22 agosto 2012
scolpire la carta
Ukiyo-E' Haiku & Suspence. Si chiamava così il mitico libro che andavo a cercare ogni settimana alla libreria di via Garibaldi, a Cagliari, senza mai trovarlo. “arriva, arriva” dicevano. Era il 1975. E non arrivò mai. Lo aveva disegnato Sergio Toppi, che era un gigante. Il volume era una contemplazione grafica sul Giappone dei samurai con le loro armi e armature; un opera sinfonica di segni e colori che in poche pagine tramortiva il lettore. Puro epos. C'era tutto il suo repertorio di segni violenti, grossi, delicati, lievissimi che conferivano peso alle masse, sino a renderle quasi tangibili (la magia del disegno) e a queste Toppi alternava fondi bianchi, impalpabili, del tutto grafici. L'effetto era di una perfezione scioccante.
Quando 22 anni dopo, a Milano, fui premiato inseme a lui, mi sentivo come qualcuno che si trova lì per sbaglio. Da Toppi avevo imparato tanto, sin da ragazzo e mi ero reso presto conto che il suo cuore di disegnatore era un incastro impenetrabile, un forziere misterioso fatto di cose preziose e molto diverse. Cosa guardava Toppi? Sembrava spuntare dal nulla. Io lo spiavo, ci eravamo anche parlati ad Angouleme. Avevo visto delle cose sue, delle tavole stupefacenti, che pensavo vecchie, fantasticavao sull'età dell'oro, gli anni che furono, e invece le aveva appena disegnate. Era in forma il grande Toppi, e glielo avevo detto. Lui se la rideva discretamente, mentre tracciava una di quelle dediche che mandavano in visibilio i lettori francesi. Lo aveva rilanciato, Oltralpe, l'editore Mosquito, un minuscolo e puntiglioso editore che ha dato una seconda vita a diversi disegnatori degli anni Settanta italiani. Quella meravigliosa stagione del bianco e nero, di cui Toppi era un maestro riconosciuto e amatissimo. In Italia, si sa come siamo ritardatari noi a celebrare le nostre glorie, l'attenzione era venuta dopo, ma era venuta. E mi faceva piacere vedere il lavoro di questo immenso maestro esposto all'attenzione che meritava, dato che io ero uno di quelli che finito di leggere una storia la ricominciava a guardare. Ore trascorse su quei segni, per capire come faceva. Lui, che il pennino lo faceva cantare, aveva un bianco e nero che scolpiva gli spazi con stilizzazioni personalissime. E una composizione che teneva conto della grande scuola grafica degli anni 50. Stile, insomma. Aveva cominciato negli anni 60, sul Corrierino, a fare le storie del mago Zurlì, e poi era passato al Corriere dei ragazzi, mi ricordo che andavo in chiesa a procurami delle copie, non si trovava nei circuiti normali. E rimanevo scioccato a rimirare quei colori elettrici, che sembravano dipinti su vetro. Toppi aveva un gusto tutto suo per gli accostamenti.
Lui dialogava con le alte sfere del disegno. E parlava da pari con Schiele e Klimt, con Kirchner, per questo forse, quando approdò alle pagine prestigiose di Alter Linus, che pubblicava il fior fiore del fumetto mondiale, lui era a suo agio, aveva il suo posto. Oreste del Buono lo osannava, giustamente. E ne ammirava la modestia, che è tipica dei grandi.
Qualcuno, in quegli anni ci provò perfino, a imitarlo. Ma fu chiaro per tutti che quella era impresa disperata. Perché Toppi era unico. E indimenticabile.
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4 commenti:
Uno dei miei insegnanti alla SdF di Milano ha avuto il privilegio di entrare nel suo studio. Un finestrone cinemascopico davanti ai decolli di Linate. Un tavolo da disegno tanto lungo da poter essere il letto del Collezionista sorvegliato da pupazzi ( e pupi ) in armatura da samurai o milite delle Colonie che il Maestro ( così lo chiamava il mio maestro ) realizzava personalmente. Armi antiohe ( regali di Sergio Bonelli, tra gli altri ) nelle teche. Radio Italia accesa tutto il giorno mentre il Maestro sognava le Mille ed Una Notte che disegnava fino al crepuscolo. Non lascia eredi. Walt Simonson gli deve qualcosa dal tempo del primo graphic novel dei suoi Starslammers e Denys Cowan imita il segno dal suo The Question, ma nessuno ha ripreso il suo senso della narrazione, il suo shining che gli permetteva di inanellare una dopo l'altra una quantità incredibile di splash pages senza passare per illustratore. Era un cartoonist. Libero e vitale come l'aquila che ronza sopra la mia testa ora dopo un temporale di un'ora, il suo talento si faceva strada anche attraverso cosine minori come un paio di Nick Raider o il famoso numero undici di Julia. Spero che sia atterrato in un posto in cui abbia la possibilità di guardare attraverso una finestra della stessa materia dei sogni che ha alimentato. Se davanti al suo sguardo prensile, si parerà un muro di mattoni, arriverà il mago Zurlì ad aprire un varco. A pochi gg da JK !
L'unica buona notizia di questi gg è lo spread che scende...
Ho trascorso tutto giugno in giro a fare presentazioni e a rispondere alla (classica ma ben accolta) domanda "chi sono i tuoi autori preferiti?". Io rispondevo in primis Toppi suscitando qualche perplessità sul pubblico che si chiedeva "cosa c'entrano i ragazzini stilizzati di La Forgia con i meticolosi e prorompenti guerrieri di Toppi?". Eppure Toppi mi ha insegnato (come altri della sua generazione) a fare del fumetto la propria voce e a concepire tutto quello che mettiamo su carta come unità narrativa. In qualche modo Sergio Toppi ci ha fatto da padre a tutti.
Ot : ho letto Lucille e Renèè (che mi è piaciuto ancor di più), molto toccanti tutti e due, e desideravo gentilmente chiederti la tua opinione su di essi e Black hole di burns che mi ha stregato, grazie e ciao.q.cosa
la mia opinione? Ma se li ho pubblicati... dico non penserai che scelgo dei titoli che poi ritengo non validi? Lucille e René sono dei libri magistrali, con un ritmo di racconto e una seplicità apparente davvero notevoli. Sembra che il racconto fluisca, naturalmente, come se tuto fosse facile. Invece raccontare in quel modo richiede un grande talento. Quanto a Burns, direi che Back Hole è il suo capolavoro, costato 11 anni di lavoro. Immagino poi che quando ti rifersci al mio libro "Quaderno nomadi" intenda "pagine nomadi". Mi fa piacere che abbia incntrato iltuo gradimento.:)
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