14 giugno 2006

ARGENTO! (capitolo 28)



Vladymir aveva visto nello sguardo di Lupita la sua infanzia e il dolore che la segnava. Cicatrice dopo cicatrice, giorno dopo giorno la sua vita era stata sfogliata come si sfoglia una rosa. Un petalo dopo l’altro si erano alternati momenti dolci e altri amari, che cadevano al suolo come fogli di un calendario immaginario.
Un giorno segue l’altro sino a quel terribile mattino di primavera del 1894. Che giorno era? Il 12 aprile. Lupita ha sedici anni appena compiuti, attraversa la strada. Sta andando a visitare, in compagnia di suo fratello, il giardino botanico.
Le piacciono gli alberi, le sono sempre piaciuti e sogna un avvenire come guardia forestale. Le piace anche studiare, imparare, e quindi va, finalmente, ad ammirare questo giardino botanico dopo settimane di suppliche ai genitori; loro non sono veramente anziani, ma non frequentano volentieri la città, che vivono con il timore dell’inconosciuto.
Uomo e donna di altri tempi i coniugi Maraboto preferiscono la giungla a Mammarranca, che tale a loro appare la cittadina, una giungla meccanica piena di diavolerie.

Ma non si sentono di imporre la loro visione antidiluviana ai figli. Raccomandano prudenza, prudenza: la città è pericolosa.
Ma il destino è crudele e se ne infischia.

Così vediamo Lupita che attraversa la strada. In quel mentre passa un drappello di scorta alla carrozza del giovanissimo nuovo Alcalde, appena insediato.

Lui nota la giovane Lupita e chiede al suo attendente: “chi è quel bocciolo in fiore?”
L’attendente risponde: “è una semplice contadina della piana poco distante, Eccellenza.”
L’Alcalde appena insediato pregusta gli abusi di potere che potrà concedersi a piacimento. La fa arrestare con un pretesto e la violenta per giorni e giorni.
E’ il 1894.

Cosa faceva in quell’anno Vladymir Andrey?

Questo si domandava leggendo il passato di Lupita nel nero dei suoi occhi.
Scorrono i giorni, i mesi, gli anni. Tanti anni prima, nel 1872 Vladymir, il 13 di maggio, nasce.
Poi, attorno ai sei anni, i primi passi nel mesmerismo. L’educazione precoce del padre, attento adepto e fine esoterista.
1884, a docici anni Vladymir è un fenomeno conosciuto in tutta Europa, lo chiamano “wunder jung” è il mesmerista della nobiltà.
Nelle sue vasche ovali immerge uomini e donne dell’alta società. La miscela è nota alla scienza: acqua, sabbia, frammenti di vetro, zolfo e limatura di ferro a cui presto sostituirà una più versatile polvere d’argento.

E’ un successo sfolgorante.

WUMMMMMP!

Sedute interminabili accompagnate da un quartetto d’archi, che strapazza di preferenza Mozart. E poi le celebri barre d’argento che attraversano la vasca toccando il corpo dei pazienti. E ovviamente il giovane, giovanissimo, Vlad (wunder jung) con la sua bacchetta che dirige la seduta, predispone il contatto, stabilisce lo stato di catarsi animale e consente la libera circolazione del fluido.


FLLUUUSSSSHHHHH

Al ritmo di quel fluido fioccano urla isteriche, abbandoni, svenimenti, sonni logici e perfino passioni.

Una giostra di passioni che rimane a palpitare, come pesce pescato di fresco, nei cuori delle pazienti anche dopo le innumerevoli sedute.
Un damerino fascinoso e seducente all’età di dodici anni, ecco quello che diviene “wunder jung”.

