31 marzo 2006

quel pomeriggio



nel 75 ero avevo 17 anni. Mi trovavo a Roma con mio padre, che faceva il sindacalista. C'erano i film in prima visione e correvano per l'oscar. Mio padre, come me, amava il cinema e andammo a vederli tutti e due, quelli che erano in gara. Un pomeriggio dopo l'altro, dopo il congresso del sindacato.
I film erano "quancuno volo' sul nido del cuculo" e "quel pomeriggio di un giorno da cani". Due titoli belli ed enigmatici, molto diversi dai titoli oggi di moda. ("colpevole di innocenza", per esempio: vorrei conoscere il demente che lo ha ideato per stringergli la mano).
I film erano buonissimi entrambi e da allora non hanno cessato di interessarmi per la tensione e la grande umanità dei personaggi raccontati. In America inoltre, a differenza di oggi, si cercava, negli anni settanta, una riflessione sull'identità.
Una riflessione anche sociale, stratificata e complessa. Allora non eravamo narcotizzati come oggi.
Adesso riguardo il dvd e sento il commento di "dog day afternoon"; il commento di Lumet, che lo diresse. Ed è affascinante sentire come ha costruito, mattone su mattone, con esperienza e capacità di ascolto un piccolo affresco che appare oggi come immortale.
Il film gli fu commissionato dai produttori. Ma lui ne fece un capolavoro.
Un ottimo esempio di come si possa essere popolari e geniali al tempo stesso.

28 commenti:

andrea barbieri ha detto...

In questo periodo in edicola si può trovare il teatro completo di Dario Fo in dvd (Fabbri). Ho appena visto la prima uscita Mistero buffo. Anzi ri-visto dato che una volta sono andato a teatro e ancora prima lo avevo visto alla rai. Era la fine degli anni settanta, avevo una decina d'anni e Fo mi divertiva da matti (poi, per la seconda volta, è stato allontanato dalla tv secondo il noto principio antimeritocratico italiota). Nel dvd si può notare tra il pubblico anche qualche bambino della stessa età che segue la storia e ride. Ecco, per me questo è genio popolare, nel senso che Mistero buffo si rivolge al popolo e viene, nella forma dell'antica giullarata, dal popolo. Che l'interesse per la narrazione riesca a attraversare diverse età forse è dovuto proprio alla sua anima popolare. Mi pare che anche tu parlassi, a proposito di fumetti giapponesi, della volontà di produrre qualcosa di simile, rivolto a tutti e a tutte le età.

ps: Il caimano forse è il più bel film di Nanni Moretti.

igort ha detto...

Ok Fo, anche se trovo che si ripeta molto.

Quando parlo delle condizioni con cui è stato realizzato "dog day afternoon" parlo di un'evidenza: capacità pratica di costruire storytelling. Quello che gli americani imparano nelle scuole e che noi pensiamo siano cose dettate dall'ispirazione. Seguendo un' idea romantica dell'artista come "illuminato".
Perchè mi piace "i soprano" e non "la piovra"?
Forse perchè è girato bene e scritto con acume, senza quel senso del melodramma che uccide la narrazione affogandola in lacrimucce facili facili.

La cultura pop non è necessariamente di bassa lega. E' di questo che vorrei parlare.

Di questo e della capacità di creare una tensione narrativa che porti la materia narrata a parlare di altro. Non solo di quelo che sembra.

Un uomo decide di fare una rapina in banca. Vuole pagare l'operazione al travestito con cui sta perchè diventi una donna.
Questo plot, che è un fatto di cronaca pubblicato su Life, se non erro, fu lo spunto per un film lavorato con perfezione dal trio Lumet, Cazale, Pacino.
Ma è ovvio già dal plot che i registri sono aperti. Se sbagli parli di macchiette, se sei rigoroso e attento parli di umanità pura.
Una cosa ammirevole è quello che Lumet preciso, metodico e artigiano sapiente (l'avete visto "l'uomo del banco dei pegni"? Imperdibile) dice di Pacino. lo considera "dotato di un rarissimo talento a cavallo tra tragico e commedia". Ci sono elementi incidentali che hanno portato il soffio della vita nel film.
Pacino estrae un fucile da una scatola regalo, la canna rimane impigliata nel fiocco.
Pacino chiama Cazale quando il terzo socio decide di abbandonare la scena della rapina. Si inseguono con la testa tra le colonne. Che "impallano" ora l'uno, ora l'altro.
Sono incidentii che succedono nella vita di tutti i giorni. Ma in una situazione tirata come una rapina diventano elementi di narrazione altra. Portano il racconto fuori da quel meccanismo hollywoodiano di causa effetto tipico del film di genere.
Questo contrubuisce a fare la differenza tra elementi pre-masticati del cinema d'azione trasferiti di peso nella nostra narrazione popolare e un film o un racconto sensibile.

andrea barbieri ha detto...

