11 giugno 2006

ARGENTO! (capitolo 26)




Decine e decine di uomini, centinaia probabilmente. Molti dei quali scomparsi da tempo, dati per morti o sepolti nelle celle del governatorado.
Questo vide Donna Aurelia una volta che ebbe attraversato il cunicolo 7.
Là dove diverse gallerie confluivano gli ex minatori avevano scavato uno spiazzo. Puntelato a dovere si era ricavata una piccola piazza nella quale si svolgevano assemblee o publiche discussioni.

C’era Catarino Diaz, che aveva lasciato 2 figlie e una vedova in miseria.
C’era Alonzo Ramirez, che il padre aveva creduto morto 2 anni prima.
C’era Annibal Castro, il bello, che tutti, ma proprio tutti, avevano pianto perché era ancora vergine quando fu portato al plotone d'esecuzione.
E c’era una quantità di persone che Donna Aurelia, man mano che osservava riconosceva non senza stupore. Era un consesso di fantasmi, tutti vestiti di banco e tutti riuniti per quella che, non senza ironia, veniva chiamata la "Confraternita dell'argento".

Anni di dittatura feroce avevano richiesto una strategia estrema. Uomo dopo uomo, valoroso dopo valoroso; si era formato un gruppuscolo di scampati. I primi erano stati Catarino Diaz e Annibal Castro, il bello, che avevano rinunciato a malincuore alle loro famiglie per vivere quella vita clandestina capeggiando una rivolta che aveva deflagrato in tutta la piana, estendendosi alle vicine Papassinas e Coloriu Arrubiu.
Mammarranca era divenuta il simbolo di una lotta caparbia e organizzata che metteva in difficoltà le autorità costituite.
Vivevano come talpe, in quei cunicoli, elaborando tattiche di guerriglia spicciola.
Creando le premesse di quel disordine che stava alimentando la rivolta di speranze e sogni di cambiamento.
E una mossa dopo l'altra i campesinos avevano mostrato la loro forza.
L'Alcalde aveva riferito al Governatore, e questo al dittatore.

Cosa stava accadendo? Occorreva dare un monito.

Catarino era stratega militare di prim'ordine.
Unico sopravvissuto alla purga dei sedici era stato perfino sepolto vivo. Poi e curato dai campesinos della piana. Diventato un simbolo era chiamato con un nomignolo. El gato.
A significare le sette vite di cui Catarino certamente godeva.

Quelle persone, era chiaro da come trattavano con gli altri, erano capi, di una bizzarra confraternita.
Ora assistevano alla scena di una donna bellissima e apparentemente addormentata in piedi e di un uomo che le parlava. Aveva modi suadenti ed era straniero. Questo era evidente. Si vestiva come solo i gringos sapevano fare. Con quelle tenute da damerino che i campesinos guardavano senza invidia alcuna. Eppure non sembrava un latifondista.
E donna Aurelia fu colpita dal suo accento duro e strambo.

Cosa dicevano? Molti ridacchiavano maliziosamente.

"Potrei chiedere a Lupita di baciarmi. Voi lo capite, adesso sarebbe in mio pieno potere eppure non lo farò. Nossignore, non mancherò di rispetto a questa donna, abusando del mio potere su di lei. "

"Nel suo viso io vedo il viso dei suoi morti."

Si Passò il pollice sulle labbra, un gesto che faceva quando era molto concentrato. E che aumentò l'attesa degli astanti.
"Vedo il volto di una donna. Bellissima come lei. E' alta e ha un leggero segno di una cicatrice all'occhio sinistro."

Nelle catacombre della miniera cominciò un brusio sommesso.

"Una caduta da cavallo da bambina, credo."
Il brusio aumentò.

"Questa donna è sua nonna. Sua nonna Angela, che aveva il suo stesso sguardo e il suo stesso carsima e che suonava uno strumento ad arco.
E tutti dissero
OOOHHHH
Perché era vero, verissimo. Dato che Donna Angela Maraboto era una violoncellista leggendaria e nella prima metà dell’ottocento, quando era ancora giovane, partì per il nord America a tenere dei concerti.

"Potrei dirvi che vedo il volto di uno zio morto di tifo, che aveva una fidanzata di nome Lola."
E tutti ancora una volta dissero
OOOOHHHHH
Perché era vero, verissimo che lo zio compianto di Lola, nome Ruggero Maraboto, era vissuto e morto giovane. Seguendo di pochi anni la sua amatissima Lola.

"E potrei ripetervi, egregi signori, che io ho un patto con il mio Dio, e che in questo patto ci sono campane che devono suonare per annunciarmi la mia morte."

Prese tempo e attese.
Trattenne il fiato e poi disse accarezzandosi distrattamente la testa all'altezza del bernoccolo che Lupita gli aveva provocato poco prima.

"E io non sento nessun dannatissimo suono che mi annuncia la mia morte imminente.
Dunque signori se volete impiccatemi subito. Ma sappiate che volteggerò dalle vostre parti e non vi lascerò più una sola notte tranquilli.
Non per vendetta, ma perché il mio Dio si arrabbia moltissimo se io contravvengo ai patti con lui. E voi ne sareste responsabili, in questo caso."

Era, di tutti gli spettacoli di eccentricità varia che aveva svolto negli ultimi anni, il più riuscito. E senza dubbio il più sentito.

La piccola folla cominciò ad applaudire. E Catarino Diaz, detto El General prese la parola.
Ringraziò il forestiero e disse che era colpito. Non sapeva se credere alle sue facoltà medianiche. Ma credeva al potere del ridere. E quel dannato forestiero aveva fatto ridere tutti. Sino alle lacrime. E aveva portato un bene prezioso: il buon umore. E dunque era benvenuto.
E che non volevano, i campesinos, scontentare in alcun modo il Dio del forestiero, né tantomeno il loro, e che gli spiriti riposassero in pace. Amen. Loro non ne avrebbero creato un'altro impenitente.

E fu dunque questo il modo in cui Vladymir Andrey Rostropovitch si salvò l'osso del collo e riprese possesso pieno delle sue colt e dei suoi libri e del suo fido compagno quadrupede nominato Herr Doktor.
"A shaynem dank in pepek!"
Sveglio Lupita la bella, la quale si trovò in mezzo alla piazza con la sensazione di essere appena tornata da un lunghissimo viaggio in una dimensione sconosciuta. E aveva negli occhi il velo di un sonno millenario.

La vecchia Aurelia Picocca aveva vissuto in mezzo alle eccentricità sin da bambina ma uno spettacolo di ipnotismo non lo aveva mai visto. Rimaneva a osservare attenta cercando di cogliere le esatte parole; era distante, e l'età cominciava a renderla dura di orecchio.
Fu a un certo momento, mentre ascoltava la conclusione che si accorse di un uomo; nonostante lei si fosse nascosta l'aveva reperita e la spiava in silenzio. Alto bello e nerissimo quest'uomo la osservava ridacchiando.
Lei si voltò e vide quello che non avrebbe mai immaginato.

"Cosa ci fai qui?" disse lui.

E lei in tutta risposta gli sferrò uno schiaffo sonoro. "Brutto bastardo, figlio di una cagna" disse Donna Aurelia.
Scoprendo che suo figlio, padre di Alvino, non era morto come tutti credevano.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

L'affresco che si delinea poco per volta mi cattura: aspetto con il fiato sospeso un'altra pennellata di colore.

igort ha detto...

Grazie Kiaretta,

oggi un nuovo capitolo.