29 ottobre 2008
18 ottobre 2008
dniepro21
Finisce qui il mio diario di viaggio. Perché finisce qui il mio viaggio, per ora. Ci sono cose che si sono aperte e altre che portano riflessioni. La porta ad oriente mi sta conducendo a riattraversare territori cari. Giappone, Unione Sovietica, probabilmente tra non molto India, chissà. Come quasi trent'anni fa, quando questi luoghi li sognavo su carta. Oggi li vivo, respiro. Ed è molto forte. Tutto molto forte. Devo aspettare per poterne parlare. Mi aspettano adesso i giorni del distacco. Un treno di notte domani, e poi un aereo e poi Parigi. Indietro, provvisoriamente, nel mio mondo. Ma un pezzo di me rimane qui. Ho già un biglietto di ritorno, non finisce mica così.
17 ottobre 2008
dniepro20
I. tra poco compie sessant'anni. E' un maggiore dell'aviazione in pensione. Dice che quando c'era l'U.R.S.S. i militari erano più pagati, adesso non si sa come fare per sopravvivere. Nonostante abiti nel villaggio, a 30 km dalla città, dove la vita costa pochissimo. Dice che ci avevano creduto al sogno sovietico e che quando è crollato è stata una delusione per tutti. Al principio le cose sembravano come prima ma poi con il tempo sono peggiorate. Adesso la vita è quello che è. A sera, dopo che abbiamo bevuto una birra corre verso il maschrut taxi, in fila insieme alle decine di persone che devono tornare a casa.
Suo figlio Vania lavora in una compagnia di fuochi d'artificio a Mosca. Sono Russi d'origine. Dice: "Putin presto invaderà l'Ucraina", e ride."Bum Bum Badabum". Ha 23 anni Vania, ed è ubriaco. Per lui la guerra è un gioco. Dandomi il suo biglietto da visita mi mostra che di fianco alla scritta Piroff ci sono disegnati due cannoni. "Piratecnica!", dice. E ride. Mi chiede un biglietto da visita, che non ho. Disgustato mi dice: "cosa ci fa un autore di libri senza un biglietto da visita?". Gli dico che non me ne faccio nulla dei biglietti da visita, se vuole gli scrivo il mio numero su un foglietto. I suoi occhi corrono veloci a cercare da qualcosa da dire. Poi ilare esclama: "Berlusconi mafiossa".
16 ottobre 2008
dniepro19 (Storia di Nicholay6 e ultima)
Chiese soldi ai figli ma nulla, fu operato a credito. Pagava con l’intera pensione. I vicini gli davano cibo. Ma non migliorava, era talmente magro, gli dissero che aveva bisogno di una seconda operazione ma che il rischio era davvero troppo alto.
Nella convalescenza però, incontrò un uomo che veniva a trovare un amico. Era di un anno più giovane di Nicholay, di Dnepropetrovsk. Una chiacchiera tira l’altra e in breve l’uomo divenne anche suo amico. Portava cibo e calore umano.
La cosa della seconda operazione era un problema reale, c’era poco tempo, si sentiva sempre peggio, debole. Quest’uomo propose di accoglierlo a casa sua e di aiutarlo, accudirlo. Cucinare per lui. Comprava anche le medicine. Per due mesi visse in quella casa. E non migliorava. Allora l’amico gli propose: “andiamo in un altro ospedale, e vediamo se sono disposti a operarti”.
Ma anche qui i dottori preferivano non rischiare. Al terzo ospedale, dopo un lungo esitare, accettarono. Per la convalescenza, dopo la seconda operazione, l’amico lo accolse nuovamente a casa e si comportò come un fratello. Nicholay stette un altro mese, era molto grato. Anche adesso ricorda quest’uomo con commozione.
E poi tornato a casa prese a scrivergli, perché l’amico si era ammalato a sua volta e adesso stava presso una sorella, a Zaparojie. Ma in breve l’uomo morì.
Non era durata molto. Aveva perso il grande amico di una vita.
Dopo questo avvenimento Nicholay dice che ha cominciato a pensare alla vita in un altro modo. Ha ripreso ad amarla e continua a lavorare. Ma ha capito di essere solo e di non avere bisogno di nessuno.
Oggi si alza presto alla mattina, fa le faccende domestiche, cucina, pulisce, fa ogni cosa. Coltiva vegetali e verdure e fiori.
“Il più bell’orto del villaggio”, afferma sorridendo.
“ molto pulito ordinato. Ognuno si ferma a guardare la mia casa”.
Quando si alza, che è ancora buio, saluta le verdure, gli alberi da frutto, gli uccelli e il sole. Non si sente solo con tutto quello che ha, che non è molto ma quello che gli serve.
