5 dicembre 2007
baobab 3
disegno lentamente. Arrivano visioni e la storia si carica di livelli altri, inaspettati. Io assisto.
30 novembre 2007
è viva
dopo anni di incertezze una cosa che riscalda il cuore. Almeno sapere che Ingrid Betancourt, rapita da cinque anni dai montoneros in Colombia e tenuta in cattività nelle foreste, è ancora viva. Con lei oltre cinquemila altri rapiti.
Una cosa semplicemente atroce.
23 novembre 2007
parole e musica
qui una chiacchierata sul disco CASINO' (igort & lo ciceros) e altri progetti musicali, ospiti di Radio X e Sardinia Media Factory. Conduce Sergio Benoni, amico, di vecchia data ed ex compagno di liceo, ritrovato con piacere questa estate nell'isola.
17 novembre 2007
animamusica
A cagliari, in autunno, non sono più abituato a venirci. Questa occasione è un invito dell'Expo, un festival di comunicazione in cui insieme ad altri "tutor" parliamo delle esperienze, del nostro lavoro di autori, del supporto delle tecnologie, di come nascono le idee e come si trasformano. Sulla base dell'immagine di copertina del nuovo disco Bruno Olivieri fa una piccola animazione che sperio presto di postarvi. Eccolo al lavoro.
25 ottobre 2007
lingua comica
a Londra per qualche giorno, in una full immersion insieme ad amici di tutto il mondo. Per registrare lo stato di salute del fumetto. Capire dove siamo, e varcare le frontiere tra Asia ed Europa. Un progetto fortemente voluto da Paul Gravett, che ha convolto l'asef (Asia Europe foundation).
Teso a costruire una lingua franca, un linguaggio universale.
http://linguacomica.wordpress.com/
erano invitati giovani talenti provenienti da tutta l'Asia e l'Europa. E qualche veterano che li seguiva per pochi giorni, li consigliava, leggeva con loro le cose e parlava di fumetto.
Un'esperienza umana meravigliosa, commovente e arricchente.
Se visitate il blog di lingua comica troverete anche i lavori che questi autori stanno elaborando in collaborazione.
Buona visione.
12 ottobre 2007
primi fuochi
arrivanio i primi articoli che annunciano l'uscita imminente del disco nuovo. Una cosa che mi è molto cara.
Questo disco ha un suono caldo e ruvido. Le prime copie, appena stampate, saranno probabilmente disponibili a Lucca.
Se siete curosi e volete ascoltare qualche brano
andate qui
http://www.myspace.com/igortlocicero
si tratta di un racconto fatto di suoni parole e disegni (un booklet di 32 pagine formato doppio a colori)
stay tuned
7 ottobre 2007
un anno
Un anno fa moriva assassinata la giornalista russa Anna Politkovskaya. Questa cosa, malgrado il tempo passi, non cessa di farmi star male.
2 ottobre 2007
back again
i libri sul mio comodino si affastellano. sovrappongono, popolano la mia testa. Frattanto diverse cose accadono. Scrivo ricordi, immagino storie, sogno progetti apparentemente irrealizzabili. Questo è quello che leggo in questi giorni.
Katherine Mansfield: Tutti i racconti. Lo sfoglio e mi perdo in qualche pagina, che poi rileggo.
Vargas Llosa: La zia Julia e lo scribacchino. Istrionico e affettuoso.
Samkara: Aparoksanubhuti. Un ritorno, per imparare a conoscersi.
Jorge Amado: Cacao. Colorito.
Philip Roth: Pastorale Americana. il più grande libro di Roth dai tempi del lamento di Portnoy.
Antonia Iaccarino: Costanza e la controra. Folgorante libro di esordio di qualcuno che ha cose da dire.
Katherine Mansfield: Diari. Abbacinante.
2 luglio 2007
giorni
giorni di grande caldo e di ascolti musicali e scrittura, di grafica disco, e di disegno con stile pop messicano.
playlist
1 ascolto volentieri Illinoise di Sufjia Stevens, magnifico.
2 The album Leaf, il cd In a safe Place
3 Assaggio Twelve di Patty Smith, arrangiamenti troppo puliti per una voce tanto ruvida e potente, ma Patti la si ama comunque.
4 Sale in classifica The Raconteurs, disco meravoglioso.
5 Anche l'aultimo white stripes, ma ancora devo capire se è un capolavoro.
6 Cocorosie è piacevole, ma forse anche sin troppo caramellosa come genere di ironia. Comunque non siamo ipercritici.
7 Risale in classifica dal passato Beggars Banquet degli Stones
e 7 Magical Mistery Tour dei fabulous four.
8 a razzo ad ascoltare gli speedball baby (consigliati da Baru), con un miracoloso james Chance (quello dei contortions guest star) in una canzone del magnifico THE BLACKOUT.
9 uscita annunciata del mio disco: 5 novembre.
10 besos
vostro.
