11 gennaio 2006

zio feininger




Lyonel un secolo fa segnava la rotta per disegnatori che sarebbero seguiti di una famiglia immensa e mondiale. Ho parlato con autori di genio come Munoz, Mattotti, Spiegelman, Pazienza, Carpinteri, Breccia o Calligaro e a tutti brillavano gli occhi quando si citavano le meno di trenta pagine che hanno consacrato il grande Lyonel alla storia del fumetto.
Cosa resta oggi di quell'esperienza meravigliosa?
Una libertà creativa ancora insuperata. una concezione universale del linguaggio disegno che sfonda steccati, apre frontiere, annulla confini idioti e insensati con la potenza di un uragano.

Mandato in pensione lo stupido piano ortogonale del creato assecondando visioni espressioniste Lyonel partecipava alla Bauhaus insieme alle menti più fertili del secolo e tranquillamente pubblicava le sue caricature, i suoi fumetti. Era un periodo in cui ci si poneva senz'altro meno limiti. In cui gli editor avevano la testa non solo per coltivarci una piantagione di capelli. In cui si pensava che il disegno era appunto, come dice oggi McLoud un linguaggio universale, di cui l'uomo non può fare a meno.

11 commenti:

andrea barbieri ha detto...

Mi è venuta in mente qualche cosa:
1) Dato che “i bei libri sono scritti in una specie di lingua straniera” (Proust, Contro Sainte-Beuve), il linguaggio universale che voi usate deve essere eternamente rinnovato. Spingere in avanti il linguaggio senza perdere l’universalità è una bella sfida. Per esempio Tom Waits lo ha spinto fino al balbettio, coi suoi latrati, Breccia con le influenze dell’arte astratta e gestuale. Il balbettio è un punto molto alto ed è sul confine, infatti lì cominciano le prime incomprensioni tra autore e pubblico. Dunque occorre un balbettio che non rende illeggibile la narrazione.
2) Guardando i primi capolavori del film muto - magari con l’accompagnamento musicale dal vivo - si sente tutta la potenza, la gioia, la libertà dell’immaginazione: negli esordi c’è qualcosa di straordinario. Sembra che anche nel fumetto sia così.
3) Non so se dipende dal kokoro, ma mi pare che Tiziano Scarpa centri il bersaglio scrivendo a proposito di Corto Maltese “Corto in realtà è un cantore del creato. Un entusiasta dell’esistenza. Attraverso il suo sguardo, Pratt è riuscito a riappropriarsi di tutte le cose belle che l’arte del Novecento aveva bandito dalla rappresentazione considerandole tabù: i paesaggi, il mare, la luna (la luna!), i tramonti (i tramonti!), i gabbiani (i gabbiani!). Quale altro artista contemporaneo avrebbe il coraggio di rappresentare la commovente bellezza dei gabbiani senza timore di farsi spernacchiare?”
4) Giotto, quando affresca la basilica di Assisi, è kokoro! :-)

Francesco Chiacchio ha detto...

...stavo proprio adesso leggendo un capitolo del libro di Franco Giubilei "Le donne, i cavalier, l'arme e la roba. Storia e storie di Andrea Pazienza" dove cita la Scuola zio Feininger, poi capito sul tuo blog e il titolo dell'ultimo post è zio Feininger...
coincidenze :)

igort ha detto...

Zio Feininger era la scuola che io, mattotti, jori e altri di valvoline facemmo insieme ad andrea pazienza. Ospitammo magnus, munoz & sampayo e molti altri. Si era negli anni ottanta. Da quella scuola sono usciti molti autori della generazione di mezzo, come Gabos, Palumbo, Semerano, Menotti, Gibertini, Marzocchi, Ghermandi, l'hanno sfiorata Catacchio, Giandelli, e un altro numero di autori di grande talento.

igort ha detto...

Sull'uso del "pittoresco" che il grande Pratt utilizzava ci sarebbe molto da dire. Non sono del tutto convinto di quanto scrive Scarpa. probabilmente sarei uno degli spernacchiatori.

Francesco Chiacchio ha detto...

Si, ho letto che c'era pure Davide Toffolo a seguire le lezioni...

andrea barbieri ha detto...

Qualche settimana fa, prima di leggere Scarpa su Pratt, avevo guardato il vhs della Grande Rotta, un documentario montato su materiale girato dal grande navigatore Bernard Moitessier. C'era una scena in cui M. lanciava formaggio ai gabbiani. La terra era lontanissima, la solitudine assoluta. I suoi gesti, che per un pregiudizio penseremmo banali, erano pieni di senso - del resto la sua follia di girare in solitario una volta e mezzo il mondo era il tentativo di ritrovare senso. Ci era riuscito. La forza di quelle immagini non riesco a trovarla - senza nulla togliere alla bellezza di quello che hanno prodotto - nelle avanguardie del novecento, o in Duchamp, o in Picasso, o in Bacon, o nella land art, video art, arte povera, installazioni, neon... Non so, a me pare di sentire chiaramente che alcuni territori della bellezza (non solo il paesaggio), come immagini, sono finiti nel fumetto.

igort ha detto...