“Un cane? In passato ne ho avuto uno ma non avevo di che dargli da mangiare e l’ho lasciato partire”.
Adesso pensa molto alla morte, ha paura che quando non ci sarà più nessuno si ricordi più di lui. Crede di non avere molto tempo davanti, oramai. E d’altra parte non ha soldi per vivere normalmente. La settimana che viene vorrebbe andare dall’oculista perché non ci vede più tanto. Ma come pagarlo? Ha una pensione di 530 grivnas (75 euro al mese) e solo di gas ne paga 200.
Quindi viene al mercato di Dnepropetrovsk, per vendere le cose che amava di più di casa sua. Piatti, teiere, bicchieri. Non ne ha più bisogno. Non sa a chi andrà la sua casa, sperando che non vada distrutta; vorrebbe lasciarla ai figli. E spera che un giorno la abiti una buona famiglia, una famiglia come si deve.
“Quando vedo il mercato osservo la gente che passa, e non mi sento più solo”.
Oggi ha mangiato patate.
Mi ha invitato a casa sua, a vedere come vive.
Igort, Dnepropetrovsk.
Registrazione del 12 ottobre 2008
13 ottobre 2008
dniepro18 (Storia di Nicholay5)
Così si è dovuto arrendere all’evidenza. Non poteva lavorare più.
L’idea fissa però rimaneva: la terra, come sua madre tanti anni prima. Si rimboccò le maniche. La situazione economica cambiò. Arrivò la crisi e le cose del comune: acqua, elettricità, gas, aumentarono a dismisura. Anche il cibo. Non si riusciva più a stare al passo e tutta la pensione non era suficiente a pagare le bollette. Provò a vendere le verdure per vivere. Ma andava bene solo in estate e autunno. In inverno era durissima.
Eppure non si lamentava della vita, e tirava avanti come aveva sempre fatto, anche in momenti peggiori di quello. In fondo aveva tutto quel che serviva adesso. Un orto e una casa. Poteva mangiare, aveva da dormire, e anche se nessuno lo credeva più capace aveva dimostrato a se stesso che poteva lavorare ancora.
A quel tempo non era certo più un ragazzo, però le sue giornate erano dure ugualmente. Si levava che non era ancora l’alba e coricava molto tardi. Di solito però non è che dormisse troppo alla notte per via dei pensieri. Pensieri sulla vita e tutto il resto. La vedeva riflessa, che sfilava sotto i suoi occhi, come in uno specchio. E si sentiva vulnerabile.
I figli gli mancavano. Era una voragine quella. Ne era passato di tempo, adesso avevano famiglia. Li pregò di prenderlo con loro. Voleva stare vicino Senza essere un peso, avrebbe continuato a lavorare, bastava che lo accettassero.
“Non abbiamo bisogno di te, di nulla”. Fu la risposta. “Dimenticati il nostro indirizzo”.
Delusione. Ci voleva molto a capire? Era solo al mondo.
Non aveva un amico. A quel tempo successe una cosa. Connobbe un uomo che stava cercando alloggio. Quest’uomo era dell’Ucraina occidentale ma aveva lavoro a Dnepropetrovsk. Chiese a Nicholay se affittasse casa, credendo che Nicholay avesse parenti presso cui sistemarsi, al caso. Ma lui non aveva dove andare e propose all’uomo di ospitarlo, non voleva soldi. Aveva pensato che questa soluzione potesse essere un rimedio contro la solitudine.
Era un ingenuo.
Il giorno seguente l’uomo portò tutte le sue cose. Al principio fu una convivenza civile; l’uomo, che era molto più giovane di Nicholay si dimostrava gentile e comunicativo. Nicholay era felice di averlo conosciuto. Lo trovava un eccellente amico. Adesso non si sentiva più solo e trascorrevano il tempo a chiacchierare della vita. Ma dopo un pò cominciò a cambiare; divenne sfacciato e insolente. Lo prendeva a male parole e gli urlava in faccia. Un giorno lo picchiò perfino. Si era stancato della convivenza, dopo circa due anni decise che Nicholay doveva andarsene da quella casa.
Nicholay era sotto shock, cominciò a piangere, quella era casa sua. Non sapeva cosa fare.
Si era sparsa la voce, nel vicinato, che l’ospite fosse andato da un avvocato. E con un falso testamento era riuscito a farsi intestare la casa. Nicholay aveva preferito non dare credito a quelle voci, ma con il tempo le cose andavano sempre peggio. Si rendeva conto di essere diventato uno schiavo a casa propria. E ogni volta che l’uomo si ubriacava erano botte. Una sera, alticcio, l'uomo venne in argomento. Gli disse che aveva davvero cambiato i documenti e che Nicholay non poteva fare proprio nulla: era sfrattato.