1 giugno 2007
ARGENTO! capitolo 47
Attraversando proprietà private sotto l’abbaiare incessante dei cani da guardia, sino a giungere a costeggiare a nord ovest, dove si estendevano, tra bananeti e coltivazioni di mais, gli infiniti latifondi della famiglia Ierros era giunta alla foce del Silentu. Era li’ che di solito arrivava da bambina dopo un viaggio estenuante, in calesse, accompagnata dai genitori. Ora osservava quei campi a perdita d’occhio dove era solita giocare sino a sfiancarsi, per ore e ore a inseguire le mariposas, a spiare i cinghiali selvatici che si abbeveravano in branco e dove amava prendere il bagno, nelle rive basse, sotto lo sguardo vigile di sua madre.
La riconosceva quell’acqua gelida e trasparente che le serrava le caviglie in una morsa quasi insostenibile?
Era tutto talmente calmo. Pareva che il tempo si fosse fermato dall’ultima volta che aveva visitato la casa.
La casa, eccola, bianca, di calce, circondata, abbracciata quasi, dal grande olmo, il pozzo poco distante, e oche e galline che razzolavano. Tutto come allora.
Quanto tempo era passato?
Non era capace di dirlo.
Si trattava di un’altra vita, una vita diversa in cui era esistita un’altra Lupita Maraboto. Una Lupita serena e spensierata. Fino al giorno in cui tutto era andato in frantumi, e la sua esistenza si era biforcata come una Y. La giovane e spensierata adolescente aveva preso il sentiero del sogno mentre quella che abitava la sua pelle era rimasta attaccata a terra, alle durezze di una vita troppo cruda.
Non era cresciuta veramente quella bambina, non era diventata, a dispetto delle apparenze, una donna. Perché non si cresce in un battito di ciglia, anche se è il dolore a chiedertelo.
Nella porta di quella casa, una volta amica, cercava con lo sguardo i segni del tempo, i cambiamenti che questo inesorabilmente conduce. Eppure tutto sembrava come l’aveva lasciato, come era rimasto depositato nei ricordi, senza neppure una patina naturale di polvere o consunzione.
Anacronistico. Irreale. Immutato. Sembrava rimasto cosi’, apposta per consolarla.
Fece un passo in avanti cercando tutto il coraggio di cui disponeva.
Esitava, lo vedeva da sé, finché, con mano tremolante, decise di bussare.
Quale porta del futuro l’avrebbe accolta adesso? A proporle quale visione della sua nuova vita?
Per anni, decenni, aveva vissuto guidata dal soffio di un desiderio sordo che le aveva mormorato nelle orecchie, all’imbrunire, poco prima del sonno, parole dolci di vendetta.
E per anni aveva annuito, sapendo dove andare e desiderando di andarci al galoppo come una pistolera entusiasta che va al suo duello con il destino. Lo sentiva ridacchiare il destino beffardo e lei a sua volta ridacchiava in coro con lui.
Chiudere gli occhi.
Semplice. Glielo aveva insegnato l’esperienza. Il sonno cura molti mali. Quelli dell’anima in special modo. E cosi’ lei si abbandonava. Non proprio sorridente, dato che la sua espressione corruciata si era calcata sul volto come una maschera di ferro, ma calma, mentre poco alla volta le membra si intorpidivano e i muscoli si rilassavano e la Lupita terrena lasciava entrare in punta di piedi quella del sogno.
WOOOOOSSSHHHHHHHH
Sorrideva, poco prima di prendere parte allo spettacolo pirotecnico che avveniva di solito in una scenografia bianca e rossa di garofani, gioiosa come una festa di paese, e scoppiettante come i fuochi dell’anniversario.
Un passo dopo l’altro avanzava con il suo incedere da principessa, macché principessa; era una luchadora orgogliosa, dal tocco salvifico, che avrebbe liberato il paese, la sua stessa vita, dal peso di quell”incubo ambulante, l’uomo che portava dolore, disperazione e morte.
Ah, allora trepidava, e si svegliava, non di rado in preda a un senso di frenesia.
Altre notti invece, forse con la complicità della luna, il sogno prendeva una strana piega, malinconica e inospitale. La faceva capitombolare giu’ dalla scala che la fantasia le aveva concesso di percorrere notti prima, agro e spinoso come un cardo selvatico, la pungeva sino a farle male, per avvertirla che in fondo le tenebre rispondono a regole non terrene, e che si naviga nella notte da forestieri, in cerca di una guida sicura.
Di guide lei ne aveva cercato dentro di sé per notti e notti. Ma nulla, si era accorta dell’illusione dei sogni, e aveva sorriso tristemente, come si sorride al proprio fallimento. Era m-o-r-t-a.
Quanta vita scorreva dunque nelle sue vene esangui di luchadora morta?
Poca. E quella vita, puramente illusoria, aveva finito per screpolare, come calce sotto il sole, i disegni improbabili di forza e coraggio da romanzo d’appendice, facendo di lei, inesorabilmente, quello che si rifiutava di essere: niente altro che una bambina.
A dispetto di un fisico che la mostrava donna e di un dolore che l’aveva fatta sentire vecchia, o perché no, dopotutto, effettivamente defunta.
Giaceva distesa quindi. Senza voglia di nulla: né di lavarsi né di ingerire alcunché. Per sempre pensava, in quella cantilena che formicolava nella sua testa, “per sempre” e attendeva il suo angelo nero che la avvolgesse con le ali piumate e la portasse via, una volte per tutte via da quella vita amara.