La cosa diventa intricata. Ho paura che il pop sia nato da qualche geniale fighetto e che sia ben poco popolare. Forse una cultura profonda che emani dal popolo oggi non c'è più, forse il popolare è per forza riscoperta, come Miyazaki riscopre le straordinarie divinità Giapponesi e ci costruisce le sue bellissime storie.
Tempo fa scrivevi di essere interessato alle fiabe di Calvino mi pare. Anche quelle sono il popolare.
I Soprano sono realizzati benissimo, vero. Stanno facendo parecchi prodotti televisivi mettendo al lavore delle teste fini. Però mi pare che lì il committente detti legge (sotto forma di ascolto) l'urgenza artistica parla per seconda.
Non so, come dici tu il risultato può essere straordinario o caricaturale con poco. Bisogna provare.
Si possono anche mescolare le carte tanto da mettere insieme pop e popolare. Si può fare tutto, in fondo è solo un mezzo di trasporto, basta che alla fine si arrivi all'"umanità pura".

igort ha detto...

C'è un malinteso (colpa mia) quando parlo di pop intendo popolare.
Arte pop è i soprano o desperate housewives, o dog day afternoon. Sono popolari, fruiti da moltissime persone e di alto livello.

denism ha detto...

salve Igort,
Ho trovato per caso il link al suo Blog,
Sono un fan dei suoi lavori e volevo semplicemente farle i complimenti!
"FATS WALLER" mi è piaciuto un Tot!
Cavolo un giorno mi piacerebbe pure proporre qualcosa per Coconino Press , spero di riuscirci!
A presto
Denis

Umberto Torricelli ha detto...

Sono assolutamente d'accordo per il commento riguarda alla capacità di "storytelling" degli americani.
Alcuni scrittori americani, di noir o giù di lì, che ho potuto conoscere personalmente avevano ben chiaro il concetto di popular come lo intendi tu, Igort. E guarda caso non ne ho visto uno che se la tirasse "da artista", pure se si trattava di personaggi anche molto famosi (mentre spesso qui da noi vedi gente che al primo libro se la tira da premio Nobel). Fino al limite di quelli che si definivano semplicemente dei discreti artigiani. Forse a volte l'arte sta altrove, ma quel tipo di tecnica narrativa che ti fa stare appiccicato allo schermo (o alla pagina) è già più che pregevole, e quando c'è il soffio di vita a cui accenni tu, diventa sublime.

igort ha detto...

Caro Denis, hai molto talento. Ho visto i tuoi disegni. Davvero belli.

Per Umberto, io credo che se usciamo da certo piagnucolare da operetta sia possibile costruire solidi plot. lo dico con tutto l'amore per la parte artigianale del nostro lavoro.

duccio ha detto...
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duccio ha detto...

Gli americani sono strani... o forse sono solo tanti ed essendo così tanti si trova tra di loro con facilità chi eccelle sia in positivo che in negativo...
Tra le cose che amo di più molte sono americane... non di meno quelle che detesto spesso sono Sempre made in U.S.A.
E' verissimo che spesso gli americani sono maestri nel coniugare il geniale e il popolare... ma è altrettanto vero che spesso riescono a svilire la genialità dietro ad interessi economici che vanno ben oltre la mia immaginazione e comprensione ...

Stanno per uscire due film tratti da libri di autori che amo molto, scrittori che hanno radicalmente cambiato il mio modo di vedere le cose, il mio lavoro e perchè no... la mia vita: Factotum (Bukowski) e Chiedi alla Polvere (Fante).

