30 luglio 2011

take a look at this man


Questa è la faccia che aveva Hubert Selby Junior quando scrisse Ultima fermata a Brooklyn e si scolpì nel firmamento letterario dei cantori dei diseredati. Così, con un libro, anche influenzò la storia della musica, e non solo. Divenne un mito per scomparire poco dopo, inghiottito dal gorgo della memoria corta. Non ci sarebbe Take a walk on the wild side senza last exit to Brooklyn, non ci sarebbe Patti Smith, nè Munoz, probabilmente. E non ci sarebbero tanti altri cantori di maniera che costituiscono solo zavorra inutile.
"Conosco l'alfabeto, forse posso essere uno scrittore".
Preso dal terrore, dopo una visione, che la sua vita scorresse inutilmente, si accanì a cercare di raccontare, basandosi sui ricordi violenti di infanzia. Selby scriveva "a orecchio" e si lasciava andare alla sua prosa spontanea, una sorta di flusso di coscienza che lo apparentava a Kerouac. Come per Kerouac, il ritratto dell'America prendeva corpo a partire dai reietti. Portuali, senzatetto, delinquenti, sfruttatori, travestiti, prostitute, omosessuali, tossici e, non ultimi, i miserabili esclusi dall'american dream in generale. Ma a differenza di Kerouac il mondo di Selby è più feroce e decisamente meno mobile. Del tutto metropolitano.

jack


Quando scrisse Sulla Strada, jack aveva 29 anni, era il 1951. Marijuana, benzedrina, bop music, poesia, religione e una assoluta devozione per l'amore carnale, lo nutrivano.
Il suo stile ritmato (si definiva uno scrittore jazz) pare avesse influenzato lo stesso Bob Dylan.
Nel '44 connobbe Burroughs e Ginsberg. Due anni dopo Neal Cassidy, che aveva passato la sua adolescenza in riformatorio, i 2 divengono amici.
Questo emarginato, come lo vede Kerouak, sarà fonte di ispirazione e presenza costante nella sua vita.
On te road lo scrive in 3 settimane e dal momento della sua pubblicazione nel 1957 diventa il manifesto della beat generation.

Composto in lunghe sedute di improvvisazione letteraria, ispirate allo stile nervoso del bop di Charlie Parker, On the road racconta il vagabondare per l'America secondo lo stile degli hobos. Povertà, emarginazione, solitudine, e poesia.
Jack scriveva ispirato dalla musica, il suo ritmo ha ispirato altra musica. Il cerchio si chiude come in un mandala perfetto.

28 luglio 2011

waiting for the man


I'm waiting for my man. Twenty-six dollars in my hand.Up to Lexington, 125. Feel sick and dirty, more dead than alive. I'm waiting for my man.

questo cantava Lou, capelli corti, colorito cadaverico, anima divorata dall'eroina. La generazione elettrica, quella della seconda lost generation, della Factory, la corte decadente di sua maestà Andy Warhol.
Oggi cammino per Lexington, che sembra diventata il regno di manicure e pedicure forsennati, dannati dal lusso e della bellezza cosmetica a tutti i costi. il palcoscenico della miseria esistenziale preferisce dimenticare la poesia di Kerouak, di Ginsberg. America I've given you all and now I am nothing. Sembrano inghiottiti dal tempo gli strali di Dylan prima maniera. Il gaslight non illumina più nessuno qui.
E oggi i miti muoiono, al 125 di Lexington c'è una rosticceria indiana, roba a basso prezzo. Hurry Curry! Ti ci riempi la pancia con due dollari, ma l'anima, quella, brucia sempre.

27 luglio 2011

gloomy


prendi un cafè, mettici dentro una biblioteca, sei dentro un edificio industriale di Brooklyn, ai soffitti lampade stile C'era una volta in America.
Ti portano il menù, che è una busta per posta aerea, dentro una lettera con scritte a mano le cose che puoi prendere, ma in italiano. Prendi una birra e parli con Tommaso, che tiene in piedi tutto questo, Milk and Roses, a Green point, mentre tre sciammannati dal talento indubbio grattugiano le chitarre con modi che furono di Django Reinhardt. Pioveva fino a un momento fa, ma l'italiano fa una cosa graziosa, ci invita nel retro, un giardino carino e discreto in cui lui ha asciugato per noi le sedie e il tavolo di marmo. E per un momento mi sento nel giardino dell'eden.