Certamente. Questa è la cosa (l'arte nella sua complessità) che ha arricchito il linguaggio del fumetto. Anzi vent'anni fa era un imperativo. Ma stiamo parlando di un altro territorio di caccia.

Hugo Pratt aveva un segno colto e formidabile, di derivazione impressionista (colpi forti di pennello che simulavano la luce che brucia le forme, potente e magistrale). Di questa scrittura ne ha fatto una sintesi molto riuscita. Verso la cinquantina Pratt si è sentito in grado di creare un'icona. un personaggio centrale. Ha creato Corto Maltese. Nella sua ricetta ha inserito i suoi amori letterari, Conrad in testa. E poi ha fatto di lui un eroe bello e taciturno dalle maniere spiccie. Appartiene a questa ricetta anche un "esotismo da sogno" che rasenta il depliant turistico. Lo dico con rispetto, ma chamando le cose come sono. Io apprezzo la maestria di Pratt nell'utilizzare elementi banali e di farli diventare parte di una cosa complessa come un suo racconto.
La palmetta e i mari del sud, la luna e i gabbiani sono dei logo, non mi impressionano per la loro vita, sono di cartone come i villaggi western dei film italiani degli anni sessanta. Fanno parte della fiction "teatrale" del maestro di Malamocco. Come pure Venezia e L'idea dell'eroe dagli occhi di ghiaccio. Sono delle quinte che costruiscono uno scenario ideale. Ma la vita va ricercata altrove, dentro il testo, negli atteggiamenti, nei silenzi e in quella rigidità innaturale e poetica con la quale i personaggi si muovono.

Giacomo Nanni ha detto...

Molto belle queste ultime parole su Pratt. Credo che tu con il tuo lavoro, soprattutto in 5, abbia fatto ampiamente tesoro di quella lezione, e ti sia spinto anche oltre; penso soprattutto perchè dalla tua concezione non è comunque escluso tutto ciò che è stato stampato anche dopo Corto Maltese; Moebius già andava ben oltre il fumetto di fantascienza, e se ricordo bene lo stesso intento di Valvoline all'inizio degli anni 80 era quello di andare "oltre" il racconto di avventura a fumetti, che sicuramente aveva fra i suoi capi saldi, proprio Hugo Pratt.

E' singolare il fatto che le tavole di Feininger "inventassero" il fumetto e allo stesso tempo gettassero già le basi per togliere di mezzo molti dei clichè che l'avrebbero poi caratterizzato come mezzo di comunicazione di massa, ma non so se è un pensiero mio questo, forse l'ho letto da qualche parte.
Cioè, in qualche modo Feininger è anche più radicale di ciò che è venuto dopo...non ho nulla contro i "clichè", e le formule standard, detto per inciso, dipende da come li si usa.

A questo proposito Tiziano Scarpa secondo me ha detto una cosa giusta, non lo spernacchierei più di tanto.

igort ha detto...

Caro Giacomo,
Clowes una volta ha detto che a lui piace tutto purché sia racconto a fumetti. Io non mi spingo tanto in là, ma mi piace moltissimo la "cucina del racconto".
Ho visto in passato uno spettaccolo kabuki e c'erano delle figure vestite di nero che aprivano e chiudevano botole, passaggi. Erano dei servi di scena, come li chiama il teatro.
Fantastico.
Erano invisibili per definizione, macchine del racconto. D'altronde il discorso è proprio quello, riuscire a creare un teatrino virtuale fatto di carta. Se sei bravo il mondo esterno, per il tuo lettore, si annulla.
Naturalmente ci sono decine, centinaia di traiettorie possibili per raccontare. E gli autori che io amo, e sono molti, quasi mai somigliano a quello che io poi faccio e disegno. Ma è proprio questa la cosa che mi piace. Lavoro con le macchie e poi vedo una sintesi fatta di tratteggi e mi commuove. Bisogna sapersi arrendere al talento altrui. Una cosa che mi è sempre piaciuta di Munoz, che è un autore leggendario ormai, è la sua modestia nel dire di appartenere alla scuola di Breccia e Pratt. Io appartengo alla scuola di Breccia e Pratt e Munoz.

igort ha detto...

Ho corretto l'immagine. Nel senso che prima avevo preso un particolare, ma poi si vedevano i pixel e amici dalle finestre di un blog vicino (sparidinchiostro) hanno rabbrividito. Purtroppo non ho il volume rarissimo di feininger qui con me e in rete si trova poca roba. Quindi vi dovete sorbettare la bellissima tavola così come la vedete, in miniatura. Portate pazienza. Era solo lo spunto per ricordare che Feininger è nei miei pensieri.

andrea barbieri ha detto...

Ponkyo, non glielo dire che poi, se si mette a ristampare l'età doro del fumetto, me li compro tutti e finisco sul lastrico...