Lo sguardo è già intenso, irresistibile, anche se manca di spessore. A quello sguardo rimane incollato quello di lei, l’ottuagenaria Baronessa Bertha Von Kushner, futuro premio nobel.
Che lo ama appassionatamente nonostante l’immensa differenza di età. Ricambiata, finirà per barattare la giovinezza di Vladymir, e una innocenza ormai perduta per sempre, in cambio di una fortuna materiale. (L'amore è metafisico ma il corpo apprezza i piaceri terreni).
In punto di morte gli sussurra con voce vellutata, di fronte a un notaio:
“Ti nomino mio erede universale”.
Ed esala l'ultimo respiro, felice dell'opera di beneficenza.

Giovane, desiderato, ricchissimo. Vladymir Andrey cavalca il suo tempo e la steppa di zecchini come fosse su un cavallo a dondolo.
"A shaynem dank in pepek!" Pronuncia per la prima volta a un banchetto. Canta, gioca, ride, galoppa. Hop.
Tintinna l’argento e l’oro nelle saccocce del giovane rampollo della dinastia Rostropovitch.


Cavalli a dondolo e mimose sono un ricordo dell’infanzia ormai dimenticata.
Liberata, in seguito a un’azione di forza di un gruppo di campesinos capeggiati da suo fratello, Lupita fa ritorno a casa. Ma non è più lei. Non la riconoscono le amiche, né, d’altronde, il fidanzatino, che si impicca per il dolore.

Indurita dall’esperienza del rapimento si lascia andare a una profonda depressione. Diventa abulica. Passa il tempo e lei lavora, infaticabile, sui campi, e non parla con nessuno.
Nessuno la avvicina d’altronde perché si comporta stranamente, ha l'aspetto di un animale selvatico: capelli lunghissimi e ispidi, e si lava di rado.
Così la bellezza sfiorisce presto; già due anni dopo sembra solo un ricordo dei bei tempi andati.
TIK TAK. Compie diciotto anni nella solitudine completa, vuol solo una cosa; essere dimenticata.

CAdere nell'oblio. DI-ME-NTI-CA-TA
Ma suo fratello non demorde, lui, ha capito, e non la dimentica.
Quel giorno, per il suo compleanno, le regala un arancio.

Un arancio.

Semplice, poroso, rotondo. Lei lo guarda e sorride, persa nei suoi pensieri.
Un arancio.
Somiglia a cosa? Alla sua vita probabilmente.
Spicchio dopo spicchio lo sfalda, assapora, riscoprendo, nascosta tra le pellicine bianche, una piccola felicità.
Canticchia Lupita.
Tra lo stupore generale. C'è chi la spia per vedere se è vero.
Canticchia. Mentre mangia quell'arancio.
Per qualcuno esiste, nonostante tutto. Per qualcuno è ancora una persona.
E lei lo assapora come un affamato che con quel cibo sembra ritrovare la vita.
Uno spicchio dopo l’altro. La vita.
La sente pulsare, così le sembra.

A lui invece sembra tanto lontana, la vita. Eppure nel 1896 (mentre Lupita ha 18 anni) lui ne ha appena 24 ; alle arance Vladymir è allergico, ma non altrettanto al gioco d’azzardo.
Lascia la famiglia, che non lo capisce e si perde in una vita dissennata, fatta di vizio e perdizione.

Scommetterà forte e perderà tutta la sua fortuna. E' allora che ha inizio la sua vita di picaro.
A una creola, Tale Morita Vele, Vladymir Andrey deve l’amore per la letteratura. Notti d’amore a leggere Omero. Stregato come Ulisse dalla maga Circe.

Come stregato si sentiva adesso davanti a Lupita, quella donna fortissima e debole, che sfogliava com un libro aperto, talmente vulnerabile, in fondo, e per lui, proprio per questo, desiderabilissima.

Schioccò le sue dita e lei aprì gli occhi, con uno sguardo perduto e antico che fece un solco profondo e indelebile nel cuore di lui. Proprio mentre l’eco di uno schiaffo rimbombava per la grotta e una voce di vecchia diceva “brutto bastardo figlio di una cagna”.

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