Poi, i giorni passavano e doveva constatare, ahimé, che nulla era accaduto. Allora tentennando vinceva la sua inerzia, sorpresa da una forza di volontà che ignorava di possedere, spinta soprattutto dalle lacrime di sua madre, e finiva per tirarsi in piedi.
Cammninando con passo strascicato, il viso smunto, si sedeva in veranda, nel patio, lo sguardo perso a contemplare i banani, e i tramonti, che, uno dopo l’altro, sfilavano ridicoli e inopportuni in quella parata irreale e incendiaria che in Parador prende il nome di imbrunire.
Silenzi.
In quei giorni nessuno osava rivolgerle la parola, neppure starle vicino.
Perduta ogni fede nella scienza medica i genitori diperati, quasi per caso, avevano scoperto il potere, o meglio sarebbe dire l’influsso positivo di Don Fermin su quella loro figlia ammattita per il dolore.
Preparavano un cavallo e inviavano di tutta fretta Emiliano, il primogenito, a chiamare quell’uomo. Che salvasse la loro figlia, che la riportasse al regno dei vivi dato che si stava lasciando morire.
Dopo diverse ore di galoppo Fermin arrivava. Constatata la situazione rassicurava la madre affranta, beveva il suo caffè e poi si adoperava.
In silenzio, immerso nella penombra aspettava il momento opportuno, quel click che risuonava, inudubile, solo all’interno del suo cranio, e poi, molto discretamente, faceva un passo, poi un altro e attraversava il salone per sedersi di fianco a lei. Semplicemente. A leggere in silenzio il suo libro russo, che soseggiava come si sorseggia un buon vino, con gusto e dedizione.
Fermin, che era un bellissimo uomo, a Lupita era sempre parso vecchio, anche a trentacinque anni,
ma sentiva una inspiegabile, intima, complicità.
Forse la saggezza o forse molto semplicemente la predisposizione da maratoneta con cui l’amico di famiglia prendeva le cose, non sapeva dire, ma c’era qualcosa in lui che contribuiva a calmarla, a rendere quelle sue furie interiori mansuete, il suo sguardo assente placido. Nelle rare conversazioni che si erano succedute Lupita aveva apprezzato le parole che lui le aveva detto, il senso di pacifica accetazione delle cose della vita, “che sono futili”, come amava ripetere lui sorridendo, “sono futili, mia piccola, e scorrono”.
Le sarebbe piaciuto che fosse vero e, per simpatia, non osava contraddirlo, pur constatando che dentro di lei non scorrevano affatto, le cose futili, e che invece si ancoravano a rancori e dolori sordi rendendola una statua di marmo, rigida e vibrante.
Si stava nel patio in silenzio, per ore e ore, ascoltando i grilli o seguendo i movimenti dei topi sulle palme. Poi a notte, quando Fermin si alzava per congedarsi e raggiungere la camera degli ospiti, sempre in silenzio, spiati dai genitori di lei, posava una mano sulla sua spalla. Con la semplicità di cui sono capaci i vecchi.
Un gesto piccolo, caldo, umano.
Che lei aveva atteso per tutta la sera.
E il miracolo avveniva, lei sorrideva e andava in cucina a mangiare, da sola.
Cosi’ trascorsero, un giorno dopo l’altro, quei momenti terribili.
A volte, quando le crisi si facevano più acute e l’abulia pareva interminabile sino a rendere, a causa dei digiuni, Lupita pelle e ossa, l’uomo, chiamato dai suoi genitori come fosse parte della farmacopea, si stabiliva per qualche giorno a casa loro. E portava gli scacchi, e il suo proverbiale sorriso giallo, con lenta lisciata di baffi.
“Dov’è la piccola?” chiedeva fingendo lui. E lei, che era tutto un dolore, che sentiva vibrare la pancia ed era prostrata e indolenzita oltre il dovuto, riusciva ad alzarsi per dargli un bacio sulla guancia, sotto lo sguardo estasiato di sua madre.
(“miracolo” diceva quella, e piangeva, al solito.)
“Allora Lupita, come vanno i rimbalzi?”
Rimbalzi della vita; cosi’ li chiamava per scherzo lui.
E lei gli sorrideva perfino.
“Male zio Firmin”.
Lo amava, amava quell’uomo, di un amore impossibile, come fosse un terzo genitore. Mentre lui invece l’avrebbe probabilmente presa in sposa.
Tutto, tutto questo, pareva cessare, d’improvviso, se prendevano a soffiare, violenti, i venti da nord, a spazzare con la furia di cui erano capaci ogni languore superstite squotendola come si sferza un puledro selvaggio e rendendola quasi allegra.
Allora risuonava una risata, sorta dalle profondità di quell’essere minuscolo e scheletrico e, come per sancire la fine di un brutto momento, Lupita saltava, parlava a voce alta e giocava insieme a quell’uomo e a suo fratello a rompere a sassate i vetri delle bottiglie riposte nel sottoscala.
