27 giugno 2006

ARGENTO! (capitolo 33)




C’era chi preferiva proseguire il proprio cammino da dove lo aveva interrotto la sera prima di addormentarsi e chi invece approfittava delle asprezze della vita per ripartire da zero.
Questo non era comodo e neppure rassicurante ma poneva nella posizione di vedere le cose dal basso.
Era una semplice regola che Don Erminio, su dottori, aveva imparato da ragazzo.
Da quando aveva studiato alla Sorbona, nella lontanissima Parigi.
Da quando aveva amato Jeanne, quella donna che si diceva amica di Toulouse Lautrec e che rideva come non ridono le donne.
Da quando, infine, credeva di avere imparato a camminare sulle sue gambe.

Al principio Erminio non era che un bamboccio. Aveva il privilegio di studiare lontano da dove era nato. E questo lo aveva inebriato. Lo rendeva euforico e pieno di sorrisi da cerimonia.
Viveva in quella che pomposamente definiva “la capitale dell’universo”. e respirava l’aria di quel “qualcosa che cambia” con lo sguardo rapace di chi pensa a come conquistare la sua fetta di vita.
Eppure sorvolava il mondo senza davvero osservarlo; lo vedeva, ecco tutto, ma non lo capiva affatto. Per lui i protagonisti di quello spettacolo chiamato vita erano qualcosa di poco dissimile da attori, o meglio burattini, di uno spettacolo per bambini come quelli che aveva visto nella sua infanzia paradorena.

Al café de Flor sfogliava svogliatamente un romanzo francese in voga quando lei fece la sua comparsa in compagnia di un amico comune.
“lei è Jeanne, aveva detto lui”
“un amica di Toulouse Lautrec”.
“amica o amante?” aveva chiesto in una delle tante uscite infelici che costellavano la sua vita. Lei non aveva risposto, si era soffermata a guardare la copertina di Madame Bovary e poi aveva detto: “non le serve a molto leggere Flaubert se poi fa delle domande del genere”.

Avevano riso. Anche se la risata di lui era imbarazzata e quella di lei sorniona. Il loro amico aveva colto una strana elettricità passare tra di loro e poi si era inventato un impegno improvviso per lasciarli soli.

L’amicizia a volte è il dono di un Dio generoso, lui di questo era certo. E amava Robert, quel suo amico nobile e “pieno di tatto”.
Passeggiando per i giardini di boulevard Saint Germain avevano parlato di filosofia, e del mondo che cambia e dei reciproci progetti.
“Mio Dio, Erminio, non avrà intenzione di vivere la sua vita da turista, spero…”’
“ e lui aveva capito più sul proprio conto, dopo quella frase, di quanto non avesse compreso in 21 anni di vita”.
“Perché cosa dobbiamo fare?”
“c’è una quantità di modi per rendersi utile”
Quella visione per la quale non c’è tempo da perdere sulle prime gli era sembrata così “provvisoria”, dava l’idea che fossimo di passaggio e dopotutto piuttosto indaffarati, e questo cozzava con la sua calma tropicale. Era un tropicalista che scopriva una realtà piuttosto semplice dopotutto, il mondo non è solo tropico.
Così si era laureato dopo qualche anno. Con lei era nato un amore di quelli famelici, che ti cambiano dall’interno. E lui brindava alla sua sorte delicata e fortunata bevendo Saint Emilion e pronunciando frasi celebri dei loro romanzi preferiti.

Chissà perché tutto quel passato remoto oggi faceva capolino.
Tra il sangue e quella carne recisa.
Usava il bisturi con perizia tagliando in orizzontale per liberare la freccia dal muscolo pettorale di Colmish. Era fortunato quell’uomo, la freccia aveva sfiorato l’aorta e si era piantata in quel corpo smisurato.

“Pochi centimentri e sarebbe morto dissanguato. Ma, evidentemente, non era ancora la sua ora…”

Sorrideva Don Erminio, ormai il tempo era trascorso sulla sua vita e le amarezze lo avevano, a dispetto di tutto, addolcito.
Immerso in quegli odori di alcol e di etere operava un uomo che non aveva in simpatia, con lo stesso scrupolo che aveva imparato ai tempi della relazione in Francia con la sua bella Jeanne.

C’è chi preferisce ricominciare dal giorno prima, lui aveva imparato che ogni giorno si deve ripartire da zero, per onestà, si era imposto quella disciplina da quando, molti anni prima lei lo aveva lasciato.

Fate bollire dell’altra acqua” disse a un attendente.
“Sì dottore”.

Buffo trovarsi a dare ordini a casa dell’alcalde. Lui che non era altro che un prigioniero politico.
Lui che non cercava altro che “volare basso”.
Di prendere la vita per quel tanto di sacro che questa contiene. Chiunque la viva, chiunque la impugni come un’arma, questa vita.

Quando erano dei ragazzi cresciuti e credevano di avere capito qualcosa e parlavano di progresso e di arte, di bellezza e perdono lui aveva avuto notizia della malattia di sua madre, lontano in Parador.