25 luglio 2011

heatwave


quando, anni fa, ascoltavo il remake di tropical heatwave, canzone storica di Marylin ricreata dal sax e dalle geometrie musicali di James White and the blacks, l'idea di onda calda tropicale era qualcosa di astratto. Una metafora, se si vuole. Oggi che ho sperimentato i 42 gradi della grande mela ho capito che quel concetto era puro realismo (non potrei dire realismo socialista, visto il luogo, ma ne sarei tentato).
I palazzi e le persone sottoposte a questa consunzione climatica ed esistenziale qui reagiscono con il disegno. Si graffittano le pareti degli edifici e si illustrano le epidermidi in qualunque posto e con qualunque soggetto. Ho visto istruzioni tatuate in una schiena femminile, come un kit di montaggio ikea. Spiritose, devo dire (ma è per sempre!!!) e oggi una signorina aveva tatuata sulle tette una scritta tipo "welcome to Brooklyn". Ora se uno si mette distrattamente a leggere poi pensano che le stai guardando la latteria. Molto sconveniente...

broadway


Ci sono 2 Broadway, e una sta a Brooklyn. Vado a visitarla e scopro un quartiere talmente poco invitante da diventare interessante.
La prima reazione però è quella di tornare indietro a nuoto, e subito, (dato che sui binari del metrò scorre un fiumiciattolo in piena), poi mi costringo a percorrerlo e osservando con l'obbiettivo fotografico, scopro diversi angoli pieni di quella vita sgangherata di cui la grande mela abbonda.

23 luglio 2011

pop


per caso, passeggiando per Broadway, mi imbatto in Strand, storica libreria. Decido di entrare a dare un occhio, la cultura dell'over, dell'esagerato, del magniloquente, si è diffusa come un virus e ha infettato anche il mondo dei libri, qui. La copertina di un romanzo diventa merchandising e dunque, t-shirt, sacchi di tela stampati, tazze, memorabilia in genere. Trovo una borsa di Seth, una di Clowes e decine di altre dal design molto curato. Salgo al secondo piano, il reparto graphic novel è molto fornito. Ci sono anche i classici come Gasolyne Alley o Popeye, ristampati in edizioni curatisime, parzialmente in stile Chip Kidd, il grafico rivoluzionario che ha impaginato i libri sui miti del fumetto (Batman o Peanuts che fossero) tenendo ben presente la lezione degli artisti pop. "Pop will eat itself", diceva quello, negli anni 80. E così pare che sia. Il fumetto guarda se stesso con occhio straniato.

Invece si respira un aria molto diversa da Forbidden planet, che è a pochi passi da Strand. Nel pianeta proibito il fumetto sembra ancora celebrato per il suo mito muscolare e fantasmagorico, pare di essere non tanto in due posti fisici diversi, quanto piuttosto in due epoche differenti. Sono troppo vecchio per scudi e mantelli, la mia stagione di carnelvale è passata molte lune fa. Ugh!

Da Strand il fumetto è più sobrio, appesi i cazzotti al muro si cerca di percorrere strade narrative intime (chester Brown, Lucille) o di leggere il reale con occhi disincantati (Sacco o Modan), per dire. E così Paying for it sale al 45° posto tra i libri più venduti in America.
E' una nuova stagione che vede gli editori setacciare migliaia di libri stampati in altri paesi, alla ricerca di qualcosa che parli a un audience america e vorace, che per ora rimane, in parte, a becco asciutto.

22 luglio 2011

storie


si superano i 107 gradi fahrenheit, che sono i nostri 42 gradi. Pare che gli americi non siano usi a queste temperature, perché si muovono impacciati e troppo coperti per le strade surriscaldate in cui i tir modello "Duel" rombano e strombazzano a piacimento. Ogni tanto, per sopravvivere, il semplice pedone, si rifugia in una cella frigorifera o un'altra, che sono poi, i grocery store o le librerie o qualunque altra attività commerciale, dedita, come tutti, alla religione dell'aria condizionata, modello pingino. (meno 18, minimo). E' un boccheggiare biblico che viene accolto come giusta punizione per karma da sbiancare (l'affair Lehman bros? Guantanamo? Quien sabe!?!)
Le storie agghiaccianti di un taxista di origine tajika, che risiede felicemente a N.Y. da 24 anni, storie di bambini rapiti e fatti a pezzi, nella zona ebraica di Brooklyn, ricordano le storie truculente che William Burroughs orecchiava dai commessi viaggiatori. Era un'altra epoca, ma la violenza metropolitana rimane la stessa.

l'apparizione


Per me Brooklyn è tante cose. Hubert Selby Junior, Woody Allen, Coppola, Freaks, ma soprattutto Coney Island. E dunque Lou Reed e le malinconie che questa spiaggia si porta dietro, da un secolo buono.
L'atmosfera era già irreale e solitaria sotto i circa 40 gradi di questo giovedì americano, quando poi è apparso, a poche miglia dalla riva, questo cargo gigantesco, è parso a tutti (me lo hanno detto, giuro) come l'arrivo del Rex in Amarcord di Federico Fellini.

21 luglio 2011

dietro casa


Giorni americani, a rincorrere storie russe. Sul mio tavolo le pagine del libro da finire, fuori l'estate impazza con temperature esagerate. Qui tutto è esagerato, le superfici, la dimensione delle auto, persino le bottiglie, che qui sono dei bidoni. Prendi il latte o il thé freddo? Sono bidoni da un gallone, (tre litri e settantotto).
Perfino i culi, qui, sono i più grandi del mondo.