19 dicembre 2005

a Rockford, una volta...




Ho comprato, a Lucca, una copia di King-cat (il numero 64). E' una sorta di diario di bordo di John Porcellino, che è autore dell'immagine qui sopra. E' un oggetto che mi piace sfogliare e leggere, a caso, senza un ordine preciso, come fosse una rivista. Contiene, fumetti, disegni, racconti e annotazioni di sogni fatti.
John usa un disegno davvero semplice, ma funziona perché mantiene un ottimo equilibrio. Una cosa che mr.Porcellino insegna è senz'altro la disinvoltura con la quale intepreta l'idea di narrazione.

13 commenti:

andrea barbieri ha detto...

Qui c'è una bella intervista (speriamo non si spezzi il link):
http://www.onsmithcomics.com/html/extras/interview_porcellino.html

Porcellino riesce a fare reggere delle tavole che hanno così pochi segni e così semplici: davvero bravo. E poi quel disegno che dovrebbe rendere tutto bidimensionale, nel senso di ritagli di carta senza spessore, senza peso, senza presa sulla realtà, sono così delicatamente pieni di invenzione e emotività spontanea da riprendersi il loro peso, la loro presa sulla realtà, la loro tridimensionalità (psicologica).
(ne approfitto per fare un po' di esercizietti critici eh :-)

andrea barbieri ha detto...

Mi sa che ha tagliato il link.
Provo a scriverlo spezzato:

http://www.onsmithcomics.com/
html/extras/
interview_porcellino.html

igort ha detto...

Grazie del link e del commento. Io penso che Porccellino sia semplicemente un autore graficamente limitato che sa usare ottimamente i suoi limiti. Art Spiegelman parlando di Winsor mcCay ha detto: "è straordinario come un autore così tecnicamente dotato sia anche un bravo cartoonist."
In effetti a ben pensarci chi è dotato come disegnatore spesso si compiace e fa un pessimo servizio al fumetto.

nuvole in viaggio ha detto...

Caro Igort,
seguo con molto interesse le tue riflessioni sul fumetto e spesso le condivido.
Scrivo qualche nota sparsa, senza spirito polemico, ma con l'intentodi chiarirmi le idee, scusandomi da subito per la lunghezza.
Conosco e apprezzo da anni i lavori di Clowes, Tomine, David B, Baru, Gipi, ecc, ma amo altrettanto Bilal, Liberatore, Pratt (inarrivabile), Battaglia,ecc. In pratica non vivo e non capisco questa sorta di contrapposizione tra mondi a fumetti.
Trovo inoltre rischiosa l'idea di considerare sempre più invisibile il disegno, credo che conti l'equilibrio tra parte grafica e parte narrativa, bandendo il virtuosismo accademico del disegno, ma anche il lirismo d'accatto di troppi testi recenti. A un fumetto disegnato "male"(lo metto tra virgolette, è ovvio che è un termine semplicistico)e ben scritto preferirò sempre un buon romanzo.
Potresti immaginare Battuta di caccia disegnato con stile minimale? O Il rinvio di Gibrat senza quegli acquerelli così ruffiani (ma perfetti per descrivere la provincia francese e gli umori dei personaggi)?
grazie per lo spazio
a presto
nuvole in viaggio (gastone)
ps
perchè non posti qualche golosa anteprima dei tuoi lavori in corso?

DENIS GUALTIERI ha detto...

Molte linee, molti pensieri ... non tutti vanno da qualche parte ma quando si accavallano, creano contorni e da lì si generano le forme e le idee. Basta
avere la sensibilità di cogliere i flussi giusti, scegliere la linea giusta, ove la giustizia sta
per l'armonia dell'insieme.
L'errore non esiste in un opera armonica, se si
sposa con ciò che vuole esprimere l'autore.
Sincerità e forza vengono immediatamente percepite da
chi riceve (ovviamente se esente da difetti di ricezione dati da preconcetti).
In questa prospettiva, se il disegno è minimale o molto elaborato non è importante, purchè svolga bene il suo lavoro.
Se alcuni non sono tecnicamente molto validi ma si sentono in qualche maniera appagati, o quasi, da ciò che fanno e riescono a comunicare qualcosa a chi legge, il più è fatto... anzi, delle volte aggiungere qualcosa potrebbe rompere un equilibrio che ben rappresenta la personalità dell'opera.


Sono un cane a scrivere... spero si capisca qualcosa (anche qualcosa a caso che non c'incastra nulla con quel che volevo dire).

igort ha detto...