Quando, di buon ora, andò dagli avvocati Nicholay aveva con sé tutti i pochi risparmi e la pensione appena ritirata. Scoprì che era tutto vero. Ma voleva reagire, non farsi prendere dallo sconforto. Per potere cambiare i documenti un'altra volta dovette pagare l'equivalente di due mesi di pensione. E per quel periodo non ebbe di che mangiare. Ma non c'era altra cosa da fare. Ora doveva solo attendere. Ma aveva paura. Temeva che nel frattempo l'ospite, prima che il nuovo testamento fosse registrato, potesse ucciderlo o fargli del male. Per cui nascose i documenti dell'uomo e glii disse che se fosse accaduto qualcosa di male, lui, Nicholay, aveva scritto una lettera, che aveva consegnato ad amici fidati. E questi, se non lo vedevano tornare, sarebbero andati dalla polizia a denunciarlo. L’uomo ebbe paura. Ci vollero altri due mesi circa, poi pronti i documenti, Nicholay chiamò l’autorità e l’uomo fu messo alla porta. Adesso era nuovamente solo. E la sua salute era sempre peggio. Un giorno perse i sensi e quando si risvegliò era all’ospedale. Il dottore disse che aveva un adenoma e necessitava di un operazione.
dniepro17 (Storia di Nicholay4)
Non sapeva neppure dove andare a vivere. Per un lungo periodo fu ospitato da una coppia di anziani. Erano gentili con lui. Una stanza in affitto nel distretto di Magdalinavsky. In affitto? Se era nullatente! La gente lo aiutava. Un uomo con cui lavorava si faceva in quattro per lui, soldi e cibo. Se lo ricorda ancora con gratitudine quest’uomo, Nicholay, malgrado gli anni siano passati. Fu il periodo più difficile. Poi cominciò un altro lavoro, ora faceva il fabbro e poteva guadagnarsi il pane.
Metteva da parte un poco ogni mese, sognando un appartamento futuro. Sperava di rivedere i figli ma era proprio impossibile, l’ultima moglie era irremovibile.
Lui ci andava lo stesso a trovarli, con soldi e regali, che lei puntualmente prendeva e distruggeva. Aveva trovato un altro marito nel frattempo.
Con gli anni riuscì a comprarsi una piccola casa e un piccolo terreno; la salvezza.
Poi nel 1970, quando aveva 44 anni, i dottori gli certificarono un invalidità di secondo livello. Lui non aveva certo bisogno dei certificati per capire che stava male, era debolissimo e aveva difficoltà a lavorare.
Anche se il lavoro e i colleghi erano la sua famiglia. Si sentiva rispettato e amato.
Cominciò a coltivare la terra, nel suo orto, come aveva sempre fatto sua madre. In barba alle carte e ai dottori. Restaurò perfino casa. Prima non aveva gas, adesso sì. E altre migliorie: sedie, tavolo, un buon letto.
Ma dal 1984 per sei lunghi anni rimase paralizzato. Aveva lavorato in condizioni insalubri per troppo. E non è che si nutrisse a dovere.
I medici lo avvertirono.
“adesso sei paralizzato, ma stai attento, non tirare troppo la corda, altrimenti morirai”.
Bloccati braccio destro e gamba desta, e perso l’uso della parola.
La sua vita era come finita. Non aveva soldi per le medicine e gli era impossibile lavorare. Scrisse delle lettere alla sua seconda moglie a si suoi figli, chiedendo aiuto. Loro non risposero. Quando i suoi amici più tardi andarono a parlamentare con la ex moglie i figli non li lasciarono entrare in casa.
“Non conosciamo Nicholay Vasilievich, noi abbiamo un altro padre. Non possiamo fare nulla. Arrivederci”.
I vicini, che conoscevano Nicholay sin da quando era in fasce, presero a cuore la faccenda. Ognuno comprava delle medicine che nessuno prescriveva, il dottore era un lusso che non ci poteva permettere. E spesso c’era chi cucinava per lui, anche se quando rimaneva senza cibo Nicholay pensava che il giorno dopo sarebbe morto. Poi apriva gli occhi ed era sempre lì, si vede che Dio aveva deciso diversamente. Questa vicinanza degli altri era un piccolo aiuto, ma importantissimo.
Doveva essere grato! Cominciò a fare esercizi, ogni giorno, ogni giorno, e poco alla volta riprese l’uso della parola, e poi man mano quello degli arti.
