13 giugno 2013
Paz amarcord
La prima volta che andai a trovare Paz, era il marzo 1979; abitava con Betta, la sua ragazza, in un piccolo appartamento dalle parte dei tribunali, a Bologna.
Lui non c'era, ma mi intrattenne Nando, il fratello di lei, che all'epoca non era che un ragazzino, un tredicenne moto curioso e gentile, che mi fece compagnia per una mezz'oretta circa.
Ma Paz non arrivava.
Sul tavolino, un piccolo piano arrangiato a tavolo da disegno, la pagina da cui Alter ha appena tratto la copertina del numero in edicola. Un disegno potente e ironico, ritrae un umano che somiglia all'uomo mascherato e due scimmie che osservano, con lo stesso sguardo assente. Tutte e tre le figure hanno gli occhi color rubino.
E' il 1979 Paz è già una star, uno dei disegnatori di maggior talento. Gli piace spiazzare.
E in quegli anni si viaggia con le immagini. Un' immagine è una porta dimensionale per penetrare in mondi sconosciuti.
Questa visione dell'autore come maestro di cerimonia, sciamano, ipnotista dei lettori, l'ha teorizzata 5 anni prima Moebius. E ha fatto un grande effetto. “Le storie non devono essere quadrate”, dice, “possono essere a forma di casa... o di elefante”.
Io all'epoca sono un autore in erba, visito Magnus, “il maestro”. Frequento Carpinteri, Federici, Giardino, che stanno muovendo i primi passi. Sono tornato da Londra dove ho visto sorgere il punk.
Bologna è esplosiva, piena di energie. In tanti vogliono fare, dire la loro. Aleggia una grande forza iconoclasta. Il Dams, è il clubbino che molti di noi giovani autori, frequentiamo. E che Paz ha reso mitico sulle pagine di Penthotal.
La fine degli anni Settanta è la stagione delle riviste. Pubblichi su Alter, o su Linus e ti leggono praticamente tutti. Oreste del Buono ha fatto il miracolo, ha mostrato al mondo, e ai signori della cultura, che esiste un'isola inesplorata, si chiama fumetto.
I giganti di questa narrativa, trascurata sinora, si chiamano Munoz& Sampayo, Moebius, Druillet, Corben, Breccia. Sono davvero tanti, decine, centinaia.
E in questo contesto, il giovane Paz, che all'epoca ha 23 anni appena, si muove con la disinvoltura dei grandi. Destruttura. Le sue storie sono fatte di schegge, frammenti, spesso sgangherati di poesia metropolitana, oppure deliri esilaranti che si leggono con le lacrime agli occhi, ripetendo le battute a voce alta, per poi riprendere a ridere. E disegna Paz, se disegna!
Frequenta la traumfabrik, una casa occupata in pieno centro. Al 20 di Clavature, sotto le due torri. In quella casa, al secondo piano, sulla porta dipinta di rosso, è stato piantato un campanello da bicicletta funzionante. Ci sono decine di messaggi a pennarello e la scritta Tramfabrik, fabbrica dei sogni. I sogni sono quelli dei talenti di nuovo fumetto e della nuova musica, che pascolano in quelle stanze, a tutte le ore. E' una casa aperta, come si usa allora, dove non c'è neppure un fornello per farsi un caffè, ma dove si produce. Si disegna, fotocopia, taglia, incolla, scrive, suona, prova, fotografa, filma. Verranno fuori grandi talenti, voci influenti per gli anni a venire.
Circolano i nomi di riferimento: Burroughs, Wharol, Artaud, Iggy Pop, i Ramones.
In pochi anni le cose cambiano velocemente. Il 1980 è uno spartiacque. Muore Cannibale, dove Paz aveva folleggiato insieme ad altri grandi talenti del fumetto, e nasce Frigidarire.
Andrea si rinnova, pubblica Zanardi. Un affresco spietato della giovane generazione. Le storie vengono in gran parte dai racconti di liceo di Nando, il fratello di Betta. E ricordano quell'atmosfera decadente e cupa che ho visto con i miei occhi alla Traumfabrik. Bologna è sempre presente, e pare che nelle sue pagine diventi universale. Anche questo è un grande talento di Paz.
Sono storie in cui cinismo, e cattiveria adolescenziale si miscelano pericolosamente.
Io ho due anni in meno di Andrea, ho cominciato il mio percorso, in pochi anni pubblichiamo sulle stesse riviste. Quando sbarchiamo in Francia, sulle pagine de l'Echo des Savanes, la sua storia “notte di Carnevale” desta scalpore. Pare il principio di una carriera internazionale. Ma Andrea, ultimamente si è invaghito di un personaggio bizzarro, tale Tortorella. Dicono che è un ex pusher, è stato promosso sul campo “manager di Paz”. Fa trattative con il boss de l'Echo in puro stile Al Capone, chiede il triplo, se si vuole pubblicare altro Pazienza. In breve Paz è messo alla porta.
Non è grave, gli ho visto vendere la stessa storia a due editori concorrenti, Paz ha mille risorse, però, che spreco. In Spagna lo chiamano Paciencia. “E dai”, dico, “i nomi mica si traducono”. Lui ride. Lo amano, laggiù, lo sa.
Si incontra a casa di Marcello Jori con Piervittorio Tondelli la cui opera prima “Altri libertini” è stata appena sequestrata. I due simpatizzano, parlottano continuamente. Hanno uno sguardo fratello sul reale, ognuno con il suo stile.
Questa era la mia Bologna di quegli anni. Piena di talenti che si incontravano, parlavano e facevano. Ci sarebbero tante altre storie. Storie piene di passione e di dolore. Che un giorno, forse, vedranno la luce.
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