No, forse non è corretto contrapporre una visione di fumetto a un'altra. Quello che penso però è molto semplice: a dispetto di chi pensa che il fumetto è morto, malato, grave, moribondo ecc, a dispetto di tutti questi menagrami io credo che il fumetto stia solo muovendo i primi passi. Quindi preferisco Porcellino (povero john, sapesse quanto è chiamato in causa) a Liberatore. Tanino non ha mai nascosto una cosa: si annoiava a fare i fumetti, a lui quel che piace è disegnare. Non c'è nulla di male; ma si vede. Il fumetto come semplice concatenazione di vignette rende noiosa la lettura. E con il tempo certe opere riprendono la giusta collocazione sugli scaffali.
A disegnare fumetti non serve sapere disegnare o scrivere; serve sapere raccontare per sequenze. Che è un tipo di scrittura che non ha nulla a che vedere con la letteratura.
Tutto è racconto, quindi anche le atmosfere ovviamente. Ma il fumetto è un linguaggio che scatena visioni oltre le linee tracciate sul foglio. Si tratta di un 'economia precisa: il blues primitivo, quello del delta, ha usato come strumenti due cose semplici, chitarra e voce perlopiù. Eppure parla quanto l'orchestra di Duke Ellington. Sono due cose meravigliose del patrimonio. Ma davvero, diciamolo a voce alta: E' FINITA LA STAGIONE DEL FUMETTO ESTETIZZANTE! Quello che negli anni ottanta faceva diventare il fumetto la fiera del bel disegno!
Evviva, vado a stappare una bottiglia di champagne (qui costa meno che in itaglia).

andrea barbieri ha detto...

Mah, si può fare un parallelo tra scrittura elegante e disegno elaborato. In genere di fronte a una scrittura semplice, secca, leggibile si alzano le proteste dei critici indipendentemente da ciò che quella scrittura racconta. Eppure le belle lettere, lo sfoggio di tecnica non garantisce certo che la narrazione faccia quello che deve, cioè metta “un mondo a disposizione del lettore”; né garantisce che la narrazione faccia quel di più, cioè produca “pensieri utili al mondo”.
Ma poi bisogna andarci cauti con i giudizi di "lirismo d’accatto", per esempio di Porcellino ho trovato dei disegni in rete dove usa lo stesso tratteggio di Van Gogh quando la scoperta del Giappone aveva dato una svolta alla sua pittura. Cioè, si può nascondere in certe linee molto più pensiero di quello che sembrerebbe a prima vista.
E Breccia, nelle storie bellissime pubblicate in due volumi italiani, non semplifica a colpi di spatolate o lamettate o pennelli giganti fino al limite dell'informe?
Per forza il disegno deve essere definito e sontuoso?

andrea barbieri ha detto...

Ovviamente ho postato senza leggere l'intervento di Igort che rende abbastanza pleonastico il mio. Oltretutto il "chitarra e voce" lo condivido in pieno, e forse anche un'attenzione per i cantastorie che sta nascosta dietro :-)

igort ha detto...

Breccia era il Charlie Mingus del fumetto. In lui ogni linea era racconto. Ma qui parliamo di Maradona o Pelé, si tratta di fuoriclasse. E poi lui il disegno lo piegava a ogni esigenza del racconto. Vedi Mort Cinder. Era certamente un pioniere del fumetto di oggi; solo che aveva un bagaglio di cultura visiva incredibile.
Se vogliamo fare una torta ne abbiamo per tutti i gusti il punto è ritornare a una funzionalità (stiamo raccontando) e uscire dal complesso nei confronti delle Arti con la A maiuscola.
Sul finire degli anni settanta c'è stata una ubriacatura ingenua e tenera nei confronti del bel disegno. c'erano delle matite spaventose, abili e magistrali. Ma questa cosa ha portato a un vicolo cieco e si sono persi molti lettori per strada.
Parallelamente altri autori stavano scavando dei tunnel da un'altra parte e hanno trovato il racconto. Maus ne è un esempio. Ma anche "Il Signore di Montetetro" (Ici Meme) di Tardi e Forest è un altro. Ora si tratta di capire dove abbiamo i piedi. E di vedere cosa abbiamo da raccontare. La mia impressione è comunque che si sia detto questo: punto e a capo.

igort ha detto...

