristof va letta, senza esitazioni, se si vuole cogliere quello che la parola scritta apparentemente non può dire. Se si vuole comprendere come il particolare diventi universale. Per osservare come un racconto di un centinaio di pagine diventi un piccolo monumento tascabile. Caro Alessandro, mi sa, per usare il tuo linguaggio, che stavolta "hai toppato". Peccato. Un abbraccio. ti saluto. igort.