12 dicembre 2005

haiku




stimolato da Paolo Interdonato e Giacomo Nanni riscopro il lavoro di Crockett Johnson. Basta guardare un'immagine come questa. Non ha bisogno di commenti. Poesia visiva nel vero senso del termine.

9 commenti:

Francesco Chiacchio ha detto...

eccezionale. Che io sappia in Italia adesso non è pubblicato...
speriamo che qualcuno mi smentisca...

Giacomo Nanni ha detto...

Mi ricollego qui al discorso sul montaggio cominciato nei commenti al post precedente, perchè mi sta a cuore. Qualcuno ha letto forse su Repubblica di qualche giorno fa un'intervista a Edoardo Sanguineti che riferendosi addirittura all'intero novecento come secolo della modernità diceva questo:

"Dalla Bibbia alle teogonie, ai poemi, vediamo che l´enumerazione è un principio che sorregge l´ordine del mondo. Come nasce la terra? Come nasce l´uomo? La genealogia di Gesù o il catalogo delle navi nell´Iliade, sono enumerazioni ordinate, mentre le enumerazioni moderne sono un caos. E' questo che genera il montaggio: l´ordine delle cose come disordine."

Che l'utilizzo del montaggio come tecnica espressiva sia appannaggio del cinema è un concetto totalmente fuorviante. Basta pensare solo ai collage di Max Ernst...

>Sempre Sanguineti:
«Baudelaire e Manet sanno di essere moderni. Lo sa Flaubert. Manet è emarginato. Baudelaire e Flaubert sono considerati immorali, nel senso del costume artistico. Il loro modo di scrivere non corrisponde più alla vecchia idea del narrare».
E qual è la nuova?
«Pensi alla coppia Bouvard e Pécuchet. Loro fanno crollare la vecchia impalcatura narrativa, ci si avvia al lavoro di montaggio. È un collage apparentemente bizzarro...

Paolo, il libro di Einaudi è Harold e la matita viola...non Barnaby...certo che rompo eh?

igort ha detto...

Negli anni sessanta il cinema francese si opponeva al montaggio. loro volevano il cinema come vita (secondo Bazin evidentemente la vita non ha montaggio ma è un lungo piano sequenza). Io sono sicuramente interessato al montaggio inteso come ricerca di ritmo. E vicino all'idea che una cosa narrata possa avere una sua musicalità.
Si è parlato di musicalità a propsito de "la steppa" di Chekov.
Poi, certo ci sono molti altri tipi di montaggio e, va da sé, tutto è lecito. Ma mi piacerebbe che più che escludere aggiungessimo.
Quindi va bene Max Ernst e i suoi collages, ma abbiamo esempi di tipo narrativo? Voglio dire questa esperienza-visione è legata al fumetto?

Mi piace la visione del dott Hervet, di un disegno che scompare quasi, al servizio di un racconto (ha specificato che non deve essere inutile o brutto, e qui penso alla sintesi prodigiosa di Crockett Johnson in cui compaiono pesi, grafica, grazia e osservazione a creare un disegno perfetto e invisibile) .
Ci sono fumetti che i lettori guardano, e altri che si leggono. Io quelli che guardo li guardo poche volte, mentre quelli che leggo li rileggo molte volte. non so se capita anche a voi.
D'altra parte questo spazio l'ho battezzato story teller e non illustrator. Ci sarà un motivo...

Giacomo Nanni ha detto...

Ripensandoci mi aspettavo un'obiezione del genere...Sarò banale, ma per me anche dire "quadretto dopo quadretto si è formata una pagina, e poi pagina dopo pagina si è formata una storia", come sta scritto sulla homepage di questo blog, sottintende già un'idea di montaggio non necessariamente legata al cinema (mettere/montare una vignetta vicino all'altra) e in più un'idea di ritmo. Il solo fatto di passare da una vignetta all'altra impone un salto, un passo, un cammino. E quando si tiene un passo si tiene anche un ritmo.

E' interessante il fatto che il piano sequenza sia di per sè irriproducibile nel fumetto. Lo si può tutt'al più evocare.

Le vignette ad inquadratura praticamente fissa di Crockett Johnson potrebbero pure essere viste come un lungo piano sequenza.
D'altra parte il piano sequenza priverebbe la narrazione del ritmo imposto al lettore dal loro susseguirsi sempre uguale.

Ma spero che ci siano degli esempi anche fuori dal fumetto.

igort ha detto...

Non sono sicuro di avere bene inteso cosa vuoi dire con "un passo = un ritmo". Parliamo di cose concrete; Munoz non fa montaggio. (l'ha fatto una sola volta in tutta la sua carriera). "Cuore rivelatore" di Breccia (per chi lo ricorda, è una storia in cui il montaggio è narrazione emotiva allo stato puro.
Rhomer non fa quasi mai montaggio. '21 grammi' di Inharritu è un racconto che si basa sull'idea di smontare il tempo. E' un progetto di racconto attraverso un montaggio molto preciso.

Tu Giacomo nel tuo lavoro usi il montaggio. Forse è per questo che non capisco dove vuoi andare con il tuo discorso. Lo usi anche spinto. Spesso il ritmo è anche solo di bianchi e neri.

Comunque sia, ripeto, a me piacciono entrambe le cose. Ma io, come autore prediligo scelte di ritmo, anche vuoto, ma sempre punteggiato.

Giacomo Nanni ha detto...

A me sembrano pure cose ovvie, e qui chiudo perchè si è fatto tardino. Le stesse cose le trovi sul numero 10 di Scuola di Fumetto che stava in edicola qualche anno fa e che più mainstrem non si può...a pagina 11 dove si parla appunto di Montaggio temporale.