Prima, prima di questo momento meraviglioso, era stato un cane, per sei anni, a quattro zampe. Cucinava con una sola mano, sbucciare le patate o un arancio era un’impresa. Per l’acqua andava in ginocchio, il secchio tra i denti. E si trascinava sino a casa. Ma continuava a lavorare la terra con una sola mano. Patate, ciliegie. Quel che offriva la terra. Curava il giardino. In questo nessuno lo aiutava, che la gente di un uomo cane si stanca presto. Poi, per fortuna, arrivò la pensione di invalidità e N. , dato che i negozi erano distanti, poteva ricompensare con qualche copeko i ragazzini che gli compravano il pane. Erano gentili.
In questo tempo riprese a stare in piedi, a muovere gli arti, a parlare. Dopo sei anni a quattro zampe finì per sentirsi nuovamente un uomo. Aveva però problemi con gli occhi e voleva nasconderli, perché desiderava tornare a fare il fabbro in fabbrica, alla Vodosnabjitilnaya Sistyema.
Ma chi lo prendeva uno malato come lui? Uno vivo per miracolo, un invalido di secondo livello?
dniepro16 (Storia di Nicholay3)
La vita migliorava, era cresciuta la possibilità di comprare le cose che si volevano. Nicholay Incontrò una donna molto educata, era divorziata e aveva una figlia, faceva la professoressa. In breve andò a vivere da lei, nel suo villaggio, regione di Dnepropetrovsk e cominciò a lavorare in un kolkhoz. Era veterinario adesso.
Si occupava di maiali. Sapeva tutto di loro, come si crescevano, come partorivano, di cosa potevano ammalarsi.
All’epoca di Stalin la gente doveva dare ogni anno al kolkoz 300 litri di latte 50, kg di carne. 300 uova. Ogni casa, indipendentemente dal fatto di quanti ci abitavano. Lui viveva con questa donna e poteva sperare di farcela ma sua madre era sola. Non sarebbe mai arrivata a produrre tanto, neppure se lavorava durissimo per riuscirci. Nicholay era molto preoccupato per lei.
La vita allora era teribile, Poi, quando Stalin morì, nel ’53, le cose cambiarono, non c’erano più troppe limitazioni. Si ricomicò a respirare. a studiare, la gente poteva crescere e comportarsi normalente, mangiare normalmente.
Adesso era possibile comperare cibo. Di pane, che era addirittura a buon mercato, potevi comprarne quanto volevi.
Gli abiti no, quelli rimanevano sempre molto cari. Ci si vestiva da pezzenti.
Fu un periodo relativamente florido. Sua moglie dopo che stavano insieme da cinque anni ebbe una figlia da lui, ma questa era cagionevole di salute. Morì a un anno.
L’anno seguente nacque un altro figlio, che morì subito dopo anche lui. Era una maledizione.
Non ci pensarono più, a mettere al mondo dei bambini.
Le cose andavano come andavano. E sua suocera non lo apprezzava affatto. Una volta glielo disse chiaro e tondo, malgrado lui e sua figlia stessero insieme 23 anni. “Non mi piaci, non voglio nipoti da te, lasciala stare”.
Dopo poco il matrimonio andò a rotoli, lei si trovò un altro uomo.
Tornato dalla madre, stesso villaggio di un tempo, Nicholay incontrò un’altra donna, sempre divorziata, che all’epoca non è che fosse tanto frequente. Non aveva figli, lei.
“Piacere Nicholay”
“Piacere Anya”
Dopo un po’ cominciarono a vivere insieme. Sembrava andare bene e lei diede alla luce due gemelli. Ma con il tempo si capì chiaramente che non lo amava affatto. Un tradimento dopo l’altro, che non si premurava neppure di nascondere. Glieli sbatteva in faccia. In questo periodo infelice sua madre morì. Lui ereditò la casa, che mise in vendita. Viveva ancora con lei, con la sua seconda moglie. Con quella degli amanti. Anche se non riusciva a sopportarla una vita simile. Decise che era tempo di prendere aria, cominciarono i viaggi. Lontano dall’Ucraina. Mosca, Leningrado poi nuovamente nella sua terra: Odessa. Adesso, con i soldi della casa si poteva permettere cose care come una tv in bianco e nero, roba all’avangiardia. E altri bei lussi; mobili per la cucina, arazzi alle pareti, all’uso russo. Con quegli agi, tornato a casa aveva sperato che tutto tornasse come un tempo. Ma era un illuso, con Anya era proprio finita, anzi probabilmente non era mai veramente neppure cominciata.
“sparisci”.
Questo gli disse nel darlgi il benservito. E gli lasciò solo i suoi abiti, non un copeko, nulla di nulla.
E da allora gli impedì perfino di vedere i figli.
