18 giugno 2014

Tokyo 18 giugno 2014

Di mattina torno a Tokyo kanda, la mia porta del tempo, la libreria a più piani che custodisce quaderni, libri, riviste di tutte le epoche. In quel posto, nessuno sa bene perché, ma si parla sottovoce. E' un tempio, un luogo di culto delle epoche remote. Molto diverso da Mandarake, libreria a 6 piani che vende dai giochi, ai manga, ai dvd e che somiglia più a una sala di pachinko, con il suo via vai formicolante. Tokyo Kanda è un palazzo dall'aria dimessa, a Jimbocho, nei suoi 8 piani ci sono tanti piccoli negozietti, che vendono essenzialmente libri o reliquie pubblicate. A me ricorda le rivendite di fumetti usati che frequentavo da bambino, quando, immerso nei sogni di carta, imparai il potere magico dei libri. La carta qui in Giappone è qualcosa di importante. Rimango ad osservare per dei minuti le edizioni dai colori avvolgenti di Osamu Tezuka o Sampei Shirato, Poi prendo in mano due volumetti fuori serie di Suhio Tagawa, sempre editate in modo curatissimo, come la serie Norakuro. I libri sono protetti, sia cofanetto che volume, da una sottile carta velina, ma sono consultabili. Li apro e la magia comincia. Ad avvilupparmi non è solo l'odore di quasi un secolo che conferisce alla carta il potere di evocare i milioni di avvenimenti di cui il libro è stato certo testimone, ma anche i colori vivaci che la patina avorio dell'invecchiamento ha reso struggenti. Il mio cuore esulta, sfoglio pagina dopo pagina cercando di assaporare al massimo quello che vedo. E vedo moltissimo Giappone dentro, vedo l'autore Suhio Tagawa giovanissimo, che consegna le pagine originali dei suoi manga alla Kodansha, negli anni Trenta. In quella palazzina che io stesso ho frequentato, dalle colonne possenti, in marmo, con gli spazi dai soffitti altissimi, che fanno risuonare il suono dei geta e dei tacchi. CLACK CLACK. Gli inchini rituali prima di ogni colloquio, le tazze di té verde bollente, le sigarette accese nelle riunioni per decidere il merchandising, che nel caso di Tagawa, giovane di genio, è stato tantissimo, paragonabile a quanto si produsse per Disney in quell'epoca. C'erano oggetti di legno, giochi di latta, orologi, con il volto e il corpo dei personaggi che prendevano vita, si animavano, che non volevano risiedere nella sola carta. Eppure la carta che qui, in Giappone, è territorio condiviso, attraversa l'esistere, un esistere tattile in cui la qualità del ruvido, increspato, trasparente, semitrasparente, sono categorie importanti. La carta avvolge gli oggetti, in quel rito di incartamento che vuole il foglio obliquo, a rombo, e non ortogonale a quadrato, come da noi, che contiene scatole di cartone vergato, su cui sono stampati spesso ideogrammi a pressione, tono su tono, apparentemente invisibili. Su cui la carta creerà ulteriori traparenze. Il tatto e la vista, il gioco del vedere e non vedere. Un'arte, un rito, che qui volge al sublime, secondo il costume che celebra "il dare" come gesto di condivisione simbolica più importante del regalo stesso. La carta avvolge anche il corpo, in un certo senso, dato che compone le pareti gelatinose e semoventi dei paraventi, che si chiamano shoji. E' una vita rasoterra, quella degli anni Trenta, il Giappone non è ancora contaminato troppo dall'occidente con la sua concezione del sedere elevato. Il letto non si chiama ancora beddo, si chiama Futon, ed è a somparsa, negli armadi a parete, una volta che la luce del giorno inonda queste case di legno. Tokyo è ancora una città sospesa, una democrazia illuminata, che lascia il passato medievale che qui dura sino agli anni Dieci e si sta per trasformare nel Giappone imperialista dell'epoca Showa, con l'imperatore Hirohito, insediatosi nel 1926.
Tagawa intuisce il nuovo corso, il suo personaggio cane, Norakuro, fa il soldato. Il giovane autore ha servito da poco, per ben tre anni, come usava allora, nell'esercito. Ironizza, nelle sue storie buffe, traspone i suoi ricordi. Così il cane va alla guerra. Ed è qui il tragico destino che rende struggente queste storie, il fatto che, come per il film Momotaro (di appena qualche anno dopo) il territorio dell'infanzia venga sporcato, violato, nella sua purezza, dall'idea della morte e dello scontro. C'è qualcosa di perdutamente tragico ed essenzialmente giapponese in tutto questo. Il sorriso amaro accarezzato da un crisantemo.

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