Di entrambi i film non so molto, li andrò a vedere al più presto... e non voglio infarcirmi di aspettative e preconcetti...
Però vedere il faccino di Matt Dillon che fa la parte di Bukowski mi disturba... è non voler mostrare le cose per come sono, o per come erano, è non voler accettare anche la scomoda fisicità di un personaggio come Bukowski... probabilmente in nome di una ragione commerciale che ignoro... una sorta di Bukowski pulito e rassettato per l'occasione... Non che di Bukowski fosse poi così importante l'estetica rispetto al suo lavoro, ma il suo aspetto era coerente con il resto... aveva una specie di "funzione linguistica"... mi sarebbe piaciuto Benicio del Toro al suo posto probabilmente... 
Ripeto, non li ho ancora visti e magari sono entrambi bellissimi...ma ora che c'è l'ennesimo ritorno della generazione maledetta americana la coincidenza è per lo meno sospetta.
staremo a vedere...

tengo molto a questo argomento e avevo intenzione di aprire un post anche sul mio blog... ora penso che lo farò..

Niccolò Storai ha detto...

Ciao Igort !
Erano decisamente troppi giorni che non postavo niente così ho deciso di rimediare.
Piacciono molto anche a me I Soprano e Le Casalinghe Disperate , aggiungerei Lost ,una serie dove la ricerca psicologica e lo storytelling raggiungono vette davvero rimarchevoli.
Che ne pensi ?
Ti piace la serie?
In Italia non si fanno delle serie belle , colpa dei personaggi , sono tutti buoni e il finale lieto sembra un obbligo per ogni puntata .
Non c'è il coraggio di scrivere , di raccontare il mondo degli antieroi essi' che ce ne sono , pieno , ovunque si guardi!

Per Andrea B. pure io ho comprato il Dvd di Dario Fo ed è davvero tutto da ridere!

iodisegno ha detto...

intervengo, sono novizio, perdonatemi.
Complimenti a Igort e tutto il suo cinema. Due cose sugli ultimi post.
Vinicio Capossela: trovo che questo ultimo lavoro sia eccessivamente "costruito", bello ma troppo ponderato. Riascoltare "Pioggia a Novembre" da "il ballo di San Vito", bella da piangere, durissima, ma con una spontaneità compositiva incredibile.

Casalinghe disperate: mi sembra lontano anni luce dalle altre cose citate, di un manierismo affettato, senza suspance nè ironia...

Ant

andrea barbieri ha detto...

Niccolò, giovedì due cd: la seconda parte di Mistero buffo e Morte accidentale di un anarchico. Però prezzo più alto, 12,90, azz... :-)

Niccolò Storai ha detto...

Grazie Andrea , sai che non me ne ero nemmenno accorto?Sono tornato a casa scartando il plico ed ho subito guardato la prima parte .
Sempre cosi' con queste iniziative editoriali , il primo numero te lo tirano dietro ma quelli dopo ...........
Per "io disegno" non credo che Desperate sia cosi' manierista , forse la prima serie era più convincente ma,insomma pure questa non è male se si considera poi quello che passa la rai!

igort ha detto...

Hollywood oggi? Non esiste quasi ragazzi.
Non è rimasto quasi più nulla dei fasti di un tempo. bum bum e bam:botte da orbi e ci si annoia mortalmente.
Azione senza umanità uguale disinteresse.

La vera rivoluzione sta oggi nelle serie tv, in particolare quelle della hbo.

Sopranos: scritto bene e girato come cinema. La sfida è quella di mantenere la tensione per decine di ore. Notevole e per nulla semplice da ottenere.

Lost, lo seguo con molto interesse ma mi lascia perplesso, e non poco, il ricorso a un'estetica eccessiva da fotomodello. Ogni donna o uomo sembra venuta fuori da un casting di moda. Sono tutti troppo belli e patinati. Anche il vecchio, sembra Marlon Brando di apocalipse now. E il grassone una pubblicità kellogs (breakfast of champions).

Caso a parte merita desperate housewives. Scritto molto bene. Non sono d'accordo che non ha ironia, sarebbe come pretendere che Cassius Clay non sa tirare di boxe, e poi ha un enunciato fantastico: la storia è raccontata da un cadavere. Questo e altri deliziosi elementi lo rendono
rivoluzionario nel suo genere e
memorabile.

Per Bardamu: temo rimarrai deluso dai film che aspetti. Ma non si sa mai. E poi gli americani non sono molti, sono solo 300 milioni. Siamo noi che viviamo da cultura colonizzata.
E l'america che si da da fare.
Ma la cosa che mi piace di un certo modo di fare è un senso di sano artigianato antiromantico. Da noi si ha la tendenza a credere che per raccontare bene ci voglia l'ispirazione. Retaggio antico e divertente, ma da prendere con la debita distanza. Ispirazione ma anche traspirazione insomma.

andrea barbieri ha detto...