12 ottobre 2008
dniepro15 (Storia di Nicholay2)
Tornarono di corsa al villaggio. Quando attraversarono il ponte i tedeschi lo avevano bombardato. Donne e vecchi scappavano.
Trovarono la gente assemblata nella piazza principale. Gli studenti erano di tutte le classi, i più piccoli piangevano terrorizzati. I tedeschi li picchiavano.
L’occupazione fu terribile. Il giorno seguente il comandante scelse una bella casa, mandò via la gente che ci abitava. C’erano le nuove regole, tutti dovevano lavorare per loro, che controllavano ogni cosa e prendevano quel che gli pareva.
Gli uomini forti furono prelevati.
Scelsero le donne che dovevano lavorare i campi.
Anche gli uomini anziani avevano l’obbligo di lavorare. Presero i ragazzi come lui, per i lavori di fatica. Li portavano distante da casa, a scavare fossi, molto grandi e profondi. Giorno e notte. Se qualcuno si ammalava o stava male lo picchiavano. E non gli davano più da mangiare.
Poi il lavoro cambiò, doveva trasportare a piedi dei longheroni d’acciaio. Binari. I tedeschi stavano costruendo una ferrovia. Ogni sera, quando tornava a casa sua madre piangeva, perché lui aveva sempre sangue sulla schiena.
A un uomo che non poteva lavorare bruciarono la casa. La gente fuggiva, se poteva. Si nascondevano sino a sera nell’acqua paludosa, sperando di non essere visti. Questo durò tre lunghi anni. Tra il ‘41 e il ‘44.
Poi, quando i tedeschi lasciarono l’Ucraina la gente cominciò a lavorare nelle fabbriche e nelle officine. E l’Ucraina risorse. Tra il ‘45 e il ‘47 ci fu una legge che costringeva i bambini a lavorare in fabbrica, sin dall’età di 13 anni. Lui lavorava in sala caldaie, e cominciò a conoscere il lavoro nei minimi dettagli. Al punto che poi lo avrebbe insegnato agli altri.
dniepro14 (Storia di Nicholay1)
Quando Nicholay Vasilievich naque, nel 1926, villaggio Magdalinavsky, regione di Dnepropetrovsk, sua padre partì e si fece una altra famiglia. Lui non lo rivide più. Sua madre faceva un mestiere da uomini, dissodava la terra, con la zappa.
Ma voleva che lui studiasse. E mise da parte dei soldi per questo.
A lui studiare piaceva pure. E non solo per lei, che gli insegnava qualunque cosa. Cucinare, cucire, ogni faccenda domestica. E perfino a costruire un pollaio, zappare o intonacare.
Sin da ragazzino aveva imparato a rendersi utile, era lui che faceva tutto a casa; perché lei tornava tardissimo dal lavoro.
Prima, quando lui non aveva compiuto neppure tre anni, sua madre aveva dato alla luce un altro figlio, e l’uomo che all’epoca stava con lei, come il primo marito, fece i bagagli. Da sola com’era non poteva mantenere due figli e fu costretta a dare il neonato all’orfanotrofio.
Per tutta la vita Nicholay è stato con sua madre, tranne quando si è sposato. Come lei non ha avuto fortuna nei suoi matrimoni.
Quando terminò la settima forma, e stava per iscriversi al liceo ricorda una lezione con le finestre aperte. C’era bel tempo. E gli studenti furono distratti dal rumore delle motociclette, che erano una cosa all’avanguardia. Tutti si sporsero per la curiosità e videro qualcosa che stava per cambiare le loro vite. I nazisti avevano preso il villaggio.
10 ottobre 2008
dniepro13
il 7 ottobre, 3 giorni fa, Putin ha promesso di stanziare almeno 4,3 miliardi di rubli all'anno per favorire l'industria cinematografica russa. I film russi, sino a poco tempo fa destinati a un mercato interno, adesso hanno un ruolo specifico: rafforzare l'immagine della Russia in patria, e diffondere una nuova immagine internazionale.
Guarda caso il giorno seguente è stata la premiere di Admiral, colossal russo diretto dal talentuoso Andrey Kravchuk.
Costo 20 milioni di dollari, stampato in ben 1250 copie, distribuito simultaneamente in tutti gli ex paesi dell'Unione Sovietica.
Admiral racconta la storia dell'ammiraglio Kolchak, eroe della Russia bianca, considerato ai tempi del comunismo un nemico del popolo.