La realtà è barocca diceva Orson Welles. Detto questo si complimentava con Rossellini per la sua capacità di fare "scomparire la cinepresa". voleva dire che nei suoi film lo spettatore dimenticava che c'era un regista e gli attori, che non si vedeva la tecnica.
Questione di scuole, ognuno prende posizione quando fa o legge. Ma non è necessario, do ragione a Gastone, tagliare via fette di cose. Oggi stiamo assistendo a una revisione delle forme, delle pratiche di racconto e dei contenuti stessi. E' quindi una stagione piena di fermento e di rinnovamento. Da "anziano" vi pongo un elemento non trascurabile. All'epoca d'oro, una ventina di anni fa, c'erano circa quarantamila acquirenti delle riviste mensili. Parlo di "fumetto d'autore" (una definizione idiota che uso solo per capirci, non parlo dei seriali che vendevano molto di più). A un dato momento questi lettori si sono disamorati. E hanno smesso di comprare.
Le riviste hanno chiuso.
Il punto è che da una analisi successiva è venuto fuori questo: i lettori si erano stancati di storie ottimamente disegnate che non dicevano più nulla. E' seguito un decennio in cui il mercato è stato invaso da nuovi fenomeni editoriali; il manga e la nuova stagione dei super eroi. Il fumetto ha navigato verso una nuova adolescenza. Fromental, sceneggiatore ed editore di rango sostiene che il fumetto non potrà MAI uscire dall'adolescenza. Se ha ragione lui io mi taglio le vene.


P.S. le risposte nel post successivo, altrimenti divento schizofrenico.

andrea barbieri ha detto...

La frase "mettere un mondo a disposizione" era virgolettata perché l'ho rapinata a Giulio Mozzi. Ha coniato quella definizione facendo l'esempio di un libro che riconosceva importante per la sua formazione di scrittore: "Dune" (che è effettivamente un mastodontico mondo curato in ogni particolare). Be' l'autore, Frank Herbert, di mestiere faceva lo spostatore di dune, quindi parlava di qualcosa che conosceva bene, ovviamente innestando su queste conoscenze il suo immaginario. Forse - torno a quello che diceva Roberto - erano proprio quelle conoscenze a rendere "credibile" il mondo narrato.

CLAUDIO LO SGHI ha detto...

questa dicotomia io non la percepisco troppo nel fumetto piuttosto che in ogni rappresentazione.
credo che sia molto importante disegnare bene solo perchè trovo assolutamente affascinante l 'eroismo di certe vedute ovvero di certe visioni ben rese.punto.ma non sono che gusti. in quanto a ciò che si dice " storia " beh credo che sia correlata al disegno..troppo ..riscrivere i promessi sposi ..(così ci capiamo tutti) con altri simboli ( ovvero lettere , frasi ,periodi..concetti ed etc.) non darebbe lo stesso effetto..migliore o peggiore chi lo sa..sicuro sarebbe diverso.la pretesa di naturalismo cioè di narrare storie "veritiere" graficamente e circa lo svolgimento del plot non la concepisco perchè è di fatto impossibile ..tra l'altro non troverei interessante un operazione del genere ( ma questo è poco interessante circa le mie convinzioni più personalissime ) ...d' altra parte è stupendo discostarsi dal concetto è c'è un mezzo che è il creare visioni che lo permette..io l ho abbracciato e mi piace...è stato leggendo antonine artaud che ho trovato le parole giuste per dirmi quello che da sempre tenevo dentro..nei diari del suo periodo surrealista...so che la mia è una presa di posizione estrema..non nel senso morale ma puramente circa la questione in questi post analizzata..quindi non pretendo "dire la mia" quanto più che altro testimoniare "una via" un modo di fare fumetto ..di concepirlo.sono all' inizio e se non muoio ci andrò a vedre se ne vale la pena.
ciao claudio

andrea barbieri ha detto...

Le "visioni" secondo me sono un territorio enorme. I surrealisti ne producevano un tipo spiazzante perché formato incongruamente. Un ragno di Louise Bourgeois (che faceva parte dei surrealisti sessant'anni fa) è una visione che non ha nulla di incongruo, ma è la percezione della diversità, una sorta di scarafaggio kafkiano. Le due trivelle di Sara Ciracì http://www.nazioneindiana.com
/archives/trivelle.jpg

sono un tipo di visione ancora diversa che gioca con le nostre paure delle minacce esterne, del terrorismo, come un copy gioca coi desideri. Le situazioni visionarie di Antonio Moresco sono parenti scabrose di Kafka. E si potrebbe andare avanti all'infinito...