29 giugno 2011

grazie, Gene


nei giorni della mia adolescenza andavo a piedi alla stazione di Cagliari, in via Roma. C'era un'edicola molto fornita di giornali stranieri, tra i quali sfogliavo, sotto lo sguardo accigliato dell'edicolante, i comic book, prima di capire se c'era qualcosa di importante da comprare. Se trovavo uno o due albetti, stampati su quella carta porosa e scadente, che oggi chiamiamo pulp, ero felice.
I miei sogni di raccontatore a quadretti in erba crescevano, si nutrivano di quelle immagini, di quelle storie. Durante la galoppata indietro fino a casa, che distava qualche chilometro, non riuscivo a trattenermi e sfogliavo e riguardavo le pagine del tesoro di cui mi ero impossessato.
I miei idoli allora erano Mike Kaluta, Bernie Wrightson, Jack Kirby, Barry Smith, Steve Ditko, e naturalmente Gene Colan.
Gene Colan, elegante, misterioso, lo avevo amato subito, quando non avevo neppure tredici anni. Mi colpivano le sue ombre e le fome dinoccolate dei suoi personaggi, ne parlavo spesso con Giorgio Carpinteri, che era mio compagno alle scuole medie. Da Colan avrei capito e imparato veramente, a distanza di molti anni, senza neppure rivederne le pagine. Quando feci la prima tavola di Sinatra, doveva essere il 1997, più o meno. Dissi, "Questa forse piacerebbe a Gene". Quel mio disegno dell'uomo che guida nella notte, mi ricordava il suo modo di vedere, di rappresentare.
In fondo i suoi personaggi, anche quando erano in compagnia, trasudavano una sorta di indecifrabile solitudine. Gene vedeva il lato sghembo dell'esistere, e si divertiva ad esaltarlo, nelle sue composizioni, con grande classe.
La sua lezione, quel mondo fatto di fumo e ombre e riflessi, la quintessenza del sogno insomma, mi è sempre rimasta dentro.
Si è grati a chi ci aiuta a sognare, anche, specie, da bambini. Per questo che ieri, quando il mio editor francese mi ha detto "sai che è morto Gene Colan, qualche giorno fa?" mi è venuto un colpo al cuore.

Sei stato grande Gene. Davvero molto grande.

25 giugno 2011

coversazione con David M.



Un ragionare sul racconto per immagini, davanti a una tazza di thé, a New York nella casa di David Mazzucchelli, qualche anno fa. Quando David lavorava a una storia lunga che sarebbe poi diventata Asterios Polyp.Qui

14 giugno 2011

scrivere


le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe, è meglio evitare il loro impiego e attenersi alla descrizione degli oggetti, degli esseri umani, di se stessi, vale a dire alla descrizione fedele dei fatti.
Dobbiamo descrivere ciò che vediamo, ciò che sentiamo, ciò che facciamo. Se scriviamo "l'attendente è gentile"non è una verità, perché l'attendente può essere capace di cattiverie che noi ignoriamo. Quindi scriveremo semplicemente "l'attendente ci regala delle coperte"
Agota Kristof

5 giugno 2011

negli interstizi


la letteratura lavora negli interstizi della scienza, è sempre in ritardo o in anticipo su di essa, simile alla pietra di Bologna che irradia durante la notte ciò che ha immagazzinato durante il giorno, e grazie a questa luce indiretta illumina il giorno a venire. La scienza è rozza, la vita è sottile, ed è per correggere questa distanza che la letterattura ci interessa.
Roland Barthes