Vado a vedere gli orari e scopro che ci sono spettacoli ogni 50 minuti, il che vuol dire che lo stesso film è proiettato in almeno 3 sale dello stesso cinema. Compro i biglietti in anticipo di un'ora e mezza e scopro che sono quasi esauriti nonostante il costo maggiorato del 30% rispetto alla normale programmazione. Admiral non è un film intimista. E' un racconto epico come lo poteva essere il dottor Zivago, amore e guerra. Eroismo e vita durissima in onore della grande madre Russia. Il film è raccontato con mano sicura, interpretazione mirabile e sguardo pittorico degno di Barry Lyndon. E' un film classico con scene memorabili. Sono impressionato perché racconta molto della Russia di oggi, sotto diversi livelli.
A pensarci bene mi colpisce che in questo film non compaiano mai lo zar o la famiglia imperiale, pur parlando di Russia bianca. Così come dei bolscevichi, d'altra parte, si mostrano le azioni (sono quelli che fucileranno l'eroe) ma mai si racconta una complessità come quella che portò a una guerra civile, non si fa cenno alcuno agli ideali, per quanto discutibili.
Non c'è spazio per le domande, parla l'epos.
Questo film pieno di cose belle è il primo di una nuova stagione. E fa impressione pensare a come il talento da sempre può essere utilizzato per una visione politica, come in passato abbia servito anche le dittature (Leni, sembra che sia tornata).
C'è la precisa volontà di creare una vera e propria epica dell'uomo. Kolchak che ha il volto dell'ottimo Konstantin Khabensky, ha carattere di ferro ma sa essere buono e sensibile. Amante prodigo ma guerriero senza macchia.
E' un eroe in senso classico. In un film come quelli della maturità di Sergio Leone o John Woo, ma senza ironia alcuna. Come a dire che con la Storia non si scherza.
Guarda caso il giorno seguente è stata la premiere di Admiral, colossal russo diretto dal talentuoso Andrey Kravchuk.
Costo 20 milioni di dollari, stampato in ben 1250 copie, distribuito simultaneamente in tutti gli ex paesi dell'Unione Sovietica.
Admiral racconta la storia dell'ammiraglio Kolchak, eroe della Russia bianca, considerato ai tempi del comunismo un nemico del popolo.
Vado a vedere gli orari e scopro che ci sono spettacoli ogni 50 minuti, il che vuol dire che lo stesso film è proiettato in almeno 3 sale dello stesso cinema. Compro i biglietti in anticipo di un'ora e mezza e scopro che sono quasi esauriti nonostante il costo maggiorato del 30% rispetto alla normale programmazione. Admiral non è un film intimista. E' un racconto epico come lo poteva essere il dottor Zivago, amore e guerra. Eroismo e vita durissima in onore della grande madre Russia. Il film è raccontato con mano sicura, interpretazione mirabile e sguardo pittorico degno di Barry Lyndon. E' un film classico con scene memorabili. Sono impressionato perché racconta molto della Russia di oggi, sotto diversi livelli.
A pensarci bene mi colpisce che in questo film non compaiano mai lo zar o la famiglia imperiale, pur parlando di Russia bianca. Così come dei bolscevichi, d'altra parte, si mostrano le azioni (sono quelli che fucileranno l'eroe) ma mai si racconta una complessità come quella che portò a una guerra civile, non si fa cenno alcuno agli ideali, per quanto discutibili.
Non c'è spazio per le domande, parla l'epos.
Questo film pieno di cose belle è il primo di una nuova stagione. E fa impressione pensare a come il talento da sempre può essere utilizzato per una visione politica, come in passato abbia servito anche le dittature (Leni, sembra che sia tornata).
C'è la precisa volontà di creare una vera e propria epica dell'uomo. Kolchak che ha il volto dell'ottimo Konstantin Khabensky, ha carattere di ferro ma sa essere buono e sensibile. Amante prodigo ma guerriero senza macchia.
E' un eroe in senso classico. In un film come quelli della maturità di Sergio Leone o John Woo, ma senza ironia alcuna. Come a dire che con la Storia non si scherza.
9 ottobre 2008
dniepro12
Le code sterminate per prendere un mashrut taxi, che sarebbe un pulmino con pochi posti dentro. L'altra sera Sweta che abita a quasi un'ora dal centro ha atteso e atteso, erano le 9 e mezza, mica tanto tardi. Poi si è resa conto che era spacciata. Con lei una trentina di persone che rimanevano a piedi. Mi sono offerto di accompagnarla in taxi e poi ritornare in centro. E insieme a Galya ci siamo avventurati. Potevo fare il "bel gesto" perché io ragiono in euro, per loro 100 grivnas (13 euro, poco più) sono una cifra impensabile. Le strade della perfieria non hanno illuminazione, sono tutte una buca e il taxi a un certo punto si è addentrato in una zona sterrata, sembrava aperta campagna. Ho chiesto, ma siamo sempre in città? "Sì".
Buio pesto, non un anima viva. All'arrivo Sweta era sbigottita, senza parole. L'ho salutata.