Sua sorella gli aveva scritto una lettera. "Vieni Mamma è molto malata, chiede di te". E lui di quella madre che lo aveva cancellato dalla sua vita, che se lo era dimenticato al deposito bagagli, un giorno che era distratta a seguire suo fratello minore, non aveva saputo che farne.
Sua madre era molto malata?
E allora? Dove era lei quando lui stava crescendo, quando lui aveva bisogno di sapere di essere amato?
Lei non c’era, semplicemente non c’era.
E lui era rimasto per tutta la vita lì, idealmente fermo ad aspettarla a quel deposito bagagli di Papassinas. Città che poi, cresciuto, aveva abbandonato per sempre, visitandola solo nelle rare emergenze, per questo o quel malato.

Aveva lasciato la lettera di sua sorella Tranquillina a marcire sul comodino. E sua madre se n’era andata con il desiderio di sapere che volto avesse oggi quell’ometto di suo figlio. Lui aveva fatto spallucce e continuava a crescere misurandosi con quell’avventura umana che era la vita nella capitale dell’universo.

Fino a quando Jeanne un giorno non aveva aperto la busta, per scherzo, e aveva letto due o tre righe. Poi turbata gli aveva chiesto: perché?
“Perché cosa?” lui aveva risposto.
“Perché non sei andato?”

Gli aveva spiegato cosa era per lui sua madre, qualcuno che lo dimentica a un deposito bagagli, qualcuno che vive distrattamente il suo affetto tutta dedita a suo fratello e alle sue fantasie melodrammatiche.
E lei, Jeanne lo aveva guardato con quello sguardo fatto di disprezzo, tenerezza e orrore e gli aveva detto addio.
Lo aveva lasciato per sempre.
Adesso era lui che la inseguiva e le chiedeva perché.
E lei non era neppure capace di rispondergli. Non sapeva come pronunciare quello che era davvero troppo evidente.
“Perché uno che non è capace di perdonare non sarà mai un buon dottore, non sarà mai neppure un buon essere umano. E certamente non potrà mai essere il mio uomo”.

Due righe sopra un tovagliolo che avevano chiuso le porte a ogni altra discussione.
Lui era rimasto tramortito e aveva preso a odiare. A odiare doppiamente sua madre, per non averlo amato a suo tempo e per avergli portato via l’amore di adulto, quello della donna che gli aveva insegnato a vivere.

Poi aveva deciso la più grande delle sue vendette ed aveva cominciato a "sentire". A sentire gli esseri umani, a studiare, a ricominciare da capo ogni giorno. Ed era diventato un grande medico, un medico amatissimo e partecipe, senz’altro l’uomo che avrebbe fatto felice Jeanne, che d’altra parte era solo un ricordo. Sbiadito dal tempo e dalle emozioni. Una ferita, una cicatrice nel suo corpo di uomo.

“Abbiamo fatto tutto il possibile, tra 3, 4 giorni sarà in piedi se è fortunato, tra quindici la ferita sarà rimarginata e tra un mese sarà guarito.”
“sempre se non insorgono infezioni, ma questo non è sotto il nostro controllo”. E aggiunse
“Oggi è stata una giornata dura per lui ma tra un paio tutto questo sarà, al massimo, un ricordo da raccontare agli amici”.

“il tempo è la migliore medicina” disse l’attendente medico che lo aveva assistito durante l’operazione.
“Già, già. Solo a volte, sembra che non passi mai”.
E chiusero la porta.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Non vorrei fare la figura dell'imbecille... scusatemi ma... mi spiegate cortesemente cos'è questo "ARGENTO"? E' da un po 'che non visitavo questo bel blog... un tempo Igort scriveva pensieri e opinioni... adesso vedo che il tutto è stato sostituito da questo (presumo) mega-romanzo...
Di cosa si tratta? E' solo una richiesta di spiegazioni... nessuna critica, anzi!
Grande Igort!!
ciaoooo

ciccio

igort ha detto...

Caro Ciccio,
Argento è un feuilleton. Una narrazione parallela a Baobab.
La storia si svolge nella stessa epoca e in uno dei luoghi narrati in Baobab.

Per il resto il blog non è camlbiato. I commenti scorrono sotterranei; parliamo delle cose che lo hanno sempre caratterizzato, (oltre che del racconto che è leggibile giorno dopo giorno (o quasi)) in questa area ci sono dibattiti e scambi di idee a proposito dell'arte di narrare per immagini.
Buona lettura.

Anonimo ha detto...

Tra le caratterizzazioni dei personaggi questa di Erminio é quella che ho apprezzato di più. La narrazione delle sue vicende con poche ma vivide immagini giustapposte gli dona un autentico soffio di vita.

igort ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
igort ha detto...

cavolo Kiaretta, che complimenti! Mi fa piacere. Io amo i personaggi di questa storia e cerco di tirare fuori tutta l'umanità possibile.
Ho bisogno di rileggere per comprendere. Con i commenti voi mi aiutate molto.

mercì beaucoup

Anonimo ha detto...

Grazie! Comincio a capire...
certo sarà alquanto difficile rimettersi al passo e leggere tutti i capitoli arretrati!
ciaooo

igort ha detto...

se vuoi leggere i capitoli arretrati basta che scarichi i primi trenta in formato pdf, sono in un post di due giorni fa. Gli altri li trovi in questa stessa pagina.