30 maggio 2013
autunno 1982
Il primo numero di Valvoline. Autunno del 1982. Casa mia, notte. Terzo piano di una palazzina in via Berretta rossa, a Bologna. Atmosfera euforica. Mentre si aspetta Jori con il retrocopertina, studio la grafica della prima copertina, in cui compare un ritratto a colori di Doctor Nefasto. Ci sono dei coccodrillini verdi, che creano un decoro ironico, ho preparato il logo di Valvoline motorcomics ispirandomi al design degli anni Sessanta. Con le parole, le forme, ci gioco da tempo, mi piace fare i titoli dei vari capitoli e delle varie storie. Lorenzo, che ha parlottato con Kramsky e preparato il primo capitolo del suo libro più libero e delirante sino ad allora, è allegro. In quella stessa casa, un anno prima aveva disegnato le prime tavole de “il signor Spartaco”, facendo un salto estetico e mentale da grande campione. Erano comparsi elementi onirici degni di Buzzati, suo grande amore, in un contesto di ricordi personali trasposti. Non si praticava l'autobiografia diretta, allora. E noi comunque pensiamo che ogni opera è sottilmente autobiografica e ci piace costruire le tessiture del racconto.
Lorenzo ha messo molto espressionismo tedesco nelle sue tavole, ma il colore è esploso riscaldando le immagini e conferendo un senso di leggerezza quasi spensierata che non gli conoscevamo. Quando io e Giorgio lo abbiamo incontrato, 3 anni prima, stava facendo “Incidenti”, una storia dal taglio realistico e metropolitano con inserimenti grotteschi. Pagine fitte di tratteggi.
Lorenzo era timido, molto rigoroso. Innamorato del suo lavoro di quello che stava scoprendo nel suo mondo interiore e come noi, aveva la certezza che questo fosse il pianeta nel quale voleva abitare. Il pianeta fumetto.
Poi le chiacchiere hanno portato a grandi complicità, racconti di progetti, idee sparse, analisi. Com'è normale.
La mia generazione crede nel disegno, nell'immagine.
Una forza che impone un autore, anche se questo forse non padroneggia con altrettanta maestria la narrazione.
Poco importa, un'immagine cos'è? E' la porta per un altro mondo. Si viaggia con Moebius, con Corben, Con Druillet, con Munoz, con Montellier.
Si viaggia sui segni.
In quegli anni Dionnet sulle pagine di Metal Hurlant sceglie sulla base della potenza grafica. Dirà in seguito che “riviste oggi, alcune cose mi piaono del tutto futili”.
Ma quella è la stagione della fantasia al potere. C'è una certa apertura mentale. McLuhan è il guru. Le sue frasi vengono distorte, fraintese, masticate nei diversi contesti. “Il medium è il messaggio” è la parola d'ordine.
Noi siamo giovani entusiasti e ambiziosi. Appassionati, cerchiamo di produrre cose dal profondo.
Crediamo che si debba andare oltre. Con tutto il rispetto, con tutto l'affetto per i maestri che ci hanno insegnato a sognare, basta con l'esplosione della tavola, con le composizioni libere. Noi non siamo lisergici, non è la nostra cultura, questa.
Io teorizzo le 6 vignette. Tutte uguali. 6 vignette per pagina, una griglia. Un ritmo. Dentro le vignette si viaggia con le immagini, ma questa griglia determina una sequenza, racconto dunque, fumetto.
Si può esplorare con il disegno, dentro il rettangolo della vignetta, ma poi si scorre, semplicemente e insorabilmente, nel racconto.
La griglia viene adottata da Valvoline.
Bovisa, periferia di Milano. L'anno prima, nella casa di ringhiera di Lorenzo ho finto un capitolo di Goodbye Baobab. Parliamo con fare esaltato. Ogni vignetta, si dice, deve avere un significato. Una stratificazione. Deve portare la maggior parte di senso possibile.
Pensiamo alla Nouvelle Vague. Amiamo Truffaut, Jules et Jim, Il primo Godard, Rivette, Malle, ci piace l'idea che si scavi nel linguaggio.
Poi, il fumetto, certo.
Ore, giorni, notti a parlare di chi ci piace: Vaughn Bodè. Lo amiamo in tanti, all'interno di Valvoline. Bodè, un disegnatore americano molto talentuoso, che si era impossessato degli stilemmi di Disney e delle sue rotondità. Era apparentemente “giocattoloso”, in realtà i suoi paperi, le sue rane, i suoi esserini, vivono storie tragiche e dolorose.
