22 gennaio 2006

il racconto del lettore




riceviamo e volentieri pubblichiamo.
(Racconto di Cristiano Fighera. Illustrazione di Paolo Garretto.)



Questo male, incurabile, mi assale puntualmente in un'ora indeterminata. Si presenta così: assenza di sintomi, assenza di sudorazione, assenza di suono. Esso arriva - dacchè io lo percepisco così, ma potrebbe non essere - con un lieve chiudersi degli occhi, la sera, quando sono a letto, oppure la mattina dopo le sette stelle. Le sette stelle sono i nuovi biscotti del mulino bianco, che quando son tirati fuori dalla scatola gemono e si picchiano.
Altri sintomi: assenza di gelo, assenza di movimenti dello stomaco o del duodeno, assenza di dolori intercostali o pentecostali. Assenza di vertigine, assenza di luci e rumori, assenza - lo ripeto - di luci e rumori. Assenza/presenza, infine, di un azzimato signore che assomiglia stranamente a Godard. Esso si siede a volte a sinistra, ma a volte anche a destra, del mio letto, e tira fuori da un porta-strumenti che fino a quel momento aveva tenuto -celato! - sotto il mio letto stesso, un violino. Per fare questo si china lentamente in avanti piegando al schiena il meno possibile, conservando quindi una lieta - a mio modesto parere, ma potrei sbagliare - rigidità. Si piega facendo aprire i lembi del cappotto che regolarmente indossa, scuro, pesante, di lanona trattata beige e infila tutte le braccia sotto la spalliera, la testiera, come si chiama, sotto il materasso dunque, tutte fino alle spalle sotto il letto, mantenendo comunque una grande signorilità, ed estrae, dopo un lieve momento di pausa in cui lo immagino frugare nel buio con le dita tese e allargate, la custodia che appoggia alle ginocchia. Il lieve e quasi sincrono scatto delle due piccole serrature dorate, senza la minima scalfittura - e vi chiederete come io le possa vedere visto che ho citato prima i miei occhi piccoli e semichiusi - risuona serio nella mia piccola stanza. A questo punto, il Signor Godard, estrae il suo violino, e lo appoggia melanconicamente - o melancolicamente, per esprimere melancolia - alla spalla con un solo movimento, sapiente al punto da sembrare casuale.
Ciò fatto, esplode.
Spero che Anna mi perdonerà, se racconto queste cose. Dio mi è testimone che non voglio affliggerla in nessun modo, vista la profonda ammirazione che nutro per lei. Del resto, non mi è imputabile alcuna colpa riguardo la morte irriguardosa di suo padre, uffiziale dell'esercito Regio e primo macchinista gavettiere. Indi panettiere, indi carrozziere, indi - col permesso del ministero del commercio - gestore di un negozio di elenchi che stilava egli stesso: elenchi di bellezza, di bruttezza, di modi incivili, di modi civili, di amanti dei cani, di padroni esigenti, di proletari avvizzinati, di scansafatiche italiani. E ancora: elenchi di soprusi, elenchi di privazioni, elenchi di mali commessi in lontano passato che tornano a riaffacciarsi al presente, elenchi di opinioni arroganti, di ombrelli spaccati dopo uno, due, tre mesi dall'acquisto, elenchi di saltellatori provetti e di stelle apparse in concomitanza con la nascita di qualche bambino.
Il padre di Anna abbandonò il negozio dopo dieci anni di serena attività. Lo cedette ad un turco che lentamente lo fece fallire, mentre lui provava la strada del cinema. Prima proiezionista, quindi cameraman - dall'altra parte quindi della barricata - infine attore con la sua stessa figlia - nuovo salto - in duecentocinquanta pubblicità dedicate a prodotti per la pulizia dei sofà.
Tutto questo potrebbe sembrare scarsamente importante, eppure contiene in nuce la spiegazione - io credo - di questo mal sottile che mi coglie, mi colpisce, mi compenetra lasciandomi ogni volta del tutto impreparato a reggere all'urto. Anna , comedetto poc'anzi, è contraria e preferirebbe io mi facessi visitare da un buon pneumologo, ma io dico: quale ricavato o distillato della moderna medicina può guarirmi da questi travasi della psiche? L'ignoranza del cagionevole non è un buon segreto sotto il quale conchiudere l'interim del percorso incoscio.
Sopporto quindi questi strani agguati psico-fisici con la stoica pazienza degli stoici. E non potrei far altro. Guarire non è un'utopia, è un processo assurdo dal quale non so se riceverei più vantaggi o più svantaggi. Pensavo, per alleviare il mio tormento, di acquistare una dragamine con la quale partire per il Mare Egeo, dove un amico comune mi aspetta per iniziarmi ai Misteri Eleusini.
Potrebbe il mito essermi utile, visto che il mio caso ne è parente?
E siccome tutte le storie meritano una fine adeguata alle loro risorse, è possibile che alla mia tale destino sia negato?

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