Beh in Italia negli ultimi due anni, anni in cui se non scrivevi noir non eri nessuno, la parola d'ordine è diventata: sono un artigiano. Purtroppo, come tutte le parole d'ordine (anche quella opposta: sono un artista puro, altissimo, levissimo) sono servite alle case editrici per vendere, e ai critici per consolidare il loro potere.
La Einaudi (mica l'ultima casa editrice del pianeta!) aveva scritto "noir" persino sulla copertina di Trilogia della città di K., della Kristoff :-)
Fortuna che il fumetto, un po' per l'assenza di critica, un po' per un giro economico più modesto, è rimasto fuori da questa buffa macchina di marketing. Infatti, gli artigiani-artisti della narrazione per immagini negli stessi anni sono esplosi (nell'indifferenza dei giornalisti nostrani).

igort ha detto...

non le conosco ancora queste serie che citi, Giordano. Cerco di vederne qualche episodio.
Se si esce da logiche rigorose si entra spesso in logiche Grand Publique, come dicono i francesi.
Che vuol dire popolari, mass market, o come volete.
Si tratta di vedere chi riesca a fare cosa.
E' molto difficile fare alta qualità ed essere popolari al tempo stesso. Anzi è la cosa difficile per eccellenza.
Ma c'è chi ci riesce.
Per esempio quando entra in scena lo zio Ritchie nella seconda seire dei Soprano io lo trovo davvero agghiacciante. Quel personaggio è eccezionale perchè riesce a incutere reale terrore.
E' un senso di disagio che ha origine dall'imprevedibilità. Si tratta di una situazione che potrebbe degenare da un momento all'altro. E questo conferisce al racconto una potenza inaudita.
Per me, in questo caso, si tratta di grande letteratura.

Anche la gestione del ritmo in LOST è molto buona. Mi ricorda il primo alien, quello magistrale, di Ridley Scott.

Niccolò Storai ha detto...

Permettetemi , Carnivale è una serie che sembra uscita fuori da un autore Coconino , Igort , devi assolutamente reperire qualche episodio .
All'inizio quando ho cominciato a vederla mi rimandava sempre ad una storia bellissima disegnata da Leila Marzocchi e sceneggiata da Pinko Zeman .
Entrambe le storie sono ambientate in un circo , in Carnivale la cosa più importante è l'emeginazione e la spiritualità , il protagonista infatti lotta contro un prete malvagio dagli strani e misteriosi poteri .
Vedo di mandarti dei link tramite mail.

duccio ha detto...

la pratica "quotidiana" del fare... spesso è obbligandosi a fare comunque, anche quando non si ha voglia, che improvvisamente si incontra la propria ispirazione, proprio lì... dietro l'angolo..

Niccolò Storai ha detto...

Bardamu ,
le tue parole sono stupende ,leggerle è un piacere.

Roberto La Forgia ha detto...

ciao Igort,
noi, in italia, dove possiamo imparare quelle cose che gli americani imparano nelle scuole?
esistono in italia luoghi istituzioni realtà in cui vengono insegnate, con un rigore vicino a quello americano, le tecniche della narrazione?

è solo una curiosità.

ciao

andrea barbieri ha detto...

Mi intrometto, se è la narrazione in generale che cerchi c'è la scuola Holden di Baricco, credo che ci siano anche corsi di sceneggiatura del fumetto (cioè non è necessario frequentarla interamente per anni, esistono anche brevi corsi). Dico la scuola Holden perché affrontano la narrazione su tutti i piani, non solo quello letterario.

igort ha detto...

Se prendi uno come Joe Matt, appare chiaro, dal modo in cui rilegge la propria biografia personale, che fa un preciso lavoro sulla narrazione. Si tratta di rimboccarsi le maniche e "cercare il motivo", come si diceva un tempo in musica. Cercare un leit motiv narrativo che sia una vera e propria chiave di lettura. L'esercizio non è facile. Ma aiuta molto anche a rileggere cose (Crumb, David b. Matt, Seth, C.Brown) comprendendo forse meglio la prospettiva.

ausonia ha detto...