E la sua stessa storia, che galleggia tra i si dice e gli omissis, è finita tragicamente.
Perché il bello e androgino Bodè è morto giovanissimo, in quesgli anni, vittima di un gioco erotico. Fine dei cartoon concert, del mito di Bodè, anzi forse il mito, quello, cresce a dismisura, perché il mondo degli anni Settanta ha bisogno della morte, dell'autodistruzione dei suoi eroi.
Noi leggiamo, e piangiamo con lui. Gran disegnatore, narratore tenero e disincantato. Ci ha lasciato.
La sua lezione è quella dell'underground. Il gioco di qualcosa che non è come appare.
Bodé usa le rotondità disneyane. Crumb fa riferimento a Segar, l'autore di Popeye.
Io e Giorgio e Daniele, siamo cresciuti invece con i super eroi americani, Lorenzo, che è di qualche anno più grande di noi, no.
Però ci sono molte cose che ci uniscono. Per esempio le storie di Alack Sinner, di Munoz & Sampayo. I disegni di Munoz sono tagliatissimi, stilizzati, molto potenti e i testi di Sampayo stanno sconvolgendo le coordinate della narrazione a fumetti per come la si praticava allora. D'altronde Sampayo viene dalla letteratura. E se ne infischia delle regole canoniche.
Siamo tutti felicemente sconquassati dalla furia di quell'uragano.
A me pare che niente sia all'altezza di quel lavoro magnifico. Lo si legge come pura musica, un fluire sensibile e intelligente che sconvolge, appassiona, commuove. Il talento supera limmaginazione.
Con Marcello il rapporto è diverso, passa attraverso l'arte, attraverso una visione colta ed eccentrica. Lui ha uno sguardo fine, acuto. Guarda al fumetto dal di fuori. Per anni ha firmato delle storie minime e crudelissime sulle pagine di Linus. Il suo personaggio si chiama Minus.
Apprezza Klein, Klee, ma anche Topor e Folon.
Non è cresciuto con il fumetto americano e neppure con quello francese.
Un pomeriggio discendiamo per via Zamboni e gli parlo di un disco di valzerini e canzonette ironiche di Brian Eno, uno dei miei favoriti di sempre. Taking tiger Mountain by strategy.
Al titolo zen (catturando la tigre di montagna attraverso la strategia) si affiancano le tecniche post dada. Eno ha elaborato un sistema casuale di composizione, scrive in un mazzo di carte delle istruzioni e le estrae a sorte durante la scrittura delle canzoni. Quelle carte hanno un nome misterioso, si chiamano “Strategie Oblique”.
Marcello è stupito. Eno d'altronde si definisce “non-musicista”, è un personaggio schivo e geniale. Un grande innovatore che teorizza lo studio di registrazione come strumento musicale.
Sino ad allora lo studio aveva funzione di “ sala di registrazione”. Una band suonava, e la si riprendeva come se fosse un'esecuzione dal vivo. Tradizionalmente si suona tutti insieme. Questa cosa la mettono in discussione tanti gruppi sul finire degli anni sessanta, tra cui i beatles.
Ma Eno va oltre, fino a teorizzare lo studio di registrazione come strumento. E il produttore come vero demiurgo. I musicisti li registra uno alla volta. Le leggende fioriscono. Si dice che alcuni non sappiano neppure su cosa stanno suonando. Eno si limita a fornire in cuffia la base ritmica e a dire la tonalità su cui improvvisare.
Sarà poi lui a filtrare, manipolare, tagliare i suoni e le sequenze.
Mi fa pensare a quel modo di concepire il controllo dell'opera che, nel cinema, Federico Fellini, ha messo a punto con gli anni. Si favoleggia di attori che chiedono al regista la trama del film senza ottenere risposta alcuna.
Dai primi anni settanta la tecnologia sta rendendo possibili nuove frontiere. Quello che si mette in evidenza è la fine del valore “caldo” del suonare insieme, dell'energia rock. Qui il fattore umano, in genere, viene isolato, si ricerca una musica più “intellettuale”.
Eno è l'uomo giusto al momento giusto.
Le sue teorie mi impressionano molto, cercherò perfino di fare delle storie con delle carte su cui ho segnatato. Esterno, caldo. Un azione improvvisa.