Il giorno dopo mi ha detto che nessuno aveva mai fatto una cosa così per lei. Mi sono sentito male. come il ricco colionalista che può fare gesta eroiche a buon mercato. E' terribile. Visto da qui l'occidente ricco è una cosa inspiegabile e insulsa.
Vivere come se si dovesse morire da un momento all'altro. Badando all'essenziale. Lo insegna la mistica.
8 ottobre 2008
dniepro11
Parole imparate oggi: Kachka, anatra. cosa, shtò, chi, stò. Una manager guadagna qui 2000 grivnas al mese (277, 34 euro) un'infermiera ne guadagna un terzo (da 60 a 90 euro). Un primario 1900 grivnas, cioè 257, 39 euro.
Ma di cosa raccontiamo noi burattinai sulla carta? Me lo sono domandato? Di che vita stiamo parlando? Non so, mi paiono così lontane le istanze giocherellone dei nostri eroi, stampate su carte patinate e piccolo borghesi.
Mi pare tutto tanto fatuo, fasullo il nostro fantasticare sulle fantasie dell'infanzia, il nostro leggere rileggere, scrivere e riscrivere di super poteri, calzamaglie, di eroi di frontiera, di muscoloni e cattiverie di maniera, di crudeli che più crudeli non si può, di serial killer che mangiano se stessi perché non sanno che altro fare.
Mi parla oggi questo massimalismo di una cultura addormentata, assopita su se stessa e sulla propria insulsaggine?
Mi parla oggi questa nostalgia dell'infanza a tutti i costi? Questa sindrome di Peter Pan?
Se non fossi troppo vigliacco o pigro butterei nel cesso le cose che riposano sugli scaffali delle mie sterminate librerie, le centinaia e centinaia di albi che raccontano le gesta mirabolanti di eroi invincibili e proprio per questo inumani, e dunque, dopotutto davvero inutili.
7 ottobre 2008
dniepro10
"Il cinema italiano, quello francese o russo somigliano alla vita, il cinema americano non c'entra niente". Così mi dice Andrey, e io mi ritrovo a osservare la cosa da un diverso punto di vista, in un modo che effettivamente non avevo mai considerato prima.
La vita.
Certo quando un popolo operoso come questo si spezza la schiena 12/14 ore al giorno magari credi che abbia bisogno di evadere, eppure forse la tradizione del romanzo russo, ma soprattutto il modo in cui si vivono i sentimenti e i rapporti umani, li porta altrove. Non mi faccio illusioni cambierà anche qui. Ma per ora il vento del consumismo sembra soffiare a giorni alterni in queste coordinate dell'esistere.
Ieri con Galya a vedere un film americano, divertente e fracassone, all'uscita lei commentava: "molto diverso da Michalkov, per esempio".
E questa semplice constatazione mi ha portato a ricordare lo shock che ebbi nel '94 a Parigi nel vedere Natural born killers, che sembrava un film interessante e ricco di grandi temi e poi il giorno dopo Sole ingannatore di Michalkov, che ne polverizzava ogni prospettiva. Lo surclassava per ampiezza di sguardo e sobrietà, complessità e ricchezza; come a dire che sulle cose vere e profonde non si scherza che non serve alzare la voce, fare baccano, per avere qualcosa da dire.
6 ottobre 2008
dniepro 9
Al mercato vado a comperare dei capi autunnali, sono in viaggio da questa primavera e ho una valigia praticamente estiva. Qui comincia a fare fresco. Noto delle maglie semplici a righe. Stile marinaio francese. Mi avvicino e vedo l'acquila Armani. Costo 110 grivnas che vuol dire 15 euro circa. Dico a me stesso che è roba falsa di sicuro, Armani non può costare così poco. Inoltre ci sono modelli molto simili, evidentemente fabbricati insieme, che recano marche di Hugo Boss e Gianfranco Ferrè. Mi diverte questa messa in scena così misuro un capo di Armani, e il propietario del banco mi dice, "ci vuole una misura più grande", la prende e voilà la marca è adesso Ferré, io rido e lui, complice mi dice "cosa vuole, è tutta roba che viene dalla Turchia". Al mercato dietro la stazione di Kiev compri i Pielmieni, che sono come i nostri ravioli di carne, e se chiedi una busta di Nylon (pakieta) ti domandano con quale logo la preferisci, C'è la busta Adidas, quella Hugo Boss, quella Dolce & Gabbana. Così nel mercato, nella città, vedi di continuo gente che porta pakieta griffati e magari dentro ci sono cavoli, zucchini o Pielmieni. Uno sberleffo allo status symbol in piena regola.