è strano... ma "il soffio della vita" non è più presente nel cinema, non intendo nel cinema americano, ma nel cinema... per il semplice motivo che la realtà nostra - negli ultimi vent'anni - è stata talmente smascherata dai media, e dall'informazione in generale, che è diventata esteticamente irrappresentabile.
nella rappresentazione cinematografica contemporanea è la vita che imita l'arte. perché della realtà, ce ne vergognamo a tal punto, che è sufficiente ri-vedere "taxi driver" oggi, per sentirci profondamente in imbarazzo. ci disturba. il reale pallore di de niro. i suoi veri brufoli. il suo sudore che è talmente reale che ne senti il profumo pungente. i suoi capelli. le sue scarpe. la prostituta bambina che fa schifo. le luci al neon.
quell'obiettività asciutta sulla realtà ce la siamo voluta lasciare alle spalle per pudicizia.
l'idea di riprodurre ciò che siamo è un'idea repellente. e allora si usa la potente - ma ridicola - colonna sonora per sottolineare ogni minima azione attoriale, illuminazioni eleganti ogni dove, sofisticate inquadrature anche per mostrare due stronzi che si bevono semplicemente un caffè.

non è un problema squisitamente legato allo storytelling... puoi pensarla anche bene la scena di uno che suda correndo... ma il sudore sarà sudore sintetico spray della max factor.

Niccolò Storai ha detto...

Le pubblicità dei cosmetici sono quelle che mi inquietano di più , rappresentano un mondo troppo incentrato sui bei vestiti , sulle belle macchine e su quant' altro la filosofia di Babbie ha diffuso nelle testa delle persone!
Ma avete visto che visi che hanno?
Tutti con i denti perfetti , tutti a farsi cancellare le imperfezioni.
Ma non solo le imperfezioni che ci rendono unici ed irripetibili?

igort ha detto...

Le pubblicità, dei cosmetici ecc., fanno il loro lavoro: rendere la reltà con la cirfra del "SOGNO".
Se poi questo sogno ci interessi o meno è altro oggetto di discussione.
Ma non ne farei una lettura puritana. Non è la pubblicità che mi spaventa, ma il fatto che la realtà si sforzi di imitarla, come suggerisce acutamente Ausonia (vistate il suo blog fa dei lavori di ottimo livello).
Il punto è: ci disturba davvero il pallore e il "realismo" di Taxi Driver?
Su questa frase si gioca una partita importante. Se la risposta è sì, allora il lavoro di ri-costriuzione estetico-etico-narrativo da fare è davvero grande, immenso.
Se la risposta è "non tanto" abbiamo più speranze.

Lo ripeto, i segni parlano, significano.
Quando con la coconino abbiamo deciso di proporre un'idea di libro umile (non cartonato), non patinato, prevalentemente in bicromia o bianco e nero, su carta avorio, volevamo prendere una posizione. Dare un'idea di cosa secondo noi mancava, di che tipo di libro avremmo voluto prendere tra le mani.

I distributori non hanno mancato di farci comprendere che eravamo perdenti, nel senso che la diversità non paga.
Si sbagliavaqno come abbiamo visto, ma vi posso assicurare che non è stato facile.

Quello che mi colpisce, quando parlo con gli addetti ai lavori che mi propongono idee o progetti è che non ci si interroghi sul "dove stiamo andando" con questo o quel tipo di racconto.
Pongo un assioma:
Coconino aveva in progetto una antologia periodica sul fantastico. Che avrebbe dovuto affiancare Black.

Ho dovuto rinunciare perchè non trovavo abbastanza materiale interessante. Voglio dire che se il fantastico deve essere la fiera dell'esplosione e dei bambolotti senza spessore preferisco leggere le parole crociate.
Ho bisogno di sceneggiature degne di questo nome, di personaggi memorabili, di situazioni non retoriche che facciano risorgere il genere.
Vi lancio un SOS, segnalatemi storie belle se ce ne sono e raccontatemi perchè secondo voi sono belle.

Solaris di tarkowsky
Cowboy bebop
2001 di kubrick
tutto miyazaki
Watchmen
Swamp thing di Moore
il cinema di Karel Zeman

E poi?
Queste poche pepite fanno parte della mia mappa personale. Poche altre cose mi piacciono.O meglio mi convincono.
A voi la parola.

duccio ha detto...

mi sono appena accorto di non essere ben capace di tratteggiare un confine preciso tra fantastico e grottesco... mi sembra che i due "generi" se di generi si può parlare, abbiano nella narrazione, continui punti di contatto ma anche diversità "inconciliabili"... come se, in qualsiasi momento, uno potesse diventare una sfumatura dell'altro, senza mai tuttavia coincidere..

ausonia ha detto...

igort:

ci repelle. ci repelle da morirne.
ovvio che con "ci" non intendo a me e a te. ma agli esseri umani, generalizzando. e si può generalizzare. ne abbiamo facoltà. ne abbiamo quotidianamente le prove.
e la cosa che dici sulla ri- costruzione... è necessaria. doverosa. e tocca proprio a noi.
sì, a noi che creiamo immagin(ar)i. allora la domanda giusta è: ce la sentiamo di prenderci questa responsabilità, o no?

mi vengono in mente due cose.
2001 odissea nello spazio e la cappella degli scrovegni.

