8 maggio 2013
sturiellett
Con Andrea Pazienza ci furono diverse “stagioni”. Al principio quando ci conoscemmo fu un parlarsi fitto e pieno di reciproche curiosità. Ricordo che scese nel giardino del suo palazzo, passando attraverso il bar Cirenaica, per prendere una rosa da regalare alla mia fidanzata di allora. E si punse con le spine. Era pieno di gesti imprevedibili, Andrea. E di cose vitali o decadenti. Mi leggeva gli appunti (per esempio uno bizzarro e filosofico sulla punta delle basette di topolino) dai suoi quaderni, mentre nella penombra del salottino in cui avrei passato, tempo dopo, intere giornate a disegnare con lui, riposavano le pagine di Penthotal piene di tratteggi. Ricordo le chiacchiere sui dada, sul genere hard boiled, su Del Buono, Eco, e sul “piacersi”. (Mi raccontò che la sera prima aveva trascorso un paio di ore a baciarsi allo specchio). Sul fumetto, su quello che facevamo o che facevano gli altri.
La musica che ascoltava era una cosa quasi casuale, lo incuriosivano le mie frequentazioni new wave e le cose nuove: una cultura punk che vedeva mutare giorno dopo giorno, verso coordinate “moderne”. L'epoca freak era al tramonto sorgeva la new wave. Sul tavolo stazionava una piccola radio registratore (ghetto-blaster) che aveva preso a New York, in un viaggio con Betta. Betta era all'epoca il grande amore di Andrea, l'aveva perfino ritratta nel manifesto de “la città delle donne” di Fellini. Questa radio la accendeva spesso, ma di cassette non ne aveva tante. Ascoltava musica italiana o qualche stazione commerciale.
Poi venne la rottura tra di noi, a causa del fatto che per una sua frase ero stato fatto fuori dalla mostra della Alinovi. Ci si vedeva ugualmente, in casa di Marcello, avevamo troppi amici in comune, e per lui era molto sgradevole incontrarmi e constatare che non avevo dimenticato.
Era costernato.
Con Jori ebbe un legame forte, Marcello rappresentava quello che lavorava nel mondo dell'arte di serie A. Faceva parte dei “nuovi nuovi”, sostenuti da Renato Barilli, che si contrapponevano alla transavanguardia di Achille Bonito Oliva. (o Achille Bollito Vivo, come lo chiamava Tamburini), e fare parte della scena dell'arte interessava ad Andrea. Pensava delle grandi immagini dipinte ad aerografo su macchine di lusso.
Me ne parlò a più riprese. Io non ero affatto convinto che fosse una buona idea. Mi sembrava molto scema come cosa.
Marcello Jori faceva dei fumetti di stampo realista per Valvoline. Acquerelli dipinti con tocco delicato. Usava delle foto come base, spesso prese dall'archivio del padre, che era stato documentarista. Non c'erano purismi, anche noi usavamo documentazione fotografica, ma Marcello negava risolutamente, diceva che era in grado di inventare a quel livello, un livello molto fotografico appunto.
Noi si giocava, portavamo spesso il discorso su quelle foto, ma lui niente. “Macché foto, tutta farina del mio sacco”.
Dato che una volta, a casa di Marcello, dopo l'ennesima balla, Giorgio Carpinteri si alzò per andare nello studio di Marcello a prendere “il corpo del reato”, lui aveva peso l'abitudine di chiudere a chiave lo studio.
La settimana seguente arrivammo a casa Jori senza preavviso. Io e Giorgio bloccammo Marcello, che aveva appena aperto, e Daniele corse nello studio per prendere le foto per mostrarle a tutti noi. Erano centinaia di diapositive, alcune del tempo della guerra, in vetro.
Marcello rise di questa cosa, ma Andrea, quando lo seppe, fu scioccato. Per lui ci eravamo comportati da squadristi in un certo senso. Che razza di gruppo eravamo? In realtà credo pensasse a certe dinamiche pesanti che stavano avendo luogo a Roma, a Frigidaire, in cui differenze estetiche diventavano regolamenti di conti tra disegnatori. Ne aveva fatto le spese Mattioli, che fu costretto a ridurre le pagine di Joe Galaxy. Fino a due al mese, perché Tamburini riteneva che non piacesse ai lettori.
Marcello e Andrea si studiavano, pensavano cose insieme. Una volta andarono insieme ad Alter.
