12 luglio 2014
Diario ucraino. 11 luglio 2014. Ore 23,57.
Telefonate notturne piene di angoscia, apprensione, notizie frammentarie. Gli ospedali a est sono pieni di feriti, abbondano, ufficialmente sono dodici, tredici in realtà centinaia.
Hanno atteso un aereo per il trasporto dei feriti a ovest, per tutto il giorno. Frattanto i più gravi morivano. Non c'erano medicinali, gli ospedali sono sovraccarichi, il personale medico non è più abituato a lavorare giorno e notte, a fare operazioni chirurgiche di alta precisione. La disperazione dei familiari è alta.
Telefonate di Natasha da Odessa, suo figlio Sergeij è in età di leva, sta ancora studiando.
Il poliziotto del villaggio è venuto allo spaccio, da Akimovka, ha detto che partiranno in tanti, dal villaggio.
Maxima Gorkoga, un villaggio di poco più di 300 abitanti.
La vecchia Emilia ha ascoltato quelle parole, lei e' la nonna di Sergeij. E'tornata a casa di corsa, in bicicletta. Lasciando al negozio la busta con la spesa appena fatta. Si è messa a piangere, non riuscivano più a consolarla.
Ogni giorno Emilia aspetta di rimanere sola, non vuole farsi vedere da Sergeij, non vuole farsi vedere da suo figlio Petia; aspetta di rimanere sola e si mette a piangere.
Vive nel terrore di vedere partire i suoi cari per la guerra. Questa la sua quotidianità.
Si cerca di capire cosa si può fare per questi ragazzi, ora comunque non partono solo i ragazzi. Un uomo di 49 anni, che aveva fatto il militare ed era un graduato, tenente, nonostante avesse un bambino di appena pochi mesi, e' stato richiamato alla leva. Adesso è al fronte. Si vivono ore di angoscia.
La domanda che le persone normali si fanno, questo è un paese in guerra, che sta vivendo una guerra civile, anche se l'Europa finge di non accorgersene.
La domanda che le persone normali si fanno, dicevo, è: "hanno diritto all'asilo politico, hanno diritto allo status di rifugiato?"
Sergeij dice che non vuole uccidere qualcuno in guerra, dice che non vuole rimanere senza fare niente, non vuole venire in maniera illegale.
Sergeij vorrebbe semplicemente trovare un lavoro fuori, aspettare qualche mese che la tensione cali, si spera, e poi darsi da fare, tornare al suo villaggio, trovare un'occupazione. Farsi una vita.
Hanno guardato i paesi in cui potrebbe andare senza il visto. Il Kossovo, la Serbia, la Moldovia. Poco altro; la Turchia forse.
I discorsi sono di questo tenore: "adesso che sono sani tanto vale spendere i soldi. Perché dopo se li feriscono gravemente, rischiano la vita, se vengono colpiti, se vengono feriti al fronte, i soldi li spendi comunque e poi magari non ci sarà più niente da fare".
I discorsi sono di questo tenore. I soldi, i soldi che non ci sono, i soldi da trovare. Per cercare di salvare una vita. Per cercare di salvare la salute dei propri figli. La salute dei propri cari.
Natasha dice che vuole vendere la macchina che ha appena comprato. Una macchina che doveva fare dei soldi per lei, una slot-machine. Natasha dice che non le importa più. Che non le importa guadagnare, lei vuole salvare la vita del figlio. Il figlio e' Sergeij.
Lui dice che non vuole venire da illegale. A lui fa schifo l'idea di essere un clandestino, di non potere lavorare. Di vivere ai margini.
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