25 aprile 2013

architectural strips

In quegli anni le occasioni, le proposte, le idee, diventarono tappe di una valvo-evoluzione tutta da scoprire, anche per noi stessi. I guru del design, Ettore Sottsass e Alessandro Mendini e i loro gruppi di lavoro: Memphis e Studio Alchimia, ci proposero mostre e progetti trasversali, dato che le nostre tavole di design e arcitettura si erano nutrite. Ma non era una questione "formale". Credo che riconoscessero in noi, nel nostro modo di porci una pratica concettuale che era simile alla loro, ma in un altro campo, per così dire "fratello". A noi non interessava il rappresentare in sé, ci interessava definire nuovi territori del rappresentare, "il come" si sarebbe rinnovato di conseguenza. Così nel 1987 nacque la mostra nello spazio Mepmhis "Architectural strips", curata da Barbara Radice, che seguì la mostra di due anni prima "Valvotapeti volanti", curata da Alessandro Guerriero. Questa immersione nel radical chic milanese era da noi vissuta concurioso distacco. Capivamo e rispettavamo le istanze e il lavoro di questi geni del design, ma avevamo bisogno di nuotare a profondità differenti, quelle del pop e della cultura della carta stampata. (nella foto un acrilico esposto da Giorgio Carpinteri nella mostra "Architectural strips")

keith

Quando incontrai Keith Haring era il 1984, stava finendo di ritoccare delle anfore dipinte con i suoi decori alla galleria di Salvatore Ala, a Milano. Gli dissi che disegnavo fumetti, e che mi piaceva quello che faceva. Sorrise. "oh, comics" disse. Chissà cosa immaginava. Fumetto underground all'americana, magari. Forse parlammo di Francesca Alinovi, non ricordo. Lui era timido, magro, e appariva ancora più piccoletto con dietro i dipinti gigantesci tutti istoriati con quella sorta di disegno-scrittura per cui era diventato celebre. Frequentava Wharol e Basquiat, a quell'epoca, e ricordo distintamente che circolava la voce che spendesse oltre la metà di quanto guadagnava per produrre il merchandising con i suoi disegni. T-shirt, felpe, orologi ecc. C'era un negozio a N.Y. tutto con le sue cose, e credo fosse vero. Il che me lo rese subito simpatico. A quell'epoca andare contro l'idea romantica dell'artista era salutare. Eravamo sopravvissuti a quella paccotiglia intellettuale e si pensava che un pò di sano cinismo fosse "aria per i polmoni". Macché ispirazione, si professava l'idea del "non musicista" (B.Eno) e quella dell'artista imprenditore (A.Wharol). I graffittisti poi venivano dalla strada ed erano approdati in galleria solo di recente. Il mese dopo uscì Alter con la mia copertina, stampata su una tapezzeria grafica fatta da lui, Keith. Fu una bella sorpresa.

24 aprile 2013

pao pao

Con Tondelli capitava che si chiacchierasse, ci si incontrava nelle occasioni più disparate, da Marcello, in osteria, in discoteca, a teatro, perfino nelle manifestazioni in Piazza Maggiore. Ma lui, che cantava la strada e la provincia, era incuriosito dalle istanze artistoidi di Valvoline, ma naturalmente più attratto da Pazienza, credo, che per molti versi era vicino al suo mondo. Ricordo che una sera, quando dissi che Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar, era uno dei miei libri più amati lui, un pò sospreso, mi chiese: "davvero? Credevo che ti piacessero di più delle cose con una scrittura meno importante". "importante" voleva dire, meno letteraria, più vicina alla strada. Per cui quando mi proposero, un paio di anni dopo, di fare le scenografie dell'adattamento teatrale di "altri libertini" rimasi di stucco, Specie perché venni a sapere che fu proprio Piervittorio a dare il suo placet, e in un certo modo a sponsorizzarmi. Lui e Roberto Daolio, che era stato consultato per l'occasione. Questo per dire che a volte, mondi apparentemente, lontanissimi, possono venire in contatto e confrontarsi. Una sera, era il 1982, lo vidi apparire in discoteca, aveva la barba lunga di settimane, le occhiaie e lo sguardo perso, mi disse che era evaso, "giorni che non esco, scrivo e basta". Stava scrivendo il suo secondo libro Pao Pao. Piervittorio era già molto famoso e scriveva per Linus. Mi piaceva quel suo mischiarsi con cose di cui cercava di decifrare le dinamiche. Era uno curioso, morto troppo giovane, e per questo, come Paz, ancora più rimpianto. Mi raccontò, lo ricordo come fosse ieri, che in una "latteria" di Milano stava pranzando, quei pranzi frugali e genuini che le vecchie latterie di Brera offrono, e riconnobbe a un tavolo poco distante Nanda. Lei gli fece un cenno e lui si presentò, commosso. Nanda era Fernanda Pivano, la leggenda della letteratura italiana. Che naturalmente lo aveva letto, e lo apprezzava. Ecco gli anni Ottanta, fatti di lustrini e teatralità, erano anche questo, piccole cose vere, nascoste nelle pieghe della vita di tutti i giorni.

20 aprile 2013

lei

Francesca Alinovi era appena tornata da New York, parlava con gli occhi sgranati e i capelli esplosi alla maniera che anni dopo sarebbe diventata quella di Robert Smith. Sentiva le energie vibrare. Graffittisti, nuova spettacolarità (come si chiamava allora) e nuovo fumetto italiano. Lei lo sentiva davvero quello che stava succedendo. Si aveva l'illusione, un pò tutti noi, che tutto questo fosse nuovo e inedito. Cosa non troppo distante dal vero. La musica dei Gaznevada, dei Confusonal Quartet o degli Stupid Set impazzava. Una ventata di intelligenza si era impadronita del pianeta: Residents, Devo, Talking heads e Pere Ubu in America facevano i loro dischi migliori. Jarmush e Amos Poe cercavano di filmare la scena No Wave. E No New York, con le sonorità lancinanti, era già un disco cult. Brian Eno ipnotizzava la scena internazionale con le sue produzioni geniali. Quando dalla California arrivò a Bologna The Mole show era il 12 giugno 1983. La leggenda di quello spettacolo, che demoliva la ritualità sacra e sempre uguale del rock per aprire verso frontiere teatrali, artistiche e pop, lo aveva preceduto. Pienone. Ricordo che io e Marcello e Giorgio ci stupimmo che Francesca Alinovi non fosse nel teatro tenda, quello era lo spettacolo mitico dei Residents. Ne avevamo parlato diverse volte. La cercavamo con lo sguardo ma niente. Ancora non sapevamo che quello stesso giorno lei stava morendo dissanguata nel suo appartamento in via del Riccio, poco distante, accoltellata 27 volte dal suo amante, che viveva nel mito dell'arte criminale.