Di ritorno da Milano, erano gli anni Valvoline, i due erano così fuori di testa che presero un treno per Genova invece che per Bologna. Siccome non c'erano i cellulari e si vergognavano come ladri, telefonarono dopo ore, all'arrivo. Dovevano essere già a casa, e invece si trovavano a centinaia di km di distanza. Ma non dissero quello che era veramente accaduto. Io ero a casa di Marcello, li si aspettava per andare tutti a cena.
Ma i due raccontarono che c'era uno sciopero a Milano. Andrea condì il resoconto con scene apocalittiche di operai sdraiati sui binari e cariche della polizia, sembrava una sceneggiatura. Io ero a casa di Marcello e ricordo che Betta, che all'epoca stava ancora con lui, ascoltava Andrea con occhi increduli, lo conosceva fin troppo bene. Così lo rassicurò e poi, finita la conversazione, chiamò la stazione di Milano per chiedere informazioni su questo sciopero.
E scoprimmo che Andrea si era inventato tutto quanto.
I racconti di come aveva saltato la naia fingendosi malato (cardiopatico, mi pare) mi vennero alla mente. Gli piaceva mentire, entrava in un dramma di cui, guarda caso, era l'attore protagonista. E si compiaceva di sviluppare la storia alla maniera della commedia dell'arte.
Dopo la riappacificazione mi chiese se volevo andare da lui a disegnare. Furono giorni pieni di luce e di dolore. Andrea si faceva 4, anche 5 volte al giorno. C'era un patto implicito tra di noi, io cercavo di dissuaderlo e lui poi mi si faceva davanti.
Non ho mai avuto molta dimestichezza con le droghe, era dura.
La sua casa era un porto di mare, frequentato da chiunque avesse qualcosa da vendergli o proporgli, data la facilità con cui lui guadagnava era preda di questi sciacalli che non lo lasciavano un attimo. Si presentavano alla porta, salutavano, entravano, stazionavano. Lui disegnava e loro sdraiati nel divano dietro, a cazzeggiare, consumargli le provviste del frigo o dormire. Ricordo che gli proponevano di tutto, del fumo, degli oggetti d'antiquariato, un'armatura da Samurai dell'Ottocento ecc.
Una volta li mandò via. Era esasperato. E mise un cartello al portone, tre piani di sotto, diceva qualcosa come “ se cercate Andrea Pazienza, non suonate. Potreste pentirvene”. Apriva solo a me in quei giorni, e alla sua fidanzata, che era una delle poche persone che gli voleva veramente bene. Lei parlava pochissimo, ma era una presenza rassicurante per lui. Quei giorni erano i giorni di Pompeo. Aveva già cominciato a fare quel libro, lo disegnava su un quaderno “architetto” di carta quadrettata.
Era il 1984, insegnavamo alla scuola Zio Feininger, capitava che ci andassimo insieme, ed è vero che sbagliava sempre classe. Era diventata una gag alla scuola.
In quei giorni era inquieto. La storia con Betta era finita da tanto, ma lui si era ostinato sino ad allora a tenerla in piedi nella sua fantasia. Leggeva Le Carrè, e gli piaceva. Lavorava anche alla storia Lupi, che disegnò con i miei pastelli Derwent Cumberland e con i pennarelli Pantone, miei e suoi messi insieme in un cassetto del comò, poggiato sul tavolo tra me e lui.
Sullo stesso tavolo pascolava uno di quei libri sugli elfi che andavano di moda alla fine degli anni Settanta. Orrore! Ma a lui piacevano gli alberi, ne clonò uno nella storia.
Rideva del fatto che io gli dicessi che era roba da frichettoni. E mi leggeva i dialoghi della storia, “lupi”, per provarla. Assistere a quelle letture era vedere una cosa morta animarsi. Un disegno prendere vita. Non so come descriverla questa cosa se con l'aggettivo “magico”. Quando lasciò Bologna, per storie di arresti nel mondo dei pusher, l'atmosfera era diventata per lui irrespirabile. Mi aveva chiesto centomila lire che poi mi rispedì da Montepulciano, con i complimenti per la storia che avevo pubblicato con Sakamoto.
Fu un giorno triste che ricordo ancora come fosse ieri, quel 16 giugno del 1988, quando Betta mi telefonò, era in lacrime e mi disse solamente “è morto Andrea”. Io ero seduto al tavolo, parlavo con un amico e disegnavo, scrissi sul foglio “è morto Pazienza”. Era davvero finita una stagione.
