23 giugno 2014
Tokyo, 23 giugno 2014
A volte mi perdo a osservare i grandi magazzini, ci vado come se andassi in un grande museo, un museo delle merci. Due salti da Mitsukoshi, che è come dire Gli Uffizi di Tokyo.
Tutto corre veloce, una miriade di persone intente a scegliere, assaggiare, guardare, ordinare, incartare, porgere: "arigato gozai masu" ed è tutto un inchino. Le vetrine. Ah! Bisogna essere insensibili per non commuoversi davanti a certe composizioni, certe architetture cromatiche. Che sono, al pari di quelle dei piatti nei ristoranti, di una bellezza commovente. Io ammiro, il mio sguardo si sazia. Ecco dei dolci tradizionali giapponesi, i Daifuku, fatti con i fagioli azuki. Delicati e fini. Li si impara ad apprezzare dopo un pò. Ecco, questo penso: se il tempo si fermasse e noi cessassimo di agitarci inutilmente, temo che coglieremmo la portata kafkiana di questo rito di consumo e accumulazione. Ma, frattanto, come non arrendersi a queste geometrie, come non lasciarsi accarezzare da questi colori pastello?
Tornato al Niwa spengo l'aria condizionata e apro il vasistas verticale della mia finestra. Entra una brezzolina molto più salutare, ma anche il CLANG CLANG dei cantieri vicini.
Li sento che sferragliano, gli operai, e martellano le putrelle d'acciaio, costruiscono gigantesche impalcature in pochi giorni. Il loro frastuono si confonde con quello dei treni della JR, poco distante. Tokyo è davvero il luogo del mondo fluttuante, come si diceva un tempo degli ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante) l'operosità giapponese modifica l'aspetto della città di giorno in giorno. Oda San mi mostra il luogo dove sorgeva il palazzo della Shogakkukan, ora vuoto, un cantiere è sorto, e in pochi mesi ci sarà il nuovo palazzo, più grande di quello precedente.
Mentre facciamo quattro passi nella zona di Kagurazaka, Giorgio mi mostra un grattacielo, mi dice, "Vedi? Quello è il palazzo della Kadokawa", poi specifica, "anzi, no quello è il palazzo della terza divisione della Kadokawa". L'industria dei media qui sembra non conoscere crisi. "Siamo a un punto di svolta, è chiaro", dice Oda San. "Prima si leggevano più riviste, ma ora i fumetti si leggono nei telefonini e i libri si vendono più di prima".
Alla sera, cena con Yuka, E Yuko, e Shin San, editor della Kodansha. E brindare in onore dell'impero della carta, che volge al termine. In pochi anni i fumetti saranno perlopiù per i tablet. E li collezioneremo, quelli belli, stampati su carta, come oggi collezioniamo i vinili. Shin è preoccupato, dice, "la pirateria non la puoi fermare. Il consumo è volto alla quantità, non alla qualità. Guarda come ascoltiamo la musica oggi. E' gratis, ma sono degli mp3, un formato qualitativamente scadente." Si levano i bicchieri. "Già, campaaaaaiii".
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2 commenti:
E se i Kodacosi hanno ragione ? Cosa ci aspetta ?
Un futuro paperless, se non consideriamo quei rotoloni in cui inciampa il labrador cucciolo della pubblicità, con sette di Mishimi che, dopo il crepuscolo, si trovano nelle catacombe sotto il Mazinga Museum ad ascoltare vinili in cui mangaka del passato leggono i loro lavori, mentre eteree danzatrici giappo saltellano dietro un lenzuolo trafitto da un raggio di luce e riproducono, interpretando
( qualsiasi traduzione è una qualche forma di tradimento ), la storia del Signor Cinque che si crede un numero perfetto nella onorata società di cui fa parte, ma quando scopre che gli si preferiscono Sinatra ed il suo ratpack si ribella, si dimette ed è confinato, prigioniero, su di un isola da cui non si può scappare e dove non è possibile lanciare un SOS perchè tutte le radio non hanno valvoline. Mm.
arrestatelo, presto!
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