30 aprile 2006
ARGENTO! (capitolo 1)
Quando il brontolio dello stomaco si fece più sonoro Alvino apri' gli occhi e si rese conto che era rimasto assopito per ore. Il bosco frusciava, accarezzato dai venti del nord est. "Acacie", penso'.
Gli piaceva dormire ai piedi delle acacie.
Sin da bambino, prima di scoprire "il dono" aveva trascorso interi pomeriggi d'estate addormentato tra i profumi delle spighe tagliate di fresco.
Era il 16 di agosto, e il gallo cantava in piena notte, come sempre.
"già le quattro..." disse cercando di alzarsi.
Gli piacevano i galli matti. Era quella imperfezione che glieli faceva amare. "Un gallo che canta all'alba non è mica interessante".
Glielo aveva insegnato sua madre, prima di morire. Prima della poliomielite che lo aveva ridotto uno schiavo. Schiavo della sua imperfezione, della miseria e della pietà dei pochi parenti rimasti. _"chichirichiiiiii" rispose al gallo.
E si fece, per un momento, Silenzio.
Come gli piaceva il silenzio. Ah, un lungo respiro.
Si alzo' e commincio' a percorrere il sentiero, la luna alta in cielo. Un gatto gli attraverso' la strada e si perse a soffiare.
HOP HOP
Camminava veloce dopo la trasformazione, la sua parte animale prendeva il sopravvento e gli faceva dimenticare i limiti di umano.
Era braccato, lo sapeva. Suo cugino Gesuino lo avevano freddato con due proiettili d'argento. E tutto per una stupida pecora.
Ma i bracconieri inglesi non perdonano! Si sa.
Erano motivati quelli, dall'oro che si portavano via. Chili e chili, quanto pesava la preda. Questo era l'accordo. _
Alvino era una massa di muscoli e pelo, occhi di brace, bava alla bocca. Ringhiava adesso.
AAAAARRRRHHHHHHH
Se li era trovati davanti, all'improvviso.
"run run", "sourround him". "There!" urlavano peggio di bestie. Bastardi. Avevano perfino dei cani.
In quei momenti Alvino non pensava.
Non lo sapeva neppure lui come fece ma si ritrovo' d'improvviso per aria, arrampicato per un acacia "(amica)". E poi spicco' un balzo enorme.
BRRAAAARRR
Giusto in tempo di vedere una lingua di fuoco che bruciava, bruciava e faceva piangere.
Si tocco' il deltoide sbrindellato dal proiettile. Il sangue colava caldo.
E sentiva il ringhiare dei cani, vicino, sempre più vicino.
Tump tump tump, le sue zampe per terra. Era veloce. VELOCE e rideva perché sentiva il vento fischiare
UUUHHH UUUHHH nelle orecchie.
Quanto tempo passo' prima che intravedesse l'uscio della sua tana?
Aveva ancora il cuore che pulsava nelle orecchie. Ma rideva. Contento, malgrado il dolore.
Poi pochi gesti decisi.
Giusto il tempo di stringere forte il braccio con i lacci e le pezze. Di bere dell'acqua fresca e di svenire nell'amaca appesa all'interno di quella grotta che lo aveva visto cucciolo.
Quando arrivo' la vecchia, con il suo passo strascicato, Alvino era ancora immerso nel suo sonno solido. Non era più un uomo lupo adesso, ma solo un ragazzetto ferito.
La donna gli accarezzo' i capelli. Spense la lampada a carburo, che era sorto il sole. E mise a suonare sul grammofono una vecchia musica tropicale, mentre preparava il mate.
E Alvino apri' gli occhi.
"Me la leggi Hansel e Gretel nonna?" disse il ragazzetto.
"Sei un ometto oramai. Non si leggono le fiabe agli uomini fatti".
E sorrisero mentre lei gli porse una tazza e preparo' i ferri sull'acqua calda, per vedere di medicare quella brutta ferita.
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