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7 commenti:
Paz andava soggetto a scuffie. Ne prese una per Le Carrè. Pochi sanno che " Lupi " doveva chiamarsi " Talpe ". Il papà di Zanna scrisse una breve sinossi della storia e la fece leggere a Mollica. La storia era diversa da quella poi pubblicata su Corto Maltese. Zanardi aveva un contenzioso con un cartoonist chiamato Pompeo e decideva di risolverlo seminando la cantina di quest'ultimo con un ettaro di tagliole. Dopo il crepuscolo, una pattuglia di talpe albine mutanti -mutuate dalla leggenda urbana americana sui coccodrillini buttati nei wc della Grande Mela -uscivano allo scoperto e facevano scattare le trappole. Pompeo ed il suo amico commissario " Basetta " Topoloni ( disegnato in stile Joe Galaxy per produrre uno iato con il resto del fumetto ) scendevano in cantina ( nel profondo, diceva Paz anticipando il mood dylandoghiano ) ed assistevano ad una prova di apocalisse come poteva essere rappresentata in un video che accompagnasse un pezzo pop qualsiasi. Praticamente un Michelangelo Antonioni al lavoro x la Nannini, ma sotto acido. L'altra faccia, acida, di Mister Fantasy. Il Mollicone nazionale non disse nulla, ma gli si leggeva chiaro in viso che soffriva, come direbbe Baglioni /Dylan Dog in una storia disegnata da Claudio Villa, se Tiz Sclavi riprendesse a scrivere storie che potrebbero piacere a Paz e limitrofi.
AP fece uno dei suoi sorrisi alla Troisi e quadrotti del plot. Scrisse & disegnò una nuova storia -quella citata dal ns anfitrione -e la dedicò alla nascita di un figlio/a di Mollica, sebbene non fosse proprio un racconto di Carl Barks.
Non dico come so tutto questo, ma diciamo che ho le mie fonti: un tizio che frequentava casa Paz e che ha anche cercato di vendermi l'armatura di un samurai tutto istoriato con dei piccoli Pertini.
Io ne porto ancora i segni, come direbbe la signora Martini, e quando mi capita di intercettare sul video una storia di spie - raramente, considerato l'amore di Crepascolino per La Pimpa - agitata e non mescolata , of course, mi pare di vedere alle spalle di 007 e dell'ennesima Bond-girl una serie di apparentemente innocue buchette sul green. Goldfinger non sembra preoccupato, ma io so...
Certo che hai proprio rotto le palle con 'ste tirate, Crepascolo. Aggiungessero qualcosa al discorso capirei pure, fossero esercizi letterari interessanti idem. Ma è sempre la solita sequela di minchiate facilotte e a effetto (per chi, non saprei)in cui mescoli puntualmente (magari gongolando pure per la "genialata") Nonna Abelarda e Moebius, Sadik e Hugo Pratt.
Solita formuletta trita e ritrita.
In calce a testimonianze come quella di Igort simili interventi poi sono non solo inutili ma pure irritanti.
@ Oreo
è il bello della rete: se non sei interessato , non leggere oltre il mio nickname.
Hai ragione. Ma il bello della rete è che anche io posso sottolineare quanto le tue tirate, specie sotto post come questi, siano del tutto fuori luogo.
Direi che siamo pari.
Ineccepibile.
Io intendevo dire altro e prendo spunto dal tuo nickname per spiegarmi meglio: sei in un supermercato e cerchi biscotti, vedi una confezione di Oreo , marca che non conoscevi, e la comperi - a casa assaggi il prodotto , scopri che non ti piace e d'ora in poi eviterai quella marca.
Ciao.
Io leggo tutto di gusto e mi piacciono quasi tutte le marche di biscotti (-:
Detto questo, caro Igort, sei riuscito a farmi piangere con questo tuo bellissimo amarcord sui tempi tragici ma vitali del fumetto, che ad alcuni oggi sembrano preistoria ma che io mi ricordo benissimo.
Prima di Frigidaire e Valvoline ero un lettore allo stato brado, nel senso buono del termine perchè comunque "inseguivo" Kirby, Steranko e Corben, poi col vostro irrompere nella scena ho capito e apprezzato tante altre cose, avevo l'età giusta. Vi voglio bene, siete stati importanti per me, e non solo ovviamente.
Un abbraccio
Seppi della morte di Paz alla stazione di Milano.In borsa avevo il suo "Glamour Book" a tiratura limitata,da poco acquistato.
Bel racconto come sempre.
Ciao
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