Oppure interno, notte, personaggi parlano e non si capiscono.
Ecc ecc.
Estraggo a sorte queste carte e provo a costruire delle storie. Non è mica facile.
Le storie pubblicate su Alter, in quei giorni, sono spesso a gag, o a trovata. Non mi appassionano, mi deludono.
Io cerco di andare oltre. Alla fine degli anni settanta disegno fumetti che sono dei “tranches de vie”, dei brandelli di vita, storie che iniziano già cominciate e finiscono prima di finire. Cerco di catturare degli “aliti di esistenza” insomma.
Con Lorenzo si parla molto di cosa ci interessa in un racconto. Lui è ossessionato da alcuni temi. la Perdita di identità, sogno, ricordi, e questi elementi entreranno nel mondo lieve e raffinatissimo de Il signor spartaco.
Ci sono stati grandissimi film che ci emozionano. Apocalipse Now, che ha aperto una nuova stagione di rilettura visionaria e amarissima. Un taglio filosofico che si è sovrapposto al romanzo storico tout-court, rigenerandolo.
Il nuovo cinema americano fa i conti con la violenza, con le sue contraddizioni sociali. Viene fuori il grande Scorsese.
E Cimino, Il cacciatore lo guardiamo insieme più e più volte.
Marco Mattotti, il fratello di Lorenzo, che è medico, alla scena in cui De Niro si spara alla tempia spostando la pistola e ferendosi solo di striscio, impone la sua diagnosi: “trauma acustico. Sarebbe sotto shock, Impossibile fare quello che fa poi”. Il suo intervento “logico” ci distrugge il momento clou di tensione drammaturgica. Io e Lorenzo non crediamo alle nostre orecchie, ci guardiamo affranti. Lo vogliamo strozzare.
Ancora oggi, ogni volta che guardo il cacciatore mi viene da sorridere quando arriva quella scena. E sono passati trent'anni.
Giorgio da parte sua è folgorato da Eraser Head di Lynch, ascolta i Pere Ubu, ha trovato i suoi fratelli spirituali. L'ironia folleggiante e del tutto visionaria di Lynch, i suoni e la poesia metropolitana e paranoide di David Thomas, leader dei Pere Ubu.
I've got these arms and legs that flip flop flip flop. (tratto da Dub housing, 1978)
Ho queste braccia e gambe che fanno flip flop flip flop.
E' l'estasi del burattino. Uomo meccanico che non vede senso.
A loro si affiancano i Devo, che lo hanno scioccato (ovviamente queste cose sono impressionanti anche per me, io e Giorgio siamo coetanei, eravamo in classe insieme).
I Devo hanno inventato un universo ironico, parlano di De-volution (DEVO), il contrario dell'evoluzione, in sintesi. C'è boogie boy, una figura che incarna la musica, il mito del rock'n roll. Questo boogie boy ha messo per sbaglio la testa sotto una pressa. Ora è menomato per sempre.
C'è la figura del generale … incarnazione dell'autorità ecc. Il concerto dei devo si apre con un finto documentario. E il mondo da fantascienza di serie B da il via alle danze.
Poi comincia una musica geometrica, ironica, ritmatissima e irresistibile.
“Mongoloid he was a mongoloid happier than you and me”, cantano su un vorticare di basso, la batteria distorta ha il suono dell frustate. I synth sembrano delle sirene della polizia.
E' musica, ma anche cinema, racconto puro, si viaggia in un universo minaccioso che mostra il lato oscuro dell'american way of life. La pubblicità felice degli anni Cinquanta è sotto tiro.
Chi incarna la parte letteraria di questo contesto è Daniele, che con me mette insieme ogni numero di Valvoline; lui scrive, e legge moltissimo. Disegna i suoi fumetti anche, ovviamente, ma i numeri di Valvoline non sarebbero quelli che sono senza gli articoli che lui scrive e sceglie. Tempo Congelato, Cospirazione, Il generale Tom Thumb. Brolli cita Leslie Fiedler, Kurt Vonnegut jr. , Nijinskij, Pynchon, Purdy, Anger. Il paradiso dei reietti e degli strambi è a portata di mano. Basta allungare un dito per toccarlo.
Valvoline 1 è il click, il tuono che ci compatta e spedisce missilisticamente oltre, sulla nuvola. Il viaggio insieme è cominciato.
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