28 dicembre 2005
macchie
Ci si trova una volta all'anno insieme a chiacchierare di fumetti e racconti, film o romanzi: io, Spiegelman, Munoz e Mattotti. L'altra sera mentre si guardava il catalogo dell'ultima mostra organizzata da Art al museo UCLA (UCLA Hammer Museum: Masters of American Comics) è venuta fuori questa definizione, brillante come solo Munoz sa fare, di "linea morta". Ho cominciato a ridere pensando che fosse un nomignolo dato da Jose alla "ligne claire", lo stile nazionale francese. E poi ho inteso meglio: Jose distingue tra una linea fredda e inespressiva e una linea "sentita" che contiene la vita, appunto. Nel catalogo, un volumone a colori, erano stampate molte pagine originali in bianco e nero. L'interesse del vedere queste tavole a colori è proprio il fatto che si notano le correzioni di bianchetto, i segni della matita, le cose che di solito non compaiono in stampa e che illuminano sul processo creativo più di quanto solitamente non si pensi.
Era un consesso di ossessi della machia e del disegno, di amanti del segno che danza, tanto che Adeline, un'amica architetto, ha esclamato: "non ho mai visto nulla del genere tra architetti". Il che mi ha fatto piacere, dopotutto questo aspetto naif della professione preserva anche una forte dose di passione. E' bello osservare i disegni insieme ad altri disegnatori (specie se sono dei maestri come in questo caso) perché si aprono squarci di pura visione. Munoz che osserva ammirato Caniff e dice "molto naturale l'uso dei neri, più artefatto , studiato, in kurtzman", Mattotti che storce il naso davanti a Jack Kirby e Spiegelman che quasi sviene quando dico che "Kurtzman fa schifo; è spazzatura". (Lo amo Kurtzman ma davvero a momenti Art ci rimaneva). Sto ancora ridendo della sua faccia terrea.
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