2001 perché la tesi di quel film giustifica in parte la l'idea che ho sul perché "la gente" da qualche decennio detesta l'estetica della realtà.
gli affreschi di giotto nella cappella degli scrovegni danno uno spunto per la ri-costruzione.

2001:
in quel film c'é un'immagine che è il film stesso. l'osso lanciato dalla scimmia che in dissolvenza diventa astronave (che non a caso ha una forma molto simile a quella di una tibia o di un femore). cosa vuol dire? che l'evoluzione umana non esiste in senso antropologico, ma solo in senso tecnologico. l'uomo cambia in base ai manufatti che costruisce e di cui si circonda.
fino all'arrivo degli anni ottanta l'idea era questa.
poi le cose hanno preso una piega che neanche kubrick poteva intuire. è successa una cosa, a mio parere. una "svolta profonda". e se il fine dell'evoluzione tecnologica umana fosse quella di trasformare l'uomo stesso in manufatto e quindi in oggetto? Bé, ci siamo. lo stiamo cominciando a fare. ci piace, e soprattutto è il coerente proseguimento scellerato di un progetto lontano, iniziato centinaia di migliaia di anni fa. qualcosa che può avere una sua nobilltà, se si vuole...
solo diventando oggetti entreremo a pieno in un ciclo evolutivo. perché non saremo più umani... ma tecnologia pura. e questo è ciò che ci riserva il futuro.
per adesso, con i poveri mezzi che abbiamo, ci possiamo limitare ad adoperarci in modo creativo a sviluppare la cultura simbolica sull"oggetto umano". e questo spiega perché nella rappresentazione artistica della realtà tutto sia irrimediabilmente sintetico. falso. posticcio. elaborato. modificato. a partire dagli attori dei film, passando per lo shopping terapeutico, per poi infine ad approdare su un comodissimo divanetto senz'anima ikea. spingo tutti a leggere il libretto -ricostituente- dell'etologo mark augé "non luoghi"...
ora, de niro in taxi driver... fa ancora parte della razza umana come la si è intesa fino a vent'anni fa. de niro suda, puzza. è un animale con i jeans. aldilà del personaggio che interpreta, è de niro in sè... ad essere un animale. è una bestia come quella foster bambina. sono ancora delle scimmie. hanno i denti storti. e lei dove vuole andare con quel seno pateticamente inesistente? bestie senza senso del pudore. fango. fango primordiale.
nella testa della "gente" è ovvio che bred pitt quando è sudato in una scena di un film non suda il suo sudore, ma quello spray della max factor. perché bred non sa sudare, lui è perfetto! bred è un robot. ed è per questo che piace alle donne della "gente", non perché lo credono sovrumano... ma nonumano.
bred è la trasposizione nell'umano dell'idea del non luogo di augé.
mi fermo qui perché potrei continuare per ore. e poi... c'é da parlare di giotto.

in mezzo a tutte queste macerie... c'è l'esempio dell'arte di giotto che produce per un pubblico di analfabeti, che non sapendo neanche il significato della parola analfabeta, ignorano del tutto le ragioni della loro triste e misera e limitante condizione umano-esistenziale. e cosa produce giotto per loro? fumetti muti. un thomas ott del trecento. un genio.
e questo voglio fare io. e questo dovrebbe fare chiunque decida di avere il coraggio di prendersi la responsabilità di ri-costruire. usando immagini coloratissime e comprensibili per tutti, un po' pop e un po' apparentemente didascaliche, stampate su albi patinati... ma con dentro un cazzo di seme ben nascosto che così la "gente" se lo porta a casa senza saperlo e magari dopo un po' si trova una nuova pianta in soggiorno e credeva di aver comprato solo un cazzo di fumetto...

ausonia ha detto...

poi ovviamente si può fare arte anche per le persone (che non sono la "gente") e lì cambia tutto. e lì si costruisce perché non c'é niente di rotto da ri-costruire. la "gente è il 70% della collettività, le persone la rimanente percentuale. :)