5 ottobre 2008
dniepro 8
Micha chiama mentre io e Galya passeggiamo in riva al fiume Dniepro. Dice che vuole sapere se mi interessa sparare, al poligono. Sono sorpreso, gli ho chiesto cosa è cambiato per lui da quando non c'è più l'Unione Sovietica, da quando lui non è più militare dell'armata rossa. Strano modo per farmi capire che piega ha preso la vita di tutti i giorni. Galya è più sorpresa di me. Dice che probabilmente Micha era ubriaco quando ha chiamato. In un paese in cui regna il bon ton lui si è messo a dare del tu a tutti. Frattanto qui è musica, sembra tornata primavera, e la gente fa picnic sotto gli alberi, in mezzo al giallo delle foglie cadenti.
Il tempo per un momento pare scorrere al contrario.
4 ottobre 2008
dniepro 7
Micha dice che è andato in America e non gli è piaciuta. "A lui non piace nulla di quello che è americano, mica solo l'America", spiega Andrey. "Lui è un patriota". Micha era nell'esercito, aviazione, durante il periodo dell'URSS. E stava bene, gli piaceva. Lui dice che non è vero che l'Ucraina è spaccata in due, una parte filo occidentale e una parte nostalgica dell'impero sovietico. "La gente pensa a mettere su famiglia, fare dei figli e sbarcare il lunario". Lui ha un Suv con autoradio, una bella moglie e un negozio di computer ("my computershop", specifica). Si sente un uomo realizzato, uno che ha successo nella vita. Quando gli faccio tante domande mi chede "cosa sei, una spia?" e così riconosco il solito vecchio vizietto. Cerco di spiegarmi e di mostrare che non sono venuto a giudicare, ma solo a osservare, se mi riesce. E ci si da appuntamento a un prossimo pomeriggio. Dove davanti a una fetta di torta mi racconterà della sua vita all'epoca dell'Unione Sovietica, quando si stava bene e nessuno si lamentava.
3 ottobre 2008
dniepro 6
per tre giorni la città è senza acqua. Una città di un milione e duecentomila persone rimaste all'asciutto. Stanno, pare, disinfettando.
L'aria non la disinfettano ma è molto inquinata anche quella, io tossisco in continuazione. Vengo da quattro mesi di aria pura in riva al mare. Qui tutto funziona come può, le auto sono milioni, ma non fanno una revisione dalla notte dei tempi. Ho preso un taxi che perdeva gas all'interno dell'abitacolo. Non c'era problema, bastava viaggiare con i finestrini aperti, e se faceva freddo bastava coprirsi. Certo che noi europei viziati la facciamo tanto lunga per niente.
2 ottobre 2008
dniepro 5
Andrey dice che a Dnepropetrovsk durante il lavoro su una strada le auto venivano inghiottite dall'asfalto, così si è scoperto che il quartiere ebraico, confinante con quello a luci rosse della città, aveva dei passaggi sotterranei segreti. Volevi frequentare i bordelli? Bastava prendere i passaggi segreti e nessuno lo avrebbe mai saputo.
1 ottobre 2008
dniepro 4
Andrey dice che suo padre era nell'armata rossa. Quando era maggiore ha dovuto prendere la tessera del partito comunista, altrimenti non aveva speranza di fare carriera. E' diventato capitano. Sua moglie sperava di potere un giorno vivere in appartamento da soli, lei e la famiglia, perché in Russia condividevano l'appartamento con un altra famiglia. Hanno aspettato e aspettato il loro turno per anni, e si sono comperati finalmente un appartamento, e una macchina. Il loro matrimonio però è andato a rotoli nell'attesa. Adesso sono divorziati. Andrey dice che quando lui era bambino ascoltava le storie dagli adulti. Se una persona andava all'estero aveva finito con ogni ambizione, poteva fare solo l'operaio, perché a nessuno sarebbe saltato in testa di affidare un ruolo di responsabilità a qualcuno che poteva essere diventato una spia. Andrey dice che se avevi problemi e ti ricoveravano una volta, mai avresti avuto un ruolo di responsabilità, perché eri considerato instabile. Le regole erano non dette, ma tutti le sapevano. E si cresceva tra le fabbriche di missili e di armi, le chiacchiere e il sospetto durante la guerra fredda. Sua madre era nata in un paesino degli Urali, a 8000 km dalla grande Mosca, poi con gli anni aveva seguito il marito nei trasferimenti dettati dalla carriera militare, ed erano tutti giunti a Dnepropetrovsk, che era Ucraina, ma pur sempre Unione Sovietica.
Oggi sua madre si è stufata, le piace il mare ed è andata lontano, più a sud possibile, in Crimea. Ed è una donna felice.
Iscriviti a:
Post (Atom)