Quella monellata, quel fracasso inatteso, era il segnale che la vita aveva ripreso il suo corso naturale.
Ora, mentre ricordava in silenzio tutto questo, d’improvviso la porta si schiuse e lei vide il volto che da bambina aveva carezzato tante vole, incartapecorito dal tempo.
“Ciao, sono tornata”.
E lui le sorrise, come fosse cosa naturalissima il vederla dopo tutti quegli anni.
“ Entra.”
Almeno qualcosa era cambiato, il tempo non si era fermato dopotutto, come non aveva esitato a devastare quel viso belissimo di un uomo che la aveva chiesta in sposa a dieciasette anni, incrinando irrimediabilmente i suoi rapporti di amicizia con quei genitori bigotti.
“Mi spiace quello che è successo con i miei, zio Fermin.”
“E’ successo, era inevitabile. Non era una cosa opportuna, effettivamente, avevano ragione i tuoi”
“ti preparo un caffè, ti va?”
Non attese la risposta, il vecchio, e si diede da fare; prese a canticchiare una nenia indiana e poi, quasi parlando tra sé e sé le chiese: “come vanno i rimbalzi, Lupe?”
“Non lo so”
“Non lo so, è già una risposta importante. Un tempo avresti detto: “ Male, zio Fermin””.
Risero senza aggiungere nulla, poi mentre il bollitore sibilava lei soggiuse:
“mi sei mancato”.
“Sono vecchio. Adesso lo sono per davvero”.
“il tempo passa per tutti”
Lupita sorseggio’ il caffè, per un attimo, e si senti’ rassicurata dall’essere in una casa amica, quindi sospiro’. Temendo che quel sospiro potesse essere male interpretato arrossi’ di colpo e poi, stordita da quelle sensazioni contrastanti disse senza troppi preamboli:
“Ho ucciso l’alcalde”
“l’ho sentito”
“la notizia è già arrivata?”
“sai Ramon, il figlio del maniscalco, lui lavora alla gendarmeria, è giunto un dispaccio urgente, ti cercano, queste voci non le controlli mica…”
“Devo cambiare cavallo, zio Fermin, questo è stanco galoppa da ore a perdifiato”.
“certo Lupe. E’ tutto pronto.”
Quell’uomo, che aveva odiato l’alcalde quasi quanto lei, adesso era risoluto ad aiutarla, senza il minimo dubbio. Era questa dedizione incondizionata che la aveva turbata sin da bambina, quella forza di dedicarsi a qualcuno, senza pretendere nulla in cambio.
D’altronde lei aveva sempre amato il suo essere sobrio, saggio, antico in un certo senso, che lo poneva in una maniera speciale rispetto al semplice fluire delle cose del mondo.
Apprendere di essere braccata non fu piacevole ma quel senso di incertezza si sposava con una improvvisa leggerezza. Si potevano aprire le porte del passato? Fermare il tempo a un punto preciso, un punto di estrema complicità, di amore puro?
“Da tanto non ci si vedeva. Quanti anni saranno passati?” Chiese lei.
“Troppi. Che importanza ha?”
“hai bisogno di qualcosa? Ho messo nelle tasche della sella cibo e danaro.”
“Grazie zio Fermin”.
“No, non devi ringraziarmi Lupe”.
Le faceva effetto essere chiamata senza il diminiutivo. Ma capiva che quello era segno per l’uomo che ora lei non era più la bambina di prima.
Sorrise, imbarazzata, sentendosi arrossire ancora una volta.
“devo andare ora”.
“Già”.
Lui la bacio’ sugli occhi, all’uso creolo, come per augurarle una nuova vita, e le diede il migliore dei suoi cavalli. Un purosangue che per anni aveva curato come un figlio, sapendo che prima o poi sarebbe giunto il momento.
Sorrise per l’ultima volta, certo come era che Lupita non sarebbe rimasta a marcire in quella terra ingrata.
“Ciao Lupe, conserva il tuo spirito sempre giovane; e fiorisci, ora che puoi.”
Lei parti’ al galoppo, senza udire quelle parole.
25 maggio 2007
Golden days
In questi giorni di grande movimento, tra un aereo e un altro, una residenza nelle mie città, che siano Napoli, Parigi o Cagliari, vengo preso dai ricordi. E tra le chiacchiere comincio a viaggiare all'indietro nel tempo. Si materializza un igor che credevo morto e sepolto. Potere della musica? Non saprei davvero.
Scopro su un bancone di libreria all'aeroporto di Elmas la biografia di Lou Reed, quella scritta da Bokris, già biografo di Warhol, recitata in radio, per storyville, dal mio amico Servillo.
Perché ora?
Mi vedo sconcertato e trovo che certe cose si mettano a posto come in un puzzle che ora mostra la sua faccia.
Lou, Andy, la factory, Diane Arbus, Hubert Selby, Weegee, Kerouak, sono stati importanti per me.
Quando ero ragazzo, neppure maggiorenne, scoprii alla radio la voce felpata di Lou Reed, le sue note venate di malinconia, e lo odiai con tutto me stesso, come si odia chi ti somiglia, chi ti riporta in musica il tuo malessere, la tua solitudine.