Cito pure testualmente: "Il linguaggio delle strisce è per sua natura ellittico: tra una vignetta e l'altra ce ne potrebbe stare una terza e così via. Questo elemento caratteristico dà al lettore il potere di immaginare, di interpretare. Su questo si basa qualsiasi tipo di montaggio, e anche la semplice sequenza temporale di immagini che sceglie inquadrature diverse o la camera fissa, che comunque rappresenta solo alcuni momenti elidendone altri."

Poi a me la teoria interessa solo fino a un certo punto, non voglio arrivare da qualche parte in particolare.

andrea barbieri ha detto...

Non so se può essere utile alla discussione che sta diventando sempre più tecnica e per addetti ai lavori, comunque sto leggendo "Le onde" di virginia Wollf: è un libro sul tempo e il montaggio è esasperato. Allora forse il montaggio rende possibile dilatare o ridurre il tempo (come mostra "21 grammi"), che per un narratore può essere cruciale.
Poi il montaggio determina anche il ritmo - come la punteggiatura in una frase o gli accenti delle sillabe - ma non so, a me pare che il ritmo serva a infilarsi nella testa del lettore, a possederlo, mentre il tempo è una dimensione del racconto, è una delle cose da rappresentare.

Vado a letto ché per oggi mi sono ultraspremuto...

igort ha detto...

Quando si fa un discorso sul linguaggio esiste un terreno comune nel quale è facile intendersi. Se si aprono finestre per ampliare la discussione è utile essere chiari.
Non stiamo facendo lezioni di narrazione a pillole. Non è questo l'intento. Non il mio perlomeno. Quando parlo di cinema come vita o di teoria di Orson Welles è perché dietro queste affermazioni ci sono delle visioni sull'esistere e sul raccontare tutte valide e tutte interessanti.
Quel che non comprendo è l'inerpicarsi in visioni altre per poi darsi a fughe astratte: stiamo cercando di comprendere e in effetti sarebbe utile rimanere nel concreto.
Non indugiare in discussioni per ultra addetti.

Voglio dire che parlare di montaggio sarebbe riconducibile a una scuola che predilige la fiction e parlare di cinema come vita a una scuola che predilige il lato quotidiano. Questo per definire categorie generali e tagliate con l'accetta, come fu negli anni sessanta.
Si innesta in queste categorie cinematografiche (la dicotomia era Bazin vs Holliwood, all'epoca) una visione imprevista: l'avvento del manga. Il manga apporta una diversa scansione temporale e un montaggio nel quale appunto, come dice Andrea Barbieri, il tempo si dilata.

Il quadro si complica. Vorrei che rimanessimo ad esplorare le conseguenze di cetre scelte, (non per tornare a una discussione anni settanta sul fatto se Dick Tracy sia fascista e pubblicabile o meno, ma perlomeno per comprendere come ci poniamo rispetto a linee guida che la discussione sta dettando senza approdare al noioso o all'illegibile).

Quando si denota l'enterteinment come terreno del banale non sono sicuro di condividere la visione.
A me interessa il lato ritmico e musicale, credo che il linguaggio sia finzione e autobiografia al tempo stesso. Ma non capisco perché mai una scelta dovrebbe essere tutta nera e una tutta bianca.

Sarebbe utile capire se l'enterteinment è comunque sempre vacuo, io non lo credo. Perché come si è detto quello che un tempo si chiamava "il contenuto" passa anche attraverso forme più sottili e meno evidenti.

I peanuts sono enterteinment? Non saprei dire, tendenzialmente direi di no.
Nick Fury è enterteinment, e così pure l'uomo ragno. Certamente lo sono i fumetti della EC line (enterteinment comics) che erano divertenti e sgangherati a volte genialissimi e innovatori. Io non credo che nel fare storielle dell'orrore si percorressero allora piste banali e già battute.

Personalmente credo che se lavoriamo su una storia è il taglio con cui la lavoriamo che dice se è interessante o meno, più che la storia stessa.

In giappone per esempio, ho constatato che se presenti una storia non leggono neppure la sceneggiatura. Non li interessa: vogliono vedere la scansione su uno storyboard per capire quanto peso dai a un avvenimento o a un altro.

Questo semplice elemento pratico fa capire quanto il montaggio non sia un'idea astratta. Ma qualcosa di molto concreto su cui si riflette troppo poco.

In quanto mini-editore mi piacerebbe potere spesso leggere gli storyboard delle storie che mi presentano; perché vorrei porre delle domande su questo o quel punto.

Lavorare con un editor in Giappone mi ha insegnato molte cose, molte cose sul mio stesso mondo, su come potevo raccontare quel che mi premeva.

andrea barbieri ha detto...

Torno alle considerazioni aperte da Nanni che mi sembrano interessanti. Il montaggio dei surrealisti è diventato tecnica narrativa col “cadavre esquis” (scrittura collettiva in cui i partecipanti aggiungono il loro contributo senza aver letto nulla degli altri) e poi, dopo il surrealismo, aggiungendo altre esigenze narrative più feroci, il cut-up alla Burroughs.
Che ruolo può avere nel fumetto questa costruzione che accosta incongruamente per frantumare le idee che abbiamo delle cose? Mi pare che porti il lettore verso la "visione": qualcosa che rivela la realtà facendo vedere ciò che reale non è. Una forzatura improvvisa del procedere realistico, l’apertura di uno scenario più grande, misterioso, evocativo. Penso a tante tavole di David B., a manga come il Mondo di Coo, a pagine di Kafka, a certi disegni di Hokusai, al Morvo che appare di botto a pagina 16 di Baobab, ai film di Miyazaki. Ho anche l’impressione che in occidente questo tipo di visionarietà sia spesso carica di drammaticità, come se fosse parente della follia, mentre in Giappone è come se avessero un rapporto più naturale col fantastico.