All'epoca lui parlava di cose distanti anni luce dalla cultura imperante. i miei amici o compagni erano "alternativi" e si vestivano come dei frichettoni, ascoltavano la musica della west coast, confusa e hippy. Parlavano di una liberazione sessuale fatta di spinelli e tette al vento. Visione, nei migliore dei casi, lisergica.
Per me tutto questo era folkloristico, divertente pure, ma tremendamente superficilale.
Per cui, anche se non avevo ancora letto alcune cose che furono decisive nei mesi e anni successivi una cosa era chiara: quella contro-cultura era davvero distante dall'universo ironico, perverso e decadente di Reed e del suo mentore Wharol che erano, artisticamente ed esistenzialmente, la mia famiglia. Ancora oggi mentre faccio qualche segno mi dico "hei ma questo è wharhol", il re del timbro, della campitura piatta, in due parole "della Pop".
Negli anni ho cercato di essere onesto, di rendere loro omaggio. Su Warhol ho fatto un piccolo film documentario, in occasione della mostra a palazzo Grassi, che Venezia gli dedico'. Un film che ho rivisto di recente e sono contento di pensare che "tiene ancora". A dispetto di tante cose fatte nel passato che oggi non mi appassionano più.
Su Lou e gli altri ho scritto una canzone da poco. Un rock'n'roll tirato che parla di quei giorni dorati e marci, magnifici e decadenti, che mi hanno insegnato a guardare alle cose del mondo.
Pensavo al suicidio allora. ci pensavo spesso. E forse la musica o forse il disegno mi hanno salvato.
Non lo so, ma "Sinatra", il mio primo libro con coconino, è anche questo. Una voce nel buio, il tentativo di ricordare quei giorni. E questa storia lo so che diventerà un altro libro, più esteso, sviluppato. Quando trovero' il coraggio, la forza e l'atmosfera per potere mettere su carta quello che ho già, in parte, scritto.
12 maggio 2007
Cosa ho fatto sotto il Vesuvio
In questi ultimi giorni ho lavorato a un nuovo progetto che mi sta a cuore da alcuni anni, il nuovo disco. L'abbiamo finalmente terminato. Io, Sarah, Mario e il produttore visionario Rosario Castagnola, con i quali suono da anni.
All'indirizzo
http://www.myspace.com/igortlocicero
potete ascoltare tre brani di questo album.
Sono contento del tono del disco, che è caldo e sereno ( merito delle scelte produttive e del tipo di missaggio che l'ottimo Rosario ha applicato al sound).
Sono storie di italo americani o omaggi alla cultura che è stata importante negli anni della mia formazione (Lou Reed, Weegee, Carver, Patty Smith, Kerouak, Diane Arbus, Warhol ma anche Ramones ecc).
Insomma se ci fate un salto e mi scrivete due righe mi fate un piacere.
Adesso scrivo delle storielle e faccio disegni collegati a quello che ho scritto nei testi delle canzoni.
Intanto vi mostro la copertina.
Stay Tuned.
8 maggio 2007
25 aprile 2007
parole che disegnano
in viaggio gli incontri con le cose belle suonano spesso al ritmo della musica del caso. Da Daniela, ieri, mentre aspettiamo che si rosoli una salsa di finocchio selvatico e pomodorini mi capita tra le mani un piccolo capolavoro di poesia avanguardista peruviana degli anni venti.
Il libro in origine si apriva, a fisarmonica e costituiva una fascia lunga cinque metri: Per questo l'ironico autore l'aveva chiamato "cinque metri di poesia". Leggo le poesie tradotte con testo a fronte e scopro uno spirito lieve e profondo. Si chiama CARLOS OQUENDO
e questo è un estratto dai cinque metri.
Las nubes
son el escape de gas de automóviles invisibles
Todas las casas son cubos de flores
El paisaje es de limón
y mi amada
quiere jugar al golf con él.
Tocaremos un timbre
París habrá cambiado a Viena
En el Campo de Marte
naturalmente
los ciclistas venden imágenes económicas
s e h a d e s d o b l a d o e l p a i s a j e
todos somos enanos
Las ciudades se habrán construido
sobre la punta de los paraguas
(Y la vida nos parece mejor
porque está más alta)...
17 aprile 2007
Goodbye Kurt
In epoca di vacuità spiace constatare come i grandi partano, uno dopo l'altro. Banale a dirsi, con il fiore più bello nel bavero (in tuo onore Kurt) dobbiamo ammettere sconsolati che ci ha lasciato Kurt Vonnegut il memorabile scrittore di almeno cinque capolavori della letteratura del novecento.
Vero maestro di un guardare disincantato e sornione, che pagina dopo pagina ti infondeva sconcerto eppure, a dispetto dell'assurdo, fede nell'umanità. Affetto insensato eppure sottile per quella bestia bipede che risponde al nome di uomo.
Sono senza parole, devastato dal malditesta e penso che siamo orfani. Orfani di un padre talmente intelligente e caro che non so quando potremmo mai riprenderci. Dove sei andato Kurt?
E soprattutto adesso come facciamo?
Rillegere nell'ordine Mattatoio numero 5. Il grande Tiratore, La colazione dei Campioni, Madre notte, Dio la benedica mr. Rosewater.
29 marzo 2007
26 marzo 2007
durante la prigionia
sono rimasto quasi tre mesi senza uscire. Dovevo sostenere un ritmo di lavoro che consentisse di mantenere le scadenze di pubblicazione. Durante questi tre mesi sono evaso tre volte, per un paio d'ore.
Non scherzo.
In un incontro, a pranzo, con Charles Burns si è parlato (per quanto i discorsi avessero quel tono ossessivo dettato dalla mia prigionia angosciosa) di lavoro.
Me lo sognavo alla notte, potete starne certi.
Ma le chiacchiere dicevano pressapoco questo:
igort: "Sai, mi sta servendo molto l'esperienza giapponese, che mi permette di disegnare continuamente, e di sopravvivere, forse, a questo libro"
Burns: "tu sei giapponese".
igort: " no, davvero, Charles. Una cosa che non capisco: perché non possiamo lavorare come faceva Chester Gould? Ogni giorno si alzava e faceva la sua striscia. Noi siamo cresciuti amando quei fumetti. Era come una fabrica, una fabbrica meravigliosa".
Burns: "e' proprio questo il problema. Apparteniamo a una generazione diversa, il lavoro è diverso. Io non posso pensare in quei termini. Fare diventare il disegnare un lavoro è qualcosa che non mi appartiene".
igort: "Non voglio essere cinico, io amo questo lavoro ma la domanda che mi viene spontanea è questa: Perché non possiamo disegnare come facevano loro?"
Burns: "perchè non voglio ripetermi, se possibile"
igort: "ripetersi? Non è una cosa che puoi controllare o meno. Sai cosa? Ho visto l'ultimo libro di Chris Ware e non l'ho preso. Non mi ha sorpreso; prima di vederlo sapevo già quello che ci avrei trovato".
Burns: "Capisco quel che intendi, ma non è la stessa cosa".
Naturalmente Burns avrà ragione ma io continuo a pensare che in un certo artigianato ci sia qualcosa di nobile e ammirevole. E mi piace molto l'idea di potere affrontare il lavoro senza troppa enfasi. Cercando di prenderla bassa, come un panettiere che deve sfornare il suo pane, giorno dopo giorno.
ritorno alla vita
un libro che va in stampa è un'esperienza totale, abbacinante per il senso di insicurezza che l'accompagna di solito. Mi alzo alle sei per andare ad assistere alla "messa in macchina" e bilanciare, insieme al fido Marco, grande maestro dell'arte della stampa, l'equilibrio degli inchiostri.
Temo questi momenti perché ci si sente totalmente in balia di un caso insondabile. Come reagiro' all'effetto di vedere stampate le prime pagine? Con un senso di ribrezzo o con un senso di piacere?
Sono stagionato ed è capitato in passato che l'effetto non fosse per nulla positivo. Quando questo accade ci si abbandona allo sconforto, è un 'esperienza molto frustrante e a poco servono le spiegazioni logiche. Hai l'impressione di aver lavorato per nulla, peggio di avere lavorato male, di avere rovinato qualcosa.
Se invece l'impressione è positiva si apre uno spiraglio in quel senso di indifferenza che di solito accompagna il parto. Un'indifferenza che confina con la freddezza spaziale. Questo spiraglio non esplode in gioia ma perlomeno ti porta serenità.
Parlo di cose che non si controllano. Sono cosi' e basta, dall'alba dei tempi per me.
E' capitato, gli amici me lo hanno chiesto: "come ti senti ora che hai finito? Il libro è venuto bene?" e io li', indecifrabile anche a me stesso, a tentennare una risposta irrisolta, belando qualcosa che non riesco neppure a comprendere.
E, quel che è peggio, assistendo allo spettacolo mortificante di un punto di domanda che si dipinge nel volto di chi ti parla.
Certo, vista da li' deve essere sconcertante; magari sembra pure che mi dia aria da artista da strapazzo.
Eppure davvero non so come prenderla io stesso. So solo che una scorza di quasi indifferenza mi accompagna per un paio di settimane. Fin tanto che il libro passa di mano in mano e questo passaggio, lentamente, dissolve il senso di limbo in cui sono stato precipitato.
il limbo di alligatore a ogni modo è diventato (magia) spiraglio di serenità. Mi è piaciuto vedere l'azzurrino sulla mia amatissima carta avorio mischiarsi al grigio della grafite e al nero delle squadrature.
ora aspetto, il fiato sospeso, che il libro ancora a fogli stampati, si trasformi nell'oggetto frusciante che sfogliero' con ansia, pronto a sentire le prime reazioni di chi lo ha letto, preso, sfogliato a sua volta.
15 marzo 2007
alligator making of
Ricevo e pubblico molto volentieri un minifilm tratto dal "making of" dell'alligatore, a cura di Massimo Colella.
Grazie Massimo.
14 marzo 2007
alligatore
sono in dirittura d'arrivo, mancano poche pagine e l'alligatore è finito. Un lavoro lungo e faticoso, un'esperienza narrativa nuova. Il libro è cosa ancora in cottura, difficile per me vederlo nella sua interezza ora. Ma sono positivo rispetto al lavoro, mi pare di avere imparato cose nuove e messo a frutto cose che avevo imparato nel corso della mia esperienza giapponese.
5 marzo 2007
il più bel disco di tutti i tempi
Luca, mio amico fraterno, mi consiglia My Life In The Bush Of Ghosts di Eno e Byrne, remasterizzato e remixtato. Questo è un disco che io amo molto, ed è un vero capolavoro. Ascoltarne le piste rinverdite di pulizia ed effetti nuovi mi allevia la fatica di questi ultimi giorni di rush finale. Sto finendo il ibro nuovo, e sto in piedi per miracolo.
Mentre disegno ascolto e partecipo all'entusiamo del mio amico che lo definisce, senza mezzi termini, il più bel disco di tutti i tempi. Non so se è davvero il più bel disco ma è un vero gioello di genio, intelligenza, innovazione e stile. Una cosa da cui non si finisce mai di imparare.
Ricordo distintamente che quando lo ascoltai per la prima volta, si era sul finire degli anni settanta, ebbi la sensazione che l'aria si muovesse davanti a tanto valore artistico. Le cose, da allora, non furono mai più le stesse.
Teorizzare la musica meticcia era una cosa del tutto inedita per l'epoca, ma fartela ascoltare era una cosa incredibile. letteralmente inaudita.
1 marzo 2007
a bologna
si apre a Bologna un piccolo festival che promette di essere un appuntamento di qualità.
Lo cura Hamelin, l'associazione di cui fanno parte degli amici che stimo. E ospita diverse iniziative, mostre e incontri.
Io saro' a Bologna, se sopravvivo alla chiusura dell'alligatore. Il 16 marzo, per qualche giorno. Ci si vede in quel periodo dunque.
per i dettagli
http://www.hamelin.net/
26 febbraio 2007
un grande narratore
finalmente premiato con l'oscar quello che certamente è uno dei maestri della narrazione contemporanea.
Era ora, mi sono commosso a vedere il filmino della premiazione. Anche se the departed non è Toro scatenato o taxi driver questo premio doveva arrivare e ora è arrivato. Martin è sempre un grandissimo e quando, come dice lui, si rilassa, per fare un film "senza pretese da Oscar", confeziona un'architettura perfetta.
Ci sono delle piccole perle in questo racconto e il mio oscar personale va a Jack Nicholson che ha costruito un personaggio incredibile, di quelli che ti fanno saltare sulla poltrona.
Grande Jack, grande Martin.
23 febbraio 2007
rovinare la vita
Ogni volta che vedo la sua foto, ogni volta che penso a lei mi sento miserabile. Ingrid Betancourt rapita da 5 anni esatti dai guerriglieri rivoluzionari colombiani è tuttora prigioniera. Questa donna franco colombiana che militava nel partito ecologista evidentemente non gode di grandi protezioni politiche se la Francia o la Colombia non si curano di trovare una soluzione.
Io vengo da una terra in cui il rapimento sembra specialità del luogo, triste primato, e non posso fare a meno di pensare con disappunto a qualcuno che si arroga il diritto di privare un altro essere umano della libertà.
Oggi Fahrenheit le dedica una trasmissione.
22 febbraio 2007
disegnini
di tanto in tanto ricevo una mail di un musicista che mi chiede: "mi faresti la copertina del prossimo disco?" Da qualche anno mi è capitato dunque di farne diverse. Anche per amici, come pure per musicsti che stimo e non conosco. Quest'ultima l'ho fatta per i Kill the Vultures, gruppo di Minneapolis, che probabilmente conoscero' di persona nei prossimi mesi. E' una cosa che mi piace, fare le copertine dei dischi, perché tradurre i suoni in immagini è una ginnastica che mi è congeniale. Mi viene spontaneo. Ma forse è cosi' per ognuno dei miei colleghi disegnatori. Non so, non ho mai avuto occasione di esplorare l'argomento. D'altra parte ho sempre fatto musica io stesso e il rapporto tra disegni e musica ha guidato i miei passi incerti sino a farmi trovare una voce.
20 febbraio 2007
dai cassetti della memoria
spuntano dal passato immagini di oggetti tratti dai miei disegni. Merchandising lo chiamano. cose che furono realizzate dai giapponesi negli anni novanta. Mi diverte il merchandising. Un modo per giocare con le forme in maniera affettuosa.
19 febbraio 2007
non so bene cosa stia succedendo
Caro lettore, da un po' di tempo a questa parte il blog si comporta stranamente. Ha deciso che è indipendente e posiziona tutti i dati che un tempo erano alla sinistra del monitor in basso, in cantina. Nel tentativo di correggere questo comportamento degenere ho pure fatto peggio e adesso ho perso tutti i link che avevo compilato diligentemente nel corso dell'ultimo annetto.
Sono stordito dal troppo lavoro, lo ammetto, eppure credevo che (stupida fiducia mal riposta nella tecnologia) i signori di blogspot riparassero il disservizio.
Nulla.
So perfino che ad altri è toccato il medesimo kafkiano destino. E allora? Che fare?
Lancio il razzo rosso, la ricerca di sos. Vi è capitato? Ne sapete nulla? C'è una cura al computer con la varicella informatica?
Frattanto vi allieto dicendovi che non sono scomparso, solo caduto sotto il tavolo, causa disegni del prossimo libro in imminente uscita (una collaborazione con Massimo Carlotto). Combattiamo l'alligatore io e il mio fido scudiero, amico di ventura, noto meglio con il nomignolo di totano. Che mi assiste e incoraggia negli attimi di scoramento.
Presto, spero, emergeremo da questo sfolgolare di grafite e bicromia. E allora sarà il ritorno di Argento!
Sempre che al blog, questo nostro padrone, il tuttto vada a genio.
29 gennaio 2007
è uscito
due cd con un mio fumetto ispirato alla musica e la vita di Chet. Appena pubblicato in Francia per i tipi di Nocturne.
28 gennaio 2007
23 gennaio 2007
22 gennaio 2007
carmelino
Il tramonto del teatro moderno. Cosi' si definiva l'ultimo grande. Rivedere Carmelo ci fa capire quanto forse siamo caduti in basso, oggi, in questa epoca di gnomismo intellettuale, fatto di consumo e consumo e cosi' poca riflessione.
18 gennaio 2007
14 gennaio 2007
per l'occasione
12 gennaio 2007
sul reading Baobab
Ecco una cronaca a cura di Per Damiano Ori del TG3 emilia-romagna, in cui si parla del reading di Baobab e si vedono le ultime immagini della mostra tenuta al Ta Matete. |
storyteller nell'isola
a Cagliari, a partire dal 20, storyteller, una grande mostra e un reading, nella città nella quale sono nato.
Si ringrazia, Alessandra Piras, l'associazione Tina Modotti, Paola Bristot (curatrice della mostra), Daniela Paba e tutti quelli che si sono prodigati perché questa cosa venisse realizzata.
Allo spazio Exmà, dal 20 gennaio, ore 18,30.
10 gennaio 2007
secondo tempo
come ogni mercoledi' i famigerati entertainer bussano alla finestra del vostro schermo con i loro parlamenti strambi.
I popcorn si trovano vicino alla cassa. La macchina dello zucchero filato è in riparazione.
Grazie.
La direzione.
8 gennaio 2007
cari amizi...
... vicini e lontani. Ho dovuto eliminare un post che presentava le nuove tavole di baobab perché Blogspot non funziona bene e mi metteva in negativo le immagini senza la possibilità di ingrandirle.
Non so cosa capiti al nostro ospite, ma spero si riprenda al più presto.
Scusate e portate pazienza.
Vostro Nunzio Filogamo.
seguire l'idea
Mentre la storia cresce capita che ridisegni questa o quella stanza, la cucina, lo studio di Celestino, l'ingresso, per dire. E la sensazione è come se quei posti esistano realmente. Senz'altro conta anche il fatto di aver messo in prospettiva i personaggi, di averli cioè raccontati da ragazzi e da adulti e nel loro crescere generico. In questa storia, più che in tutte le altre, provo il piacere a ritrovare questi ambienti e cose della vita quotidiana. Di disegnarli in momenti diversi del racconto, il fico nel giardino dei Villarosa, per esempio, con le luci che cambiano e la sera che cala è esso stesso scenario di momenti esistenziali diversi.
In un certo senso, in questa maniera, gli ambienti mi pare che partecipano in maniera più attiva alla narrazione. E' come se quasti luoghi diventino familiari anche a noi lettori oltre che ai personaggi. Come se noi stessi sappiamo che Celestino mette il cappello nell'attaccapanni dello studio o che nei momenti di crisi si avvicini al suo albero preferito.
Ora, come feci per la casa di Peppino lo Cicero, mi preparo a disegnare una piantina della casa Di Celestino e Gilla, davanti al mare di Papassinas.
In un certo senso, in questa maniera, gli ambienti mi pare che partecipano in maniera più attiva alla narrazione. E' come se quasti luoghi diventino familiari anche a noi lettori oltre che ai personaggi. Come se noi stessi sappiamo che Celestino mette il cappello nell'attaccapanni dello studio o che nei momenti di crisi si avvicini al suo albero preferito.
Ora, come feci per la casa di Peppino lo Cicero, mi preparo a disegnare una piantina della casa Di Celestino e Gilla, davanti al mare di Papassinas.
5 gennaio 2007
la creazione di Morvo
Mi perdo come uno scemo a immaginare le prime tavole disegnate da Celestino Villarosa. A cercare di rappresentare il momento in cui l'idea si manifesta precisamente, prende forma, e si ha quello stupore bambino di avere tra le mani qualcosa che ci emoziona.
Ecco le due tavole di cui parlo, appena sfornate per l'edizione giapponese di Baobab.
3 gennaio 2007
parlamenti strambi
io e Gipi abbiamo registrato, con la complicità del Compagno Regista Rivoluzionario Massimo Colella, una serie di chiacchiere sul nostro approccio al fare libri e racconti